Racconti, Storie da GdR

Voglio far tremare i pilastri della società

Chicago, 5 Marzo 1921

«Alina, te ne prego. Desisti.»

Alina ripose con cura l’ultima camicetta nella valigia e chiuse il coperchio. «Assolutamente no, Richard. Non se ne parla» rispose, concedendogli appena un’occhiata.

«Ma non puoi partire così, da un giorno all’altro.» Era agitato, Alina lo capiva dalla grossa vena sul collo che pulsava con vigore. Ma faceva di tutto per non darlo a vedere, Richard odiava alzare la voce in sua presenza. Specie quando erano in quella camera dalle pareti sottilissime, con i vicini a poca distanza ad ascoltare ogni cosa. Avevano discusso a lungo, prima di versare la caparra per quel piccolo appartamento in centro, e lui le aveva fatto notare spesso che non avrebbero mai avuto della vera privacy in un posto come quello. Ma lei lo amava, con tutta sé stessa, perché possedeva quel fascino un po’ vintage che le ricordava la sua amata Inghilterra.

«Non pensi alla tua povera zia?» continuò Richard, distogliendola dai ricordi. «Cosa dirà sapendo che ti imbarchi in una follia del genere?»

«Non usare zia Prudence come un’arma, lo sai che lo odio.» Lo scatto delle fibbie d’ottone parve scandire, con ancor più forza, tutta la sua determinazione. «E poi il viaggio è già stato pagato, non posso tirarmi indietro. E zia Prudence capirà, come fa sempre.»

Richard, in piedi al suo fianco in camicia e bretelle, sospirò di fastidio «E va bene, se non lo vuoi fare per lei, fallo per me. Cosa pensi che diranno, all’università, sapendo che la mia promessa sposa si imbarca per il Perù senza di me?» Nella sua voce c’era la stessa sfumatura supplichevole che nelle ultime settimane aveva usato più volte contro di lei.

«Diranno che sei un uomo fortunato. Sono gli anni Venti, Richard. Noi donne siamo stanche di stare a casa, e le sanno pure i tuoi adorati tromboni.» La giovane sollevò una mano per interrompere la protesta che stava per lasciare le labbra del fidanzato. «No, il suffragio universale non ci basta affatto. Vogliamo la libertà, la stessa che avete voi. Non aspetterò di diventare la signora Carlisle ferma in questa casa, senza aver visto che un frammento microscopico del mondo.»

«Ma cosa cambia? Non puoi rimandare a dopo il matrimonio? Quando mi sarò liberato degli esami, potremo…»

«Quando ti sarai liberato degli esami, la piramide sarà già stata ritrovata! L’archeologia non aspetta certo te, Richard.» Alina sollevò la valigia, che si rivelò ben più pesante del previsto. Senza dar a vedere al fidanzato quanto le pesasse, la spostò accanto alle altre tre, pronte sulla soglia della camera. «Non intendo cambiare idea, quindi è inutile che cerchi di convincermi» affermò, decisa. Lisciò l’abito di lino sottile e sistemò il cappello da un lato, poi tornò a guardarlo. Provò l’impulso di sporgersi per sistemargli la camicia, che pendeva un po’ storta da un lato, ma si trattenne. Richard non aveva mai sopportato quel suo lato un po’ maniacale. «Vedila come una prova, una sfida pre-matrimoniale» disse invece. «Se riusciremo a superare questa, supereremo ogni cosa.»

Il volto dell’uomo si adombrò. «Non sono d’accordo, Alina, sappilo. Anzi, sono del tutto contrario a questa follia.»

«Meno male che non sei tu a doverla compiere, allora» minimizzò lei, simulando una leggerezza che non provava affatto. A dirla tutta, in quel momento sentiva l’acuto desiderio di lanciargli in testa una scarpa, magari uno degli stivaletti che non erano entrati nella quarta valigia, e che ora giacevano abbandonati sul letto. Non poteva semplicemente essere lieto per lei e per l’occasione che le era capitata? Perché gliela faceva pesare così tanto?

Ricacciò indietro il fastidio, per un senso di pace coniugale nel quale cominciava a credere poco. Addolcì lo sguardo e gli si avvicinò, cercando di intrufolarsi nel sottile spiraglio che scorgeva dietro la sua postura rigida. Odiava separarsi da lui con una litigata, l’avrebbe fatta sentire in colpa per tutta la durata del viaggio. «Cerca di capire il mio punto di vista, Richard. Per me questa è l’occasione della vita. Quando mi ricapiterà di essere mandata sul campo a documentare un ritrovamento di questa portata?»

«Se parti ora, senza alcuna preparazione, di certo non ti ricapiterà più» rispose lui, con durezza. «L’avventatezza non ha mai premiato nessuno.»

«Ti sbagli. Se pensi alla prozia Nellie, ad esempio…»

«Ti prego, basta.» Richard si accasciò sul letto con fare teatrale. «Non tirar fuori ancora una volta la storia di tua zia, non la reggo più.»

Alina si stizzì. «E invece la ritiro fuori eccome! Se ha potuto viaggiare da sola lei, cinquant’anni fa, allora non vedo cosa ci sia di strano se io faccio altrettanto!»

«C’è di strano che tu stai per sposarti.» Richard si alzò e le andò incontro. «Alina, tesoro… prova tu a capire il mio punto di vista.» Il tono si era fatto di nuovo dolce, e anche la vena sul collo pareva tornata alle sue dimensioni originali. Eppure, sul suo viso Alina leggeva ancora tutti i segni della sua irritazione. Le rughe attorno agli occhi erano accentuate, le sopracciglia erano aggrottate e teneva le labbra strette, anche se atteggiate in un sorriso conciliante. «Io ti amo, e mi preoccupo per te e per la tua sicurezza» continuò Richard, posandole le mani sulle spalle. «Non sai a cosa andrai incontro, in Perù, e andarci da sola…»

«Ma io non sarò sola» ribatté lei. «L’università ha provveduto a fornirci una scorta, persone esperte che vigileranno su di noi e si assicureranno che non ci capiti nulla di male.

«E se non fosse sufficiente?» Ora c’era sfida, nella voce di Richard. «Sei una donna, Alina, e come tale…»

«Come tale cosa? Dovrei starmene a casa ad aspettare che altri facciano il mio lavoro al posto mio?»

Lui sospirò. «Si tratta solo di un forse, una possibile scoperta in sud America della quale non sei nemmeno certa, una delle tante. Non sai neanche se c’è davvero una piramide, laggiù. Non puoi aspettare che la spedizione torni a Chicago e raccontare le loro gesta da qui? Avrai sempre tempo di partire in seguito, quando organizzeranno una nuova spedizione, e allora potremo…»

«Ah, bella cronista che sarei!» Alina incrociò le braccia davanti al petto, infastidita. «Ma ti senti quando parli? Ti pare che qualcuno abbia chiesto al professor Dickinson di aspettare che fosse un altro ad aprire quella piramide? Di starsene qui in attesa di avere i reperti tra le mani e di immaginarsi il luogo in cui sono stati ritrovati?»

«Il professor Dickinson è un uomo, Alina. Non mi sembra un concetto così complicato» sbuffò Richard.

Ora sì che il fastidio cominciava a farsi bruciante. E virava rapidamente in rabbia, che portò Alina a indurire le sguardo e a parlare in tono tagliente. «Sono stanca della tua misoginia, Richard. Un conto è preoccuparti per me, un altro discriminarmi solo per il fatto che non sono nata con un cazzo tra le gambe» sbottò, scostandosi dalla sua presa.

Richard sgranò gli occhi, e sul viso gli spuntò un’espressione così sconvolta che Alina l’avrebbe quasi trovato buffo, se non fosse stata tanto infastidita. Ma non gli diede il tempo di ribattere e tornò all’attacco, approfittando dello shock che l’uso di quella volgarità aveva suscitato in lui. «Sono anni che ti ascolto dire che il mondo non è pronto ad accettare l’indipendenza delle donne, e che dobbiamo andarci piano se non vogliamo rischiare di far tremare i pilastri di questa società. Ebbene, sai che ti dico? Che secondo me sei tu quello che non è pronto a far posto alle donne, e lo stai dimostrando proprio ora!»

«Ti sbagli, sto solo cercando di proteggerti. Se solo tu mi ascoltassi…»

«No, Richard, sei tu che devi ascoltare me» lo interruppe lei. «Sono stufa, stufa marcia di fare attenzione, di muovermi in punta di piedi per non rompere i gusci delle vostre uova.» Prese a camminargli nervosamente intorno, scostando con fastidio la gonna che le si arricciava di continuo sotto le ginocchia. Arrivata in Perù avrebbe dovuto mettersi un paio di pantaloni, pensò. Era stufa anche delle gonne.

«Ne ho abbastanza delle limitazioni e della sfiducia» riprese. «Sono stanca di vivere in una città che non riconosce il mio valore solo perché sono nata del sesso sbagliato, di non vedermi riconosciuta una laurea che ho sudato quanto e forse più dei miei colleghi uomini. Se il mondo non è pronto, allora farà meglio a stare in guardia perché ho intenzione di farlo tremare così forte che non dovrà fare attenzione solo ai pilastri, ma alle intere stramaledettissime pareti!»

Aveva alzato la voce, ma non le importava. Che sentissero pure, i vicini, e traessero le loro stupide conclusioni. Lei ne aveva abbastanza anche di loro.

Richard, dal canto suo, assunse un’aria mesta e delusa. «Alina, ti prego» mormorò, scuotendo il capo. «L’unica cosa che mi preme e che tu non ti faccia male. Andandotene fino in Perù, da sola, mi impedisci di aiutarti.»

«E non pensi che io possa non aver abbia bisogno di aiuto? Che possa farcela anche da sola?» Gli si fermò davanti e lo guardò negli occhi con estrema gravità. Erano arrivati al dunque, capì. Dalla risposta di lui dipendeva ogni cosa. Non poteva legarsi per la vita a un uomo che non credeva in lei. Uno che preferiva tenerla al suo fianco per paura che si rompesse come un vaso di porcellana. E non poteva certo accettare di diventare sua moglie così, rinunciando a ciò che era e a quello che sperava di diventare.

Eppure, quasi sperò che Richard non dicesse quello che stava per dire, che le desse modo di salvare il salvabile e di mantenere viva la fiamma della loro storia. Perché nonostante tutto lo aveva amato, anche se in quel momento era troppo arrabbiata per rammentarne la ragione. Sperò che lui tornasse sui suoi passi, che le dicesse che si fidava di lei e l’avrebbe aspettata; perché in quel caso sarebbe tornata, e l’avrebbe sposato proprio come avevano pianificato.

Ma quando lui socchiuse gli occhi e mormorò un «No» soffocato, Alina vacillò solo per un istante. Batté le palpebre e tutto quello che avevano cominciato a costruire insieme si infranse tra le sue ciglia. Poi il futuro le si mostrò davanti agli occhi, ricco di opportunità e privo di ogni vincolo. Un futuro in cui il suo desiderio di essere considerata una vera cronista si concretizzava tra le montagne del Perù, mentre scavava per riportare alla luce i resti di antiche civiltà e documentava i ritrovamenti. Mentre mostrava al mondo ciò di cui era capace, e ciò che una donna poteva diventare quando metteva sé stessa e i suoi desideri prima delle convenzioni e delle tradizioni.

Fu con quell’immagine in mente che ruotò sui tacchi e uscì, lasciandosi dietro le valigie, l’appartamento e un ex-fidanzato che già cominciava a non mancarle più.

Cosa potrebbe andare storto, d'altronde? Dal manuale Le Maschere di Nyarlathotep, riadatta per questo racconto de Il Richiamo di Cthulhu
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Questo racconto è stato scritto come presentazione di un personaggio creato per il GdR Il Richiamo di Cthulhu. I fatti qui narrati fungono da prologo all’avventura Le Maschere di Nyarlathotep. Il racconto è stato pubblicato qualche anno fa su storiedagdr, blog ormai dismesso, e lo riproponiamo qui per salvarlo dall’oblio di Internet.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.