Era qualche mese che non prendevo in mano in un high fantasy degno di tal nome e ammetto che respirare quest’atmosfera mi era mancato, molto più di quanto pensassi. L’ho realizzato appena ho aperto Venti di Guerra di John Gwynne e ho voltato le prime pagine, e man mano che mi sono addentrata nel suo mondo la sensazione di trovarmi a casa si è fatta più avvolgente, rammentandomi ancora una volta perché, nonostante gli anni passati e le numerose letture fuori dalla mia confort zone, questo rimarrà sempre il genere che mi fa sentire bene.
Non fraintendetemi però, non voglio dire che Venti di Guerra sia un romanzo perfetto, privo di difetti e invariabilmente inserito nell’Olimpo dei migliori fantasy mai scritti, anzi, qualche difetto parecchio interessante lo ha. Ma nonostante questo, la sua atmosfera è esattamente ciò che cerco in un romanzo di questo genere e Gwynne è riuscito a conquistarsi la mia attenzione per tutto il periodo in cui è rimasto al mio fianco, permettendomi di viaggiare in un mondo nuovo e particolarmente stimolante.
Prima di soffermarmi con più attenzione sui pregi e i difetti di Venti di Guerra, lasciate che vi spieghi brevemente cosa trovate davanti agli occhi quando aprite il primo volume della nuova saga di John Gwynne.
Ci troviamo nelle Terre dell’Esilio, un continente in cui convivono esseri umani, giganti e, soprattutto, creature ultraterrene giunte circa un secolo prima dei fatti narrati, in seguito a una grande battaglia che ha rivoluzionato le sorti del mondo allora conosciuto.
Ben-Elim e Kadoshim ovvero angeli e demoni, sono discesi dall’Altromondo per combattere, i primi al fianco degli umani e i secondi contro, avidi di vita e desiderosi di far proprie le Terre dell’Esilio. Centrotrent’anni sono passati dalla prima grande guerra, e i Ben-Elim e gli umani sono riusciti a schiacciare gli eserciti di demoni e a chiudere il collegamento con l’Altromondo, tagliando i rifornimento dell’esercito del nemico e costringendo all’esilio terreno non solo i demoni, ma anche gli stessi angeli.
Nel presente narrato in Venti di Guerra, un medioevo in chiave fantasy, i Ben-Elim vivono tra gli uomini e proseguono la loro guerra, ridotta ormai alla mera caccia dei pochi Kadoshim sopravvissuti alla battaglia. E questi ultimi vivono da secoli nel’ombra, silenziosi ma ancora attivi, pronti a tornare alla luce quando l’occasione si rivelerà propizia. Il secolo trascorso, però, non ha influito negativamente solo sui demoni; anche lo schieramento alleato ha iniziato a incrinarsi e la convivenza forzata ha modificato drasticamente la configurazione delle Terre dell’Esilio, così come i rapporti tra i Ben-Elim e i loro alleati, gli umani per cui i primi hanno rinunciato alla vita nell’Altromondo quando il varco è stato chiuso. E questo il punto dal quale Gwynne sceglie di partire, aprendo la narrazione mostrandoci proprio quanto difficile sia la convivenza con il popolo alato e con le sue ferree leggi, alle quali gli umani sono costretti a sottostare.
Quattro punti di vista ci guidano alla scoperta delle Terre dell’Esilio, ciascuno inserito in un contesto diverso e scelto appositamente per mettere in luce una faccia del fragile equilibrio del mondo.
Il giovane Bleda è la nostra prima conoscenza e la sua è la voce di un Sirak, gli abitanti delle Praterie, fiero popolo indipendente costretto, come molti altri, a sottostare alle leggi Ben-Elim. La sua voce appare fin da subito l’incarnazione del dissidio, la rappresentazione perfetta di come un secolo di rapporti forzati abbia aperto uno spacco tra Ben-Elim e umani.
E insieme alla sua, a riecheggiare e rafforzare questa faccia della contesa, troviamo subito quella di Drem, cacciatore del nord che vive ai margini della società con il padre, il più lontano possibile dai domini Ben-Elim e in continuo movimento, liberi ed esclusi per scelta, ma destinati a venir travolti dalla realtà in continuo mutamento.
In opposizione ai due ragazzi, la terza voce è schierata nettamente dal lato Ben-Elim, perché la giovane Riv è proprio un’aspirante cadetto delle Ali Bianche, le truppe umane della città di Drassil, capitale dell’impero angelico. La sua è la voce di chi crede nella bontà del dominio angelico e la giovane incarna alla perfezione la generazione del connubio tra angeli e umani.
Infine, la gigantessa Siv è il confine sfumato tra le due barricate: è una fiera lama dell’Ordine dell’Astro Splendente, forza indipendente che combatte i Kadoshim al fianco dei Ben-Elim ma che ne sostiene solo in parte le politiche, rappresentando un’alternativa umana e gigante al governo e alla battaglia angelica.
La scelta di Gwynne di narrare questa storia sotto punti di vista differenti appare sin da subito vincente e l’autore si dimostra particolarmente esperto nel gestire lo sviluppo parallelo delle vicende, capace di imbastire quattro intrecci di trame e sottotrame destinati a incontrarsi solo sul finale, ma che riescono a incuriosire singolarmente e a trascinare il lettore lungo tutto l’arco narrativo.
Benché io non sia un’appassionata della narrazione per punti di vista (spesso infatti soffro dei continui passaggi di scena quando questi spezzano il filo delle vicende), mi sono trovata a riconoscere fin da subito quanto Venti di Guerra tragga notevole giovamento da questa scelta perché, attraverso gli occhi di quattro personaggi completamente diversi l’uno dall’altro, l’autore è capace di mostrarci molti dettagli di un mondo particolarmente complesso e stratificato e, soprattutto, di sviluppare una storia ramificata e contorta.
Se c’è un pregio innegabile in questo romanzo infatti, questo è proprio la solidità dei presupposti, la perfetta costruzione di un meccanismo in cui trama e personaggi sono ingranaggi oliati e innegabilmente funzionati.
Eppure, benché la trama sia effettivamente un punto di forza di Venti di Guerra, essa si rivela anche una fragilità, il primo dei piccoli difetti che mi hanno impedito di godere appieno di questa lettura.
La storia che Gwynne si appresta a raccontare, infatti, si percepisce entusiasmante, e questo volume la lascia presagire. Ma purtroppo si limita a questo.
Ne intuiamo la forza, assaporiamo la complessità dell’intreccio, ma Venti di Guerra non va mai oltre: sembra dichiarare esplicitamente di essere un primo volume, di voler aprire senza mostrare davvero, di voler stuzzicare senza soddisfare.
Gwynne si prende il suo tempo, sacrifica pagine su pagine per mostrarci scorci, rapporti, scenari, abbozzi di intrecci, ma nel farlo il volume scorre senza dare mai reale soddisfazione, e al termine della lettura la sensazione è di aver letto qualcosa di effimero e non ancora cominciato, di aver costruito fondamenta senza riuscire ancora neanche a immaginare quale costruzione si erigerà sopra.
In aggiunta a questo, non posso non notare come lo sviluppo vero e proprio della trama sia confinato alla seconda metà del volume, mentre la prima appare interamente finalizzata a farci conoscere le quattro voci protagoniste e le loro esistenze. Benché utile ai fini della scoperta dei personaggi, questo rende la prima metà lenta e contorta, e la seconda fin troppo carica di avvenimenti, cosa inificia leggermente il gusto della lettura.
Stiamo parlando di scelte narrative ovviamente, di elementi che ricadono nel gusto personale, eppure non posso non riconoscere che questo romanzo sarebbe potuto essere ancor più avvincente se l’autore avesse bilanciato meglio lo svolgimento della trama, magari allungando leggermente il volume e distribuendo più equamente l’approfondimento psicologico dei suoi personaggi (non tagliando però, perché trovo sia stato essenziale per comprendere a fondo le loro scelte).
Insomma, con un centinaio di pagine in più e la trama distribuita in modo più organico, con qualche rivelazione e accenno al futuro anche nella prima parte, il ritmo di Venti di Guerra sarebbe stato perfetto, e il volume sarebbe diventato una calamita ancor più efficace per qualunque appassionato del genere.
Oltre al difetto di ritmo però, il romanzo di Gwynne presenta anche qualche imprefezione di stile, dei momenti in cui l’autore pare abbandonare la voce aulica e attenta impostata al principio e scadere in piccoli dettagli spiacevoli: ripetizioni di concetti, frasi fin troppo contorte e a tratti soffocanti, espressioni reiterate.
Per fare qualche esempio su quest’ultimo elemento, quasi sempre i fatti avvengono ad Alto-sole (mezzogiorno), e non avrei notato questo dettaglio se Gwynne non vi ci fosse soffermato quasi con insistenza, collocando ad Altosole la partenza di un esercito, la scoperta di un nuovo indizio, una morte, una vittoria, una battaglia. O ancora, ogni evento consequenziale viene diviso da un lasso di tempo fissato, sempre “un dieci-giorni”. E dunque Sig riceve un messaggio e lascia una fortezza dopo “un dieci-giorni”, Drem e il babbo tornano nella cittadina dopo “un dieci-giorni”, gli eserciti Sirak si trattengono a Drassil “un dieci-giorni”.
Sono entrambi dettagli esili, che non rovinano lo spessore del romanzo né lo svolgimento della trama, eppure saltano all’occhio proprio perché reiterati, al punto da diventare, a tratti, leggermente antipatici.
Detto questo però, resta il fatto che Venti di Guerra si sia rivelato una lettura molto interessante e, soprattutto, un primo volume capace di incuriosire e attirare abbastanza da spingere a proseguire con la trilogia, curiosi di conoscere le sorti dei personaggi e quelle delle Terre dell’Esilio.
È una lettura che vi consiglio non solo se amate i racconti di guerra e di avventura, ma soprattutto se siete interessati anche alle vicende politiche, alle sottotrame, agli scoinvolgimenti nell’assetto del mondo che modificano drasticamente e continuamente le carte in tavola.
Vi posso garantire che in questo, John Gwynne si rivela estremamente abile.
I Ben-Elim, feroce stirpe di angeli guerrieri, hanno fatto irruzione nelle Terre dell’Esilio oltre centotrenta anni fa, sulle tracce dei loro eterni nemici, l’orda dei demoni di Kadoshim. Dopo averli sconfitti in una battaglia epocale, i Ben-Elim hanno fatto di questo mondo la loro casa, estendendone i confini e assoggettando antichi regni sotto il loro potere. Ma la pace nelle Terre dell’Esilio è fragile, e il loro indiscusso dominio è in pericolo. I Kadoshim sopravvissuti si stanno riunendo ai margini dell’impero, impazienti di tornare più agguerriti che mai. Per proteggersi, gli angeli guerrieri dovranno prendere decisioni molto difficili, mentre nell’ombra i demoni stanno solo aspettando il momento più propizio per colpirli…
Buona sera!
Ho appena finito di leggere il primo libro della saga e spinta da una fervente curiosità mi sono aggirata per il web per scoprire cosa le altre persone pensassero di questo primo volume.
Avendo letto tutta la saga precedente e avendola amata immensamente, non ho potuto resistere alla lettura anche di questo volume.
La saga precedente, seppur contenesse alcuni punti critici e imperfezioni, l’ho trovata coinvolgente ed emozionante. Sono arrivata alla fine del libro con il cuore gonfio di emozioni: felicità per la conclusione carica di eventi positivi, mista ad una tristezza immensa per dover abbandonare dei personaggi che nel tempo ho finito per amare sempre di più.
Questo per ammettere che questa nuova saga, per lo più, l’ho iniziata per poter ritrovare questi personaggi.
E sono delusa nel pensare che questo libro si limiti ad essere quasi un’ombra rispetto alla saga precedente.
La storia è coinvolgente, alle volte forse troppo lenta, ma gli intrighi e i misteri ti spingono a leggerla fino in fondo.
Ma è proprio nella parte finale di questo primo libro che più ho sofferto: dalla metà, come anche tu scrivevi, gli avvenimenti si sono succeduti con una velocità travolgente, senza la possibilità di riuscirseli a godere.
La fine mi ha lasciato l’amaro in bocca: personaggi che si sono delineati con un certo carattere, sono stati del tutto stravolti nell’ultimo capitolo (il comportamento di Riv mi pare incoerente, la narrazione perde di molto, non sembra più di trovarsi a leggere un romanzo fantasy di spessore quanto più un young adult di bassa lega: lei tanto irosa – anche troppo e ripetitiva a volte – e molto legata alla fede e tradizione, si trova a sorridere e volare nel cielo subito dopo che il suo mondo è crollato e sua madre e – presumibilmente – sua sorella sono morte?).
Senza contare poi che la traduzione italiana l’ho trovata piuttosto mal fatta – e qui mi rammarico nel non conoscere bene l’inglese: da errori come IL wolven tempesta e LA sua compagna Buddai, a frasi del tutto incoerenti.
Altra cosa che non ho apprezzato è stata la lunghezza dei capitoli e quindi delle varie scene dei punti di vista, nella saga precedente questo elemento era un punto di forza: capitoli brevi che interrompevano la narrazione per poco tempo, permettendo di tornare al punto di vista preferito in poco tempo, questo aiutava anche a conoscere meglio i vari personaggi – date le molte più scene narrate; inoltre i punti di vista erano molti di più e meglio caratterizzati.
Che dire, questa saga non inizia molto bene.
Mi trovo molto in linea con le tue critiche, anche se meno con le tue lodi: non ci vedo così tanti punti di positivi, percepisco solamente un calo enorme rispetto ai libri precedenti.
Spero che con il secondo libro arrivi un miglioramento, anche se dubito.
Cara Andrea,
quale gioia svegliarsi al mattino e trovare un commento così interessante sul blog! È una delle cose che amo di più di questo nostro angolino, la possibilità di raggiungervi e di scambiare con voi impressioni e pensieri sui libri che ci tengono compagnia.
Anche se sono passati alcuni anni da quando ho letto Venti di Guerra, nella tua analisi ho ritrovato molte delle sensazioni che questo libro mi aveva trasmesso, e sono stata assai lieta di potermi rispecchiare nelle impressioni che questo ti ha generato.
La tua è un’analisi davvero lucida e ben fatta e mi ha spinta a domandarmi: hai già una angolino tutto tuo dove riversare queste impressioni post-lettura? Perché in caso affermativo sarei davvero lieta di venirti a trovare e di leggere altro di tuo, per scoprire se condividiamo altri pareri e altre letture.
E in caso contrario, mi spingo fino a chiederti: hai mai pensato di scrivere per un blog? Recensioni come quella che hai affidato al tuo commento non si trovano spesso e per noi sarebbe davvero un piacere ospitare le tue parole, qualora volessi, qui su Chiacchiere Letterarie.
Fammi sapere, e ancora grazie per avermi fatto dono di questo bellissimo commento.
Un caro saluto
Denise
La forza narrativa di John Gwynne è la capacità di narrare numerose sotto trame all’interno di un unico grande racconto. Nella precedente trilogia, Inganno e Pregiudizio divisa in 4 parti. Le storie di tutti i personaggi legati a quella del protagonista Korban, ti faranno vivere un sacco di emozioni contrastanti fino alla fine senza mai lasciarti un’attimo di respiro. Ve la consiglio caldamente.