Il buio l'avvolgeva come una spessa coperta scura e il piccolo cerchio di luce proiettato dalla lampadina portatile bastava a malapena ad illuminare le pagine bianche. Da quanto tempo era ferma in quella posizione? Non lo sapeva, aveva perso totalmente la cognizione del tempo. China sul foglio, una penna in mano, le ginocchia rannicchiate, quasi a protezione, la ragazza lottava contro le parole che si rifiutavano di uscire e prendere forma. Sapeva che aspettavano dentro di lei, le sentiva premere per sgorgare fuori, ma erano come bloccate, congelate nella sua mente. Un fremito le percorse la schiena, una parola fece capolino dall'oscuro oblio in cui si era nascosta, ma prima di giungere alla mano, sospesa a mezz'aria, si era già dissolta.
“Maledizione” pensò, strizzando gli occhi ormai arrossati dalla scarsa illuminazione “Maledetta pagina bianca, maledetta mano immobile, maledetta testa che ti ribelli in modo così spietato! Dove sono le seducenti parole che mi hanno illusa poco fa? Si sono ritirate non appena ho aperto il quaderno, soddisfatte di aver interrotto il mio sonno agitato con le loro promesse di libertà, di magia, di poesia. Mi hanno lasciata qui, con una penna inutile in mano, un foglio così bianco da essere quasi accecante e un senso di sconfitta e soffocamento. Come potrei riaddormentarmi ora, con questa tempesta che mi scuote dall'interno e non riesce ad uscire?”
La mano delusa poggiò la penna, le ginocchia si ridistesero lentamente e il foglio venne riposato con cura sul comodino. La ragazza sapeva che era inutile insistere, quelle parole quella notte non avrebbero ceduto, regalandole la pace che desiderava. E non l'avrebbe ottenuta neanche grazie al comodo cuscino accanto al corpo caldo di lui, che dormiva placido in un sonno privo di tempeste. Quella notte sarebbe stata un'altra notte di sfinimento, passata a rigirarsi di continuo tra le coperte senza trovare la calma, senza giungere al tanto agognato sonno; le parole non glielo avrebbero concesso, avrebbero continuato ad affollarsi implacabili nella sua testa, indifferenti al male che provocavano. Rassegnata, fece scorrere il corpo stanco sotto le spesse e calde coperte, tirò un sospiro e chiuse gli occhi. Ed ecco che come un arcobaleno che improvvisamente si staglia limpido nel cielo dopo un tempesta, le parole si disposero in file ordinate, docili al suo comando e quando di scatto riprese la penna e il foglio in mano, quasi senza attendere che accendesse la luce, sgorgarono fuori come cascate, riempiendo quel vuoto candido di segni svelti e disordinati.
Fu un attimo, una manciata di secondi e la mente fu sgombra, mentre i ricami di parole giacevano ora quieti sul comodino, innocui. Spense la luce e con sollievo si ridistese sotto le coperte. Non le restava che chiudere gli occhi e farsi guidare, ora libera, nel dolce e accogliente piacere dell'incoscienza.