Più veloce, Tal’a, più veloce.
Il respiro si gonfia, il cuore accelera il battito. Per un istante, Tal’a ha la sensazione che possa scoppiare. Ma non si ferma e continua la sua corsa, la treccia che batte tra le scapole, piccolissime gocce di sudore che le imperlano la fronte e segnano l’attaccatura dei capelli.
Evita una foglia con una capriola, un’altra quasi le sfiora la guancia e per evitarla è costretta a piegarsi come un giunco sotto la forza del vento.
Più avanza, più il vento si fa tenace, cerca di arrestare la sua corsa, di morderle la carne e far stillare il suo sangue. Ma Tal’a è decisa a non concedergli nulla e svincola tra le foglie affilate come fosse fatta anche lei d’aria, impalpabile e inarrestabile.
Quando arriva al tronco, le gambe le dolgono tanto che vorrebbe fermarsi. Ma non le ascolta, non lascia al suo corpo la possibilità di trattenerla. Acchiappa al volo il nastro e corre indietro, regalando al vento solo l’impronta del suo passaggio.
Fuori, i raggi del sole la accolgono come una carezza. Un largo sorriso si insinua tra le sue labbra, carico di soddisfazione. Finché un pizzicorio al polpaccio non la desta e Tal’a abbassa lo sguardo, in tempo per notare la prima goccia di sangue che le solca la pelle e bagna la caviglia nuda.
È solo una, ma pesa come fossero cento. Ha la sensazione che l’intero corpo sia stato prosciugato del suo fluido vitale, e che non vi sia più linfa a reggerlo in piedi. Si accascia, il fallimento che preme sulle dita che ancora stringono il nastro azzurrato.
«Tal’a.»
Solo il suono del suo nome, sufficiente però ad arrestare la marea che sta per annegarla. Tal’a alza gli occhi e lo sguardo limpido di Vaar è lì a incatenare il suo.
Orgoglio. Le mani nodose di Vaar si muovono con grazia, segnano l’aria come fossero fatte anch’esse di vento. Il viso della sua maestra è impassibile, ma Tal’a sa che non le serve sorridere per esprimere la sua lietezza. Ciò nonostante, quelle parole non fanno che aumentare il suo senso di sconfitta.
Dolore, incapacità. Tal’a segna in fretta, guidata da una furia che si nutre del suo fallimento. Mostra la caviglia a Vaar, certa che la sua insegnante solleverà le sopracciglia in un moto di delusione. Ma non accade, e Vaar si limita a solo a scrollare appena il capo.
Sei arrivata più lontano della volta scorsa.
Ho fallito. Tal’a abbassa lo sguardo, il nastro è diventato così pesante tra le dita da costringerla ad abbassare anche il braccio. Non sarò mai davvero una del clan.
La risata di Vaar è così inaspettata che il viso di Tal’a si risolleva di scatto. L’ha sentita così di rado da non riconoscerne quasi il suono. Ricorda il canto del colibrì all’alba, carico di vita e di speranza. È un suono così bello che Tal’a non se la sente di interromperlo. Vaar ride e il vento sembra ridere con lei, facendola sentire ancora più confusa.
Non capisco segna infine, quando la risata si spegne e sulla radura rimane solo l’eco del vento tra i rami. Ho fallito davvero. Non merito di far parte del clan.
Vaar le si accosta e le si siede di fronte, le gambe incrociate e la schiena dritta, rigida come il tronco del Grande Albero ma al contempo flessuosa come uno dei suoi viluppi di foglie taglienti.
Cosa dice il Pūrā sul fallimento?
In questo momento, Tal’a non si sente dell’umore adatto a una lezione. Vorrebbe solo rannicchiarsi e soffocare nel dispiacere, ma sa che non può dire di no a un insegnamento della sua maestra. È contro il Pūrā rifiutarsi di apprendere.
Dice che il fallimento è solo un passo incerto lungo il cammino della vita. Una storta che ci fa esitare il tempo di riprendere a camminare. Non è che la tempesta prima di una nuova giornata di sole. Le ci vuole del tempo per segnare tutta quella frase. Anche se lo fa da quando ha memoria, non ha mai sentito davvero quei gesti come suoi e non è mai riuscita a raggiungere la grazia di Vaar o la velocità dei suoi fratelli.
Eppure, Vaar appare compiaciuta dalla sua risposta. Annuisce e per qualche secondo rimane in attesa, lasciando che il vento canti tra loro la sua melodia. Cosa non ti è chiaro di questo insegnamento? segna infine.
Tal’a non sa come rispondere a quella domanda. In cuor suo, ha capito che il Pūrā non è qualcosa che arriva da fuori, che ti viene inculcato a forza in ore e ore di lezioni noiose. Sa che risiede dentro di lei, e che quella è la risposta giusta perché è stata lei a concepirla. Ma in qualche modo, sapere che lo è non l’aiuta a sentirla più vera. Gli altri ragazzi sono già in grado di farlo da anni. È l’unica cosa che le viene in mente, la sola frase che pensa possa spiegare il suo turbamento.
Di nuovo Vaar ride, questa volta però in maniera sommessa, appena un crepitio nel vento. E da quando tu sei gli altri ragazzi?
Non voglio essere loro. Tal’a segna con urgenza, cercando disperatamente di rendere a gesti l’enormità di quello che sente. Voglio solo essere come loro.
Questo è impossibile. La risposta di Vaar per un momento la spiazza. È la conferma di tutte le sue paure, la prova che lei non sarà mai realmente un membro del Clan del Colibrì. Anche se vive da più dodici anni in mezzo a loro, le differenze sono comunque troppe. Tal’a abbassa il capo e sospira, un sospiro che racchiude una vita intera a sentirsi diversa. A sentirsi sbagliata.
Non esiste sbagliato, nel Pūrā. Come abbia fatto a leggerle nella mente, Tal’a non lo sa. Ma Vaar ha capito e la sua mano le accarezza la guancia, le solleva il mento affinché i loro occhi si incontrino. In quelle pozze azzurro liquido, Tal’a vede un mondo. Il suo mondo, quello a cui una parte di lei sa di appartenere, anche se ha troppo timore per ammetterlo.
Tu sei giusta per il Pūrā. Sei giusta per noi. Tu sei giusta per me. Vaar le segna le parole sulla guancia, le imprime in profondità sulla sua pelle. Diverso è bello, diverso è normale. Il vento è diverso dall’albero, che è diverso dall’acqua, che è diversa dalla terra. Puoi chiedere alla terra di danzare tra le foglie e al vento di sorreggere i rami? Puoi chiedere all’acqua di darti i frutti e all’albero di dissetarti? Ogni cosa ha il suo posto, nel Pūrā. Ogni cosa è giusta, nel Pūrā.
E se questo non fosse il mio posto? Se fosse altrove e non qui? Se non fossi giusta per qui? Tal’a sente le lacrime pizzicare e cerca di trattenerle, ma farlo richiede molte più forze di quanto possieda. La prima abbandona la palpebra e muore sulla sua guancia, sulla pelle di Vaar segnata dal tempo e dall’allenamento.
Sei arrivata qui, il Pūrā ti ha condotta da me. Questo dimostra che sei giusta per noi. Fidati del Pūrā, Tal’a, segui la sua voce. Lui può guidarti, se tu apri il tuo cuore. Vaar le asciuga un’altra lacrima e le scompiglia i capelli, come faceva sempre quando Tal’a era più piccola e correva da lei perché Lae o Fa’r le avevano fatto un dispetto. Il Pūrā è dentro di te, devi solo trovare la forza di fargli spazio, di ascoltarlo. Il fallimento sarà sempre in attesa, ti raggiungerà ogni volta che non sarai pronta a sufficienza per andare avanti. E quando succederà, dovrai ricordarti che è il Pūrā a guidarlo, a portarlo da te perché tu possa imparare.
Le parole successive, Tal’a le sente riecheggiare dentro di sé. È il Pūrā a guidare le sue dita, quando la mano sinistra segna, con sicurezza: Ogni situazione che vivo e osservo nel mondo ha qualcosa da insegnarmi.
Orgoglio. Riconoscimento. Finalmente Vaar sorride, e basta quel sorriso a dissipare il resto della sua tristezza. Il vento corre tra loro, accarezza la loro pelle e danza intorno ai loro capelli, per poi sparire tra i rami del Grande Albero al centro della radura.
E Tal’a lo riconosce come un invito a provare ancora.
Creare un personaggio per un gioco di ruolo è una delle cose che amo di più. Mi regala l’occasione di calarmi nella mente e nel cuore di una persona che è in parte me, ma che vive e respira in maniera indipendente nella mia fantasia. Scrivere un racconto su un PG, sia esso nato per D&D 5e o per qualunque altro GdR, diventa quindi un modo per sentirlo parlare, per vederlo muoversi quasi fosse reale. Un’occasione per conoscerlo intimamente e capire come vestirne i panni in gioco.
Quando è nata Tal’a, la protagonista di questo racconto, avevo appena finito di leggere La paura del saggio di Patrick Rothfuss. È per questo che in lei c’è molto degli Adem, il popolo di mercenari rossi vestiti che incrociano il cammino di Kvothe. Il Pūrā, d’altronde, non è che una rielaborazione personale del Lethani degli Adem, nella quale ho infuso parte di me.
Segui la voce del Pūrā è un modo per conoscere meglio Tal’a e per farla conoscere a voi. Spero vi abbia coinvolto quanto ha coinvolto me scriverlo.
[Questo racconto uscì anni fa sul blog di storiedagdr. Oggi quel blog è offline, ma mi dispiaceva che anche Tal’a finisse nell’oblio di Internet, quindi torna a respirare qui su CL]