Narrativa Contemporanea, Recensioni

Recensione Eleanor Oliphant sta benissimo di Gail Honeyman

Eleanor Oliphant sta benissimo.
Lo sa per certo, fin da quando si è laureata e ha iniziato al lavorare nell’ufficio contabilità della In Design.
Lo sa, nonostante da anni sia consapevole che i colleghi la considerano quella strana, la ragazza con una cicatrice a segnarle il volto che non fa che enfatizzare il suo essere sopra le righe, fuori dal mondo.
Lo sa, anche se ogni giorno la sua routine si ripete uguale a se stessa: sveglia, lavoro, pausa pranzo con cruciverba, lavoro, rientro a casa, cena a base di pasta al pesto, televisione se c’è qualcosa di interessante altrimenti romanzo e poi a dormire.
Sempre lo stesso, dal lunedì al venerdì.
Lo sa anche se il sabato e la domenica hanno una loro routine meno piacevole, scandita da qualche bicchiere di vodka di troppo per annegare la monotonia di due intere giornate passate a casa da sola, senza parlare con nessuno.
Sa che sta bene, anche se ogni mercoledì, precisa come un orologio svizzero, arriva la chiamata della mamma. Quella che la fa stare sempre un po’ meno bene. Che scava in quella nicchia nascosta dentro di lei, celata come un prezioso tesoro e tenuta lontana dalla realtà in cui vive benissimo, o forse non troppo.

Eleanor è certa che la sua sia una vita normale, mediamente accettabile, di quelle che ti fanno dire di stare bene, nonostante tutti i piccoli segnali contrari che il cervello manda ripetutamente all’attenzione del resto del corpo.
Ne è sicura, finché nella sua solitudine mascherata da vita abitudinaria irrompono un nerd informatico bizzarro ma incredibilmente premuroso e un vecchio tenero e allegro, che la costringono, a poco a poco, a rivedere tutti quei gesti, quelle sensazioni, quei pensieri che l’accompagnano ormai da una vita e che ha sempre ritenuto normali.

Non è semplice per nessuno di noi vedere se stessi e la propria vita sotto un nuovo punto di vista, interrogarsi su quanto realmente stiamo bene, su quanto ci sentiamo parte attiva del mondo che ci circonda, e non vittime indifese del suo scorrere incessante e spaventoso.
Lo è ancor meno se il nostro passato ci tiene ancorati, se incombe come un’onda oscura e minacciosa, che appiattisce giorno dopo giorno la nostra esistenza. Tanto da renderla un monotono e soffocante incedere di gesti confortanti, scelti appositamente per non infrangere quella piccola campana di vetro che ci tiene al sicuro dalla realtà, dal dolore, dalla vita stessa.
Per Eleanor, la strada verso il cambiamento è tortuosa, dolorosa, devastante.
E noi siamo coinvolti in questo percorso, Eleanor ci porta con sé, dentro la sua mente, mostrandoci i suoi pensieri più intimi, svelandoci a poco a poco quelle paures con le quali lei stessa non ha mai avuto il coraggio di fare i conti. Paure devastanti eppure, spesso, non così diverse da quelle che molti di noi si trovano ad affrontare tutti i giorni.

Leggere la storia di Eleanor Oliphant è compiere un cammino duplice.
Da un lato, è percorrere la strada di una giovane trentenne che impara l’importanza della rabbia, della sofferenza, della gioia, della bellezza. E che comprende che spesso, nella vita, è necessario affrontare il dolore e la paura, per arrivare alla felicità.
Dall’altro lato, è farci guidare da Elanor sul cammino della nostra stessa esistenza, arrivare a vederla attraverso i suoi occhi, per riuscire ad apprezzare le piccole cose che spesso diamo per scontate, presi da altro, da qualcosa che sul momento riteniamo più importante, più pressante, più soddisfacente.
Ed è lasciare che questa giovane tenace e adorabile ci mostri che vale sempre la pena mettersi in gioco, mostrarsi per quello che si è, aprirsi al mondo e a coloro che lo popolano e soprattutto lasciarsi amare, per arrivare a dire di stare bene, per davvero.

La voce di Eleanor è una voce brillante, fresca, bizzarra eppure straordinariamente adorabile.
E il suo modo di pensare è così avvulso dalla realtà da essere forse il più autentico che potremmo mai sperare di incontrare.
Scevra dalle finzioni e dalle convenzioni sociali, lontana da quei sordidi e infidi meccanismi che ci tengono avvinghiati, Eleanor è in grado di smascherare a uno a uno tutti i fili che ci legano e ci soffocano, cammuffati da quelle che noi chiamiamo “convenzioni sociali” o “vivere civile”. Attraverso i suoi occhi, ci appare chiara e del tutto assurda la nostra esigenza di mostrarci sempre al meglio, anche quando è un meglio finto, non autentico, di curarci e truccarci per essere accettati, di nascondere i nostri pensieri reali per non apparire strani, lontani dal coro, diversi.
La creatura della Honeyman è un’esistenza fragile e incerta, eppure è forse la migliore giuda che potremmo desiderare quando ci troviamo in bilico, fragili anche noi, spaventati e turbati dalla vita che scorre senza sosta intorno a noi. Quando non sappiamo trovare il nostro posto nel mondo, non siamo in grado di adattarci, di diventare ciò che la vita vuole che siamo.
Eleanor è la prova che si può far parte del mondo anche senza perdere parte di sé, semplicemente essendo se stessi in ogni sfumatura, in ogni piega, in ogni paura.
Anche se questo comporta piangere, soffrire, provare dolore, perché dopo, oltre gli ostacoli che appaiono insormontabili, ci attende sempre la gioia, la serenità, l’affetto.
Bisogno solo avere la tenacia di rincorrerli.

Eleanor Oliphant sta benissimo è la storia del percorso emotivo di una donna convinta di stare bene, finché la vita stessa non le dimostra il contrario.
Ma è anche un viaggio personale che Gail Honeyman ci offre, per iniziare a pensare insieme ad Eleanor che tutti meritiamo, nonostante tutto, di stare bene.


Un ringraziamento sentito alla Garzanti Libri, per avermi permesso di compiere questo viaggio speciale, e avermi dato la possibilità di parlarne con voi.

Trama:
Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: benissimo. Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido, perché sto bene così. Ho quasi trent’anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate, la mia passione. Poi torno alla mia scrivania e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient’altro. Perché da sola sto bene. Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata dalla prigione. Da mia madre. Dopo, quando chiudo la chiamata, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto. E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo. O così credevo, fino a oggi. Perché oggi è successa una cosa nuova. Qualcuno mi ha rivolto un gesto gentile. Il primo della mia vita. E questo ha cambiato ogni cosa. D’improvviso, ho scoperto che il mondo segue delle regole che non conosco. Che gli altri non hanno le mie stesse paure, e non cercano a ogni istante di dimenticare il passato. Forse il «tutto» che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.