Su Jack lo squartatore si sono sparsi fiumi d’inchiostro. Sicuramente la sua storia è uno dei misteri dell’Inghilterra vittoriana che più ha affascinato il pubblico nell’ultimo secolo. A lui sono stati dedicati libri, articoli, film e sulla sua identità si sono avanzate le teorie più disparate. Ma quanti ricordano i nomi delle sue vittime? E in quanti hanno sempre data per scontata la versione ufficiale, secondo la quale tutte le vittime esercitavano la professione più antica del mondo?
Nell’immaginario collettivo, quella di Jack è una figura avvolta dal mistero, inafferrabile, astuta, quasi romantica. Le sue vittime sono invece ridotte a oggetti di scena, poveri resti senza più forma umana e dignità. Così non è: erano esseri umani, donne con desideri, sogni, paure, delusioni, famiglie, storie. Hallie Rubenhold, storica specializzata nel XVIII e XIX secolo e in storia delle donne, intraprende un minuzioso percorso di ricerca, spulciando archivi, registri e testimonianze, per ricostruire le vite di donne che sono state uccise due volte: prima dal loro assassino, poi dal pregiudizio. In occasione del Women’s History Month, vi invito a scoprire di più sulle vite di Mary Ann “Polly” Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly in questa recensione di The Five: The untold lives of the women killed by Jack the Ripper.
Un punto in comune: l’alcol
C’è un filo rosso che unisce le vite di tutte le donne uccise da Jack lo squartatore ed è l’alcol. Per tutte e cinque l’alcol ha avuto un ruolo fondamentale nel determinare la direzione delle loro vite, che sembravano inizialmente avviate su altri più promettenti binari.
Mary Ann Nichols era una madre di famiglia residente in un rispettabile quartiere popolare, prima che la bottiglia e i tradimenti del marito la condannassero a un’esistenza di vagabondaggio e a continui ricoveri presso le terrificanti workhouse londinesi.
Annie Chapman, per un periodo della sua vita, aveva fatto una vita “da signora”, come moglie del cocchiere di un ricco ufficiale giudiziario. Furono i ripetuti lutti familiari, in particolare la morte della figlia dodicenne, a spingerla su una strada senza ritorno segnata da alcolismo e notti passate all’aperto.
Per Elisabeth, nata e cresciuta nella Svezia rurale, la partenza per l’Inghilterra avrebbe dovuto rappersentare un nuovo inizio. Nel suo paese d’origine, si sospetta, una gravidanza al di fuori del matrimonio l’aveva marchiata a fuoco come donna perduta. A Londra si era sposata e con il marito aveva aperto un caffè, ma il fallimento dell’impresa e del matrimonio aveva esarcebato il suo alcolismo.
Catherine Eddowes, sebbene nata in una famiglia operaia, aveva ricevuto una buona educazione presso la Dowgate Charity School, che avrebbe potuto assicurarle un’esistenza migliore di quella dei suoi genitori. La dipendenza dall’alcol e la scelta di legarsi a un venditore ambulante le riservarono un destino tragicamente diverso.
Di Mary Jane Kelly si sa poco, se non che probabilmente era nata in una famiglia di ceto medio, o comunque istruita, che doveva conoscere il francese e che aveva buone doti artistiche. In un primo momento, aveva condotto una vita piuttosto agiata come cortigiana nei quartieri benestanti di Londra. Quando beveva, diventava chiassosa e aggressiva.
Le canonical five erano davvero prostitute?
La narrativa è nota a tutti: Jack lo squartatore uccideva le prostitute di Whitechapel. Eppure, stando ai documenti e alle testimonianze, solo due su cinque delle sue vittime esercitavano la prostituzione. Elizabeth Stride aveva iniziato a farlo già da prima di trasferirsi in Inghilterra, l’unico mezzo di sopravvivenza concesso a una donna disonorata. Mary Jane, lo abbiamo detto, esercitava inizialmente per clienti di alto livello e questo le aveva consentito di ottenere una certa prosperità. Ma le altre?
Stando ai documenti e alle informazioni raccolte da Rubenhold, non c’è alcun indizio che faccia pensare che Mary Ann, Annie e Catherine avessero mai ricorso alla prostituzione come mezzo di sopravvivenza. Su Mary Ann Nichols, anzi, abbiamo testimonianze secondo le quali non si sarebbe mai piegata a guadagnarsi da vivere così. Gli storici e il pubblico hanno sempre dato per scontato che le donne fossero state aggredite e uccise da un cliente, ma secondo Rubenhold, pare molto più probabile che siano state sorprese nel sonno, in giacigli improvvisati per strada. Perché dunque tutte e cinque, indistintamente, furono bollate come prostitute?
La risposta è semplice: per la morale vittoriana (e non solo), una donna “irregolare”, che non vivesse in una situazione legittima con un marito, una famiglia, una casa, un certo livello di decoro, era a tutti gli effetti una prostituta, indipendentemente dalla sua occupazione. Tutte e cinque avevano dovuto legarsi a uomini per ottenere supporto e protezione, ma sembra che si trattasse, a tutti gli effetti, di relazioni sentimentali esclusive. Questo non cambiava molto la situazione agli occhi della società vittoriana, che non esitò a bollarle tutte come donne perdute.
Non solo vittime: una dignità restituita
Per oltre un secolo, le donne uccise da Jack lo squartatore sono state private della propria identità, della propria storia e della propria voce. Con questo libro, Hallie Rubenhold mette al centro della narrazione queste donne e non l’uomo che le ha assassinate. Mary Ann, Annie, Elizabeth, Catherine e Mary Jane possono finalmente raccontare la propria storia. È una storia di soprusi, ingiustizie e pregiudizi in una società crudele e spietata, il cui sanguinario epilogo non è che l’ennesimo abuso. È anche la storia di persone che, con tutte le loro sfaccettature, hanno lottato, amato, sofferto, sperato. Persone che desideravano una vita migliore e che meritano di essere ricordate come qualcosa di più che vittime e prostitute.