Le feste natalizie sono tradizionalmente periodo di uscite cinematografiche e appuntamenti di fronte al grande schermo per le famiglie. Con il periodo natalizio ormai alle spalle, vi proponiamo la recensione del Pinocchio di Matteo Garrone, vera rivelazione cinematografica di questa stagione.
Una trama che non ha bisogno di presentazioni
Chiunque conosce almeno per sentito dire la storia di Pinocchio, il burattino miracoloso che non vuole saperne di andare a scuola e si ritrova coinvolto quasi suo malgrado in un turbinio vortiginoso di avventure prima di potersi ricongiungere con il padre e diventare finalmente “un ragazzino per bene”. Scritta da Carlo Collodi e pubblicata a puntate nel Giornale per i bambini, le trasposizioni, interpretazioni e rielaborazioni di quest’opera ormai non si contano più. È un classico della letteratura italiana, al pari solo della Divina Commedia, e un classico, come scriveva Calvino, non ha mai finito di dire quello che ha da dire. Ecco dunque che Garrone, dopo il suo Racconto dei racconti del 2015, ci propone la sua interpretazione di questa favola universale e orgoglio della letteratura italiana, dimostrando conoscenza e profondo rispetto dell’opera, ma conferendole il suo tocco personale .
La sceneggiatura
Al contrario di altre trasposizioni della favola di Collodi (una su tutte quella Disney), il film rispecchia in maniera piuttosto fedele la trama dell’originale. Come nel libro, troviamo elementi inquietanti, spettrali, crudeli, come la terribile fuga di Pinocchio nel bosco per finire impiccato dagli assassini, e aspetti satirici e ironici come la scena del giudice gorilla nella città di Acchiappa-citrulli (che vuole buttare Pinocchio in galera perché si dichiara innocente, ma lo fa liberare non appena afferma di essere un malandrino).
Ma soprattutto, del capolavoro collodiano, il film mantiene il tono fiabesco e surreale. Nessuno, per esempio, sembra stupirsi del fatto che Pinocchio, un burattino di legno, parli e cammini come qualunque altro bambino. Nessuno sembra nemmeno scomporsi più di tanto di fronte ad animali parlanti, fate ed eventi miracolosi: è chiaro che ci troviamo nell’universo della fiaba. Forse l’unico aspetto che dell’originale viene parzialmente a mancare è il suo tono scanzonato, comico e pungente.
La fedeltà del film all’opera originale è evidente anche nei dettagli, a partire dalla rappresentazione del Paese dei Balocchi: non un luna park coloratissimo e sfavillante, ma un luogo calato in una realtà popolana, semplice, dove i bambini sono liberi di giocare e scatenarsi. Per la prima volta, inoltre, vediamo in una trasposizione filmica del libro di Collodi, una Fata dai capelli turchini bambina, proprio come si presenta inizialmente nell’originale, sorellina e amica per Pinocchio.
Proprio la fedeltà all’originale si rivela una delle debolezze del film. Le avventure di Pinocchio, un po’ per la sua natura di favola e un po’ in virtù della pubblicazione a puntate, ha una struttura disomogenea e poco coerente. Questo si riflette anche nel film, che a tratti soffre di un andamento un po’ lento e spezzato, per poi concludersi piuttosto bruscamente.
Il cast
Il cast vanta attori di grande calibro. Perfetta per il ruolo di Geppetto la scelta di Roberto Benigni, che con la sua prorompente toscanità sa rendere appieno il tono dell’opera originale. È particolarmente interessante notare che lo stesso attore avesse interpretato Pinocchio nel suo film del 2002, mentre nel film di Garrone si cala nei panni dell’anziano genitore del burattino, sempre amorevole e pronto a perdonargli ogni marachella.
Altro attore di lungo corso è Gigi Proietti, azzeccatissimo nel ruolo di Mangiafuoco, terribile, burbero, ma in fondo con un cuore d’oro. Anche la Fata, interpretata nella sua versione adulta dalla francese Marine Vacth, è convincente: una creatura eterea, angelicata, bellissima, quasi una Madonna sempre pronta a soccorrere il figliol prodigo Pinocchio.
Vera sorpresa di questo film è l’interpretazione di Massimo Ceccherini, la cui interpretazione della Volpe è assolutamente impeccabile e che ha inoltre contribuito a scrivere la sceneggiatura. In coppia con Rocco Papaleo nel ruolo del Gatto, i due formano un duo sinergico di grande efficacia, comico, crudele e patetico al tempo stesso.
E il protagonista?
Un po’ sottotono l’interpretazione del giovanissimo protagonista, Federico Ielapi, che non rende del tutto l’energia scoppiettante e la natura burlesca del protagonista del racconto. Ad altri come a me sarà forse corsa la mente a Giorgio Cantarini, il piccolo protagonista insieme a Benigni del suo capolavoro, La vita è bella. Più volte durante il film mi sono ritrovata a pensare che la sua energia e personalità si sarebbero ben adattate a questo ruolo, che rimane comunque complesso e impegnativo per un attore così giovane.
La fotografia e gli effetti visivi
Il film si contraddistingue per una fotografia limpida e sontuosa, che lo fa sembrare quasi un dipinto. Sia nel realismo delle scene nei villaggi e in aperta campagna, sia nelle atmosfere tenebrose del bosco notturno e in quelle incantate della casa della Fata, le immagini contribuiscono a delineare perfettamente ambienti e personaggi.
Straordinari anche gli effetti visivi, soprattutto se si considera che sono realizzati non attraverso la grafica digitale, ma attraverso il make-up. Garrone per questo si è affidato al make-up artist Mark Coulier, vincitore di due premi Oscar per The Iron Lady e Grand Budapest Hotel. Federico Ielapi ha dovuto sottoporsi a lunghissime sessioni di trucco durante le riprese e il risultato è davvero stupefacente.
Gli scenari
Come nel libro, i paesaggi sono quelli rurali e contadini di una campagna toscana suggestiva ma poverissima. In questo paesaggio campagnolo, però, si celano mondi fantastici e inaspettati. Il villaggio di Pinocchio, con le case in pietra, la scuola, le botteghe, è uno dei tanti paesini toscani della fine dell’Ottocento, ma con il teatro dei burattini si entra in uno spazio di fantasia, colorato e chiassoso. La campagna nasconde città governate da animali antropomorfi e boschi spettrali. Nel buio della foresta, si cela una casetta solitaria, abitata da una fata e da altre creature fantastiche.
Curiosamente, nonostante il carattere tutto toscano del paesaggio, solo parte delle riprese si sono svolte in Toscana. Il paese di Geppetto è stato ricostruito presso la tenuta La Fratta, in provincia di Siena, mentre il resto delle riprese si è svolto in Puglia e in Lazio.
La colonna sonora
Le musiche del film sono opera di Dario Marianelli, che ha curato le colonne sonore anche per film come Orgoglio e pregiudizio e Anna Karenina. Le sue composizioni creano un’atmosfera fatata, sognante, perfetta. Sembra mancare però l’allegria che contraddistingueva la colonna sonora della serie di Luigi Comencini, composta da Fiorenzo Carpi.
Per concludere…
Con il suo Pinocchio, Matteo Garrone è riuscito in un obiettivo ambizioso: realizzare un film, tutto italiano, che come Il racconto dei racconti riscopre e celebra la tradizione del “fantasy” made in Italy. Il risultato è un’opera esteticamente perfetta, una fiaba capace di riportare lo spettatore alle atmosfere sognanti dell’infanzia. Unica pecca, la mancanza di quel calore e di quell’energia comica che aveva invece contraddistinto il Pinocchio di Comencini.
Potete trovare qui un’interessante recensione delle Avventure di Pinocchio, mentre per un’intepretazione davvero suggestiva del capolavoro collodiano vi invito a visitare il sito dell’illustratore Roberto Innocenti.