[…] non esiste nessuno. Forse manco io. Ma ascolto i racconti di persone conosciute e sconosciute e li intreccio. I racconti esistono, loro sì, da qualche parte. Sono eco, omaggi talvolta, e niente altro, non c’è esattezza e non c’è cronaca, tutto è mischiato, frainteso, inventato, mentito.
È la prima volta che inizio una recensione rubando una citazione delle note finali. Questa mi ha colpita subito, appena l’ho letta, e non solo perché rappresenta bene il processo creativo all’opera quando si scrive un romanzo intrecciando fatti, persone e luoghi conosciuti per dare origine a qualcosa di inesistente. Cela dentro di sé il seme da cui è fiorito Chi dice e chi tace, che è appunto un racconto intrecciato fatto di echi, omaggi, storie inventate, fraintese e menzognere.
Tutto il romanzo si gioca sul fragile equilibrio tra verità e menzogna: chi è davvero Vittoria, la donna che vent’anni prima dei fatti narrati è arrivata a Scauri portando con sé un turbine di fascino e mistero, e che ora è morta portandosi dietro la verità della sua esistenza? Quante delle poche cose che il paese sa o ha intuito di lei sono reali e quante sono echi di qualcosa di più profondo e complesso?
Chiara Valerio ci guida dentro la vita di una donna la cui storia è raccontata in frammenti da chi l’ha conosciuta: dalla voce narrante, Lea, avvocata e amica di Vittoria, che dopo la sua morte comincia a cercarla spinta dal bisogno di sapere di più di questa donna che l’ha sedotta con il suo mistero; dagli abitanti di Scauri, paesani che l’hanno accolta nonostante le sue stranezze da cittadina, nonostante fosse arrivata con una donna molto più giovane di lei con la quale ha convissuto fino alla morte; e poi dalla sua compagna e dal marito apparso a sorpresa al suo funerale, del quale nessuno pareva conoscere l’esistenza.
È possibile ricostruire un’esistenza attraverso gli echi che si è lasciata dietro? E se sì, quali storie possono nascere mettendo insieme tutti quei frammenti?
Dentro la storia di una donna
Di Vittoria all’inizio sappiamo pochissimo, quel poco che sanno Lea e il marito Luigi in quasi vent’anni che l’hanno conosciuta: che è venuta a Scauri da Roma, portando con sé Mara che è molto più giovane di lei; che ha comprato una villa costosa e una barca in contanti, e che ha il portamento e l’aria da signora di classe; ma anche che frequenta i ferrovieri e gioca con loro a carte dopo i turni, e che ha una passione per la vita del Paese, per le persone che lo abitano e per le loro storie. Tanto che, da sempre, Vittoria preferisce ascoltare gli altri che parlare di sé.
Quando viene ritrovata morta nella vasca di casa sua, apparentemente affogata, il piccolo cosmo di Scauri ha uno scossone: al funerale partecipano tutti, persino persone ricche venute da Roma, e in Paese gira la voce che Vittoria fosse sposata niente meno che con un prestigioso avvocato. Il terremoto dura poco, il tempo di generare chiacchiere e pettegolezzi, poi il Paese va avanti come ha sempre fatto. Per tutti, tranne che per Lea, che comincia a chiedersi chi fosse davvero Vittoria, e quale sentimento la unisse a questa donna per la quale ha sempre provato un’enorme – seppur difficile da definire – attrazione.
Un gioco di specchi e di echi
Più Lea indaga sulla vita di Vittoria, più l’attrazione verso di lei aumenta e sfoccia presto nel rimpianto di non averla conosciuta davvero. I frammenti che Lea recupera facendo domande, spesso scomode e mal ricevute, dipingono la storia di una vita densa, complicata e a lei completamente estranea. Tanto che Lea arriva a chiedersi se non ci sono due Vittoria diverse – una prima e l’altra dopo l’arrivo a Scauri – due donne diverse che possano spiegare come sia possibile non aver mai capito nulla di chi era e di come era davvero fatta.
Quanto sappiamo davvero delle persone che ci vivono accanto?
Questa domanda tormenta Lea con un’intensità pungente, la spinge a rimettere in discussione ricordi, echi di momenti in cui è stata con Vittoria, in cui hanno riso insieme, scherzato insieme, sono state vicine, si sono confidate. E la porta a mettere in discussione sé stessa per prima, la sua esistenza compressa nel piccolo Paese, il suo desiderio mai sopito di fuggire via, di sfiorare qualcosa di altro, qualcosa di meglio, simile a quello che Vittoria sembrava possedere e che poi ha scelto di abbandonare senza apparenti rimpianti.
Chi dice e chi tace è una storia a mosaico, ogni tessera della vita di Vittoria è il ricordo che di lei ha una delle tante persone che l’hanno conosciuta, prezioso eppure insufficiente a rendere il quadro completo di lei finché non è messo accanto agli altri. A questo lavoro di ricucitura si presta Lea, che insieme alla storia di Vittoria ricuce anche parti di sé che non sapeva si fossero sfilate.
Una scrittura torrenziale
Quasi per contrasto alla frammentarietà della trama, la forma che Chiara Valerio ha scelto di dare alla sua storia è un flusso ininterrotto di coscienza e di dialogo, un fluire di parole e ricordi, resi ancora più vicini dall’assenza di punteggiatura nei dialoghi.
L’effetto è torrenziale: Chi dice e chi tace si legge tutto d’un fiato, sentendo la testa girare eppure andando avanti con lo stesso bisogno di sapere e conoscere che brucia e muove Lea. A contare, ancora una volta e come spesso capita con le buone storie, non sono tanto le risposte a cui si approda quanto le domande che le hanno originate. E come Lea, alla fine del percorso ci troviamo in mano un groviglio di fili e racconti, un mosaico di storie che potrebbero essere verità o menzogne, distorsioni o esagerazione, ma che resteranno appena la superficie della profondità che è stata Vittoria.
Una profondità che ci è impossibile sondare perché altra da noi, ma che possiamo raccontare e raccontarci in tante versioni diverse, mantenendo sempre una scintilla della sua inafferrabile realtà.