Recensioni

Recensione Non dimenticare chi sei di Yaa Gyasi


“La famiglia è come la foresta: vista da fuori appare compatta; dall'interno, invece, si vede che ogni albero occupa la propria posizione.”
Proverbio akan

Effia e Esi, due sorelle che non si conoscono, dai destini incredibilmente diversi. Da loro nascono due rami della famiglia, due foreste distinte destinate però a ricongiurgersi alle estremità molti anni dopo.
La nostra storia comincia nel 1764 in Ghana, in un villaggio farsi, dove Effia nasce dalle fiamme una notte d'estate, e cresce odiata dalla madre Baaba. Continua qualche anno dopo in un villaggio ashanti, dove Esi apre gli occhi tra le braccia di una madre che la ama e di un padre che stravede per lei. Tra le due ragazze non sembrano esserci punti in comune, eppure Effia e Esi sono sorelle, anche se non lo sanno. Le loro vite andranno avanti in modi quasi opposti, e una delle due verrà addiritura allontanata dalla sua terra, venduta come schiava in Europa. Da loro nasceranno due discendenze, due alberi genealogici distinti che percorrono più di due secoli di storia; e noi li percorriamo con loro, spostandoci di antenato in discendente, viaggiando dal Ghana alla America e ritorno, attraversando tutte le dolorose fasi della vita del popolo africano.
Vediamo dunque i primi commerci di schiavi degli inglesi e degli olandesi, il lavoro nei campi di cotone americani, le persecuzioni razziali del periodo della secessione, e poi ancora oltre fino alle leggi razziali degli anni cinquanta del novecento e infine alla loro abolizione e ai primi timidi segni di integrazione. Di madre e padre in figlio, conosciamo tutti i volti delle famiglie di Effia e Esi, e tramite loro tocchiamo con mano una piccola parte del doloroso viaggio di un popolo devastato dall'imperialismo occidentale.

Ad ogni membro della famiglia, e dunque ad ogni spaccato d'epoca, è dedicato un capitolo, lungo a sufficienza per permetterci di assaporarlo, ma non abbastanza per farci affezionare. Il tempo di conoscere la vita del protagonista, i suoi pensieri, e poi di nuovo via verso un nuovo volto, una nuova storia, un nuovo destino. Ogni storia racchiude ovviamente in sé elementi di dolore, disagio, ingiustizia, crudeltà. È facile dunque percepire il primo intento di Yaa Gyasi nella scrittura di questo romanzo: l'accusa sociale filtra indisturbata tra le pagine, ci investe già dal primo capitolo in tutta la sua giusta potenza; non ci sono scusanti né sconti, la cruda drammaticità del destino di un popolo ci impatta addosso con tutta la sua violenza, lasciandoci attoniti e doloranti.
Non serve dunque che l'autrice ne sottolinei l'esistenza, l'ingiustizia è tale da sentirsi anche nelle azioni quotidiane, nei volti di coloro che incrociano lo sguardo dei protagonisti, nelle parole dette a mezza voce, negli atteggiamenti ritenuti fino a qualche secolo fa non solo giusti, ma addiritura legittimi.
Se però è semplice sentire questo primo aspetto, ben più complesso è percepire il secondo intento: sommersi dall'ingiustizia, infiammati dalla crudeltà che leggiamo, rischiamo quasi che questo passi inosservato. Ciò nonostante, scorre timidamente verso di noi tra le pagine, fa capolino tra un dolore e l'altro, accompagnandoci fino alla fine del percorso. Emerge in un canto sussurrato e poi urlato in una piccola chiesa americana, in una famiglia separata e poi quasi casualmente ricongiunta, in una libertà sudata e dolorosamente guadagnata. Ci vuole tempo per individuarlo e riconoscerlo, ma quando lo si fa ne siamo quasi travolti, ci lascia quasi più spiazzati dell'ingiustizia di cui siamo stati sommersi: si tratta della speranza, forse l'ultimo dei sentimenti che riterremmo plausibile in situazioni come quelle vissute dai protagonisti di questo romanzo, eppure ciò nonostante il più umano e forte dei sentimenti. È la speranza di superare un momento terribile per vivere ancora nuovi giorni, la speranza che le cose finalmente riprendano a funzionare. La speranza di rincontrare un giorno coloro che abbiamo perso o ancora di tornare a toccare quella terra alla quale sentiamo di appartenere anche se non l'abbiamo mai vista, ma che sentiamo pulsare nelle vene, nel profondo del nostro stesso essere. È la speranza a plasmare l'esistenza dei personaggi del romanzo, o in alcuni casi la sua stessa assenza. Senza di essa, molti di loro si sarebbero arresi ben prima di vedere le cose sistemarsi e quando essa abbandona alcuni di loro, il loro mondo precipita richiudendoli nella sofferenza dalla quale non vedono uscita. Poi però qualcuno al loro fianco continua a sperare, e la forza della loro speranza è sufficiente a tirarli su entrambi.

Se il primo scopo di Yaa Gyasi è quello di mettere in luce, di far conoscere le ingiustizie che hanno caratterizzato un intero popolo, il secondo, ben più potente è quello di ricordarci che anche quando il destino ci è avverso, anche quando il mondo ci sommerge e ci schiaccia, la speranza non ci deve abbandonare mai. Perché è questa a permetterci di reagire, di lottare contro le ingiustizie e le avversità. Così, anche se molti di questi personaggi vivono un esistenza spezzata, distrutta, sono sempre in grado di trasmettere quella scintilla ai loro figli, e questi a loro volta la trasmettono ai loro, in una catena che da Effia e Esi arriva fino a Marcus e Marjorie, gli ultimi discendenti, destinati a chiudere il filo di quella famiglia spezzata, ricucendo i destini delle due sorelle e simbolicamente del loro intero popolo.
Un viaggio temporale e spaziale quello che la Gyasi ci regala, ma soprattutto un viaggio interiore, una crescita continua, simbolica e reale, tesa verso l'obbiettivo che accomuna ogni essere umano: la ricerca della propria forma di libertà.


Un ringraziamento sincero va alla casa editrice Garzanti per avermi permesso di leggere questo romanzo, ma uno è destinato anche a Federica Frezza del canale Prismatic310, che parlando dell'edizione americana di questo romanzo ha instillato in me la curiosità ben prima che uscisse qui in Italia.

Trama:
Effia è nata in una notte di fuoco. Le fiamme dal bosco si sviluppano veloci senza sosta, travolgendo ogni cosa al loro passaggio. Ma lei, più forte, è sopravvissuta. Nonostante sua madre sia stata costretta a fuggire lontano da lei.
Pochi anni dopo, in un villaggio vicino, nasce Esi. Amata e protetta dalla sua famiglia, cresce felice fino al giorno in cui tutto cambia all’improvviso.
Due donne e un legame indistruttibile. Perché Effia ed Esi sono sorelle. Ma non lo sanno. E non lo sapranno mai. Non sapranno mai che quella collana che entrambe portano è l’unica cosa che rimane loro della madre: un ciondolo di pietra nera che luccica come se fosse ricoperto di polvere d’oro. Un ciondolo in grado di dare conforto e speranza. Il destino le trascina distanti l’una dall’altra. Effia sposa un governatore inglese, Esi è venduta come schiava negli Stati Uniti.
Eppure quello che le unisce va oltre il tempo, le distanze, le curve della vita. E generazione dopo generazione, decennio dopo decennio, quest’eredità fatta di opposti viene accolta da due ragazzi: Marcus e Marjorie. Non sanno nulla del loro passato, le loro origini si perdono in vecchi racconti e leggende. Non sanno che hanno il compito di riannodare quel filo spezzato anni e anni prima. Ma sanno che senza radici non si può costruire nessun futuro. Bisogna sapere da dove si viene per ritrovare sé stessi. Insieme sono pronti a farlo. Perché il ciondolo di pietra nera che Marjorie possiede, con Marcus accanto, vibra sulla pelle come se volesse raccontare una storia. Una storia che sepolta freme per tornare alla luce.
Un romanzo acclamato dalla stampa americana. Vincitore del prestigioso John Leonard Prize e finalista del PEN American Literary Award, ha subito scalato le classifiche del «New York Times» ed è stato venduto in tutto il mondo. Yaa Gyasi si è conquistata un posto d’onore nel firmamento della letteratura mondiale, facendo di Non dimenticare chi sei l’esordio dell’anno. Una storia sulle infinite strade che può percorrere il destino. Una storia sulla ricerca delle proprie radici. Una storia sull’amore che dà il coraggio di trovare risposte. Perché il futuro nasce dal passato. E solo conoscendo le nostre origini possiamo incamminarci verso il nuovo giorno.

Denise on FacebookDenise on InstagramDenise on Linkedin
Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.