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Recensione Mindhunter

Mindhunter, serie Netflix nata nel 2017, è in breve tempo diventata un vero e proprio cult per gli appassionati del true crime. Ma in quanti sanno che nasce da un libro? Si tratta infatti dell’autobiografia, personale e professionale, di John Douglas, ex agente speciale dell’FBI. Chi mi conosce sa che sono una grande appassionata di true crime e investigazioni e, dopo aver divorato la serie TV, mi sono immersa in questo libro con aspettative molto alte. Posso dirvi che queste aspettative non sono state deluse. Vi racconto il perché nella mia recensione di Mindhunter: La storia vera del primo cacciatore di serial killer americano (ora pubblicato in una nuova edizione, per il momento disponibile solo in inglese).

Mindhunter-cover

John Douglas: come è approdato all’FBI

Recensione Mindhunter

La prima parte del libro è dedicata alla vita e alla carriera di John Douglas, che nella serie ha liberamente ispirato il personaggio protagonista, Holden Ford, interpretato da Jonathan Groff. Ammetto che ho letto questa prima parte con una certa insofferenza, impaziente com’ero di passare subito ai casi più avvincenti, ma c’è da dire che il percorso di Douglas, dalla sua aspirazione a una carriera veterinaria all’arrivo all’FBI, è affascinante. Il suo è davvero un caso in cui la serendipità ha giocato un ruolo fondamentale, portandolo di scelta in scelta, dall’esercito agli studi di psicologia, fino al suo lavoro come agente speciale per l’FBI, un ruolo del quale ha rivoluzionato i metodi e le tecniche investigative. Un percorso inaspettato che mi ha ricordato, una volta di più, che la vita accade mentre sei impegnato a fare altri progetti. Fin da giovanissimo, due caratteristiche sembravano predisporre Douglas a una carriera in campo investigativo: la capacità di immaginare e raccontare storie e la sua abilità nel soppesare la psicologia degli avversari sul campo da baseball.

Le interviste

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È nel corso di lunghi viaggi per l’America, realizzati per tenere corsi di formazione per agenti di polizia, che Douglas ha l’intuizione di intervistare serial killer e altri criminali incarcerati per reati sessuali. Un’idea che oggi può sembrare scontata, ma che all’epoca era rivoluzionaria e incontrò non poche resistenze. Chi meglio degli stessi responsabili di crimini simili può aiutare a gettare luce nella mente dei serial killer?

I resoconti dei suoi incontri con i criminali più famosi d’America, dei loro pensieri, delle loro vite spesso precarie e disfunzionali sono fra le parti più affascinanti del libro. Alcuni dei serial killer intervistati sembrano dominare come giganti sulla narrativa, diventando figure quasi leggendarie. È il caso di Edmund Kemper, il killer delle studentesse con cui Douglas riesce a stabilire un rapporto quasi amichevole, Richard Speck, responsabile dell’omicidio di otto allieve infermiere, o David Berkovitz, noto anche come Figlio di Sam. Douglas è tuttavia molto attento a non glorificare i responsabili di omicidi tanto efferati. “Responsabili” è la parola d’ordine: per quanto traumatico il loro passato, Douglas ricorda che hanno scelto coscientemente di fare del male e per questo non esiste giustificazione possibile.

Il ricordo delle vittime

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Così come non assolve gli assassini dalle loro colpe, Douglas si dimostra molto attento e sensibile nei confronti delle vittime e dei loro familiari. Particolarmente toccante è il tributo a Shari Faye Smith, giovanissima vittima di Larry Gene Bell. La diciassettenne, nel corso del suo sequestro, scrisse una dolcissima lettera ai suoi familiari. Consapevole del destino che l’attendeva, la ragazza volle esprimere per un’ultima volta l’amore per la sua famiglia e li incitò a essere forti e a non abbandonare la propria fede.

Il metodo investigativo

Fin da giovane, Douglas dimostra una certa abilità nell’analizzare la psicologia e i pensieri di chi si trova davanti. Con i suoi studi in psicologia, affina questa tecnica fino a farne una forma d’arte. In effetti, se non spiegasse e illustrasse il metodo scientifico che c’è dietro, si direbbe che abbia la capacità di leggere nel pensiero, tanto i suoi profili psicologici sono accurati. Questo è un aspetto dei metodi d’indagine che mi ha sempre affascinato, ancora più della ricerca di indizi o delle prove del DNA. Tutto avviene nella mente del profiler, in un esercizio puramente psicologico. In questo senso, l’investigatore deve imparare a mettersi nei panni dell’assassino, capirne i desideri, le pulsioni, le frustrazioni e le paure. Il rischio è anche quello di arrivare a identificarsi con il colpevole, magari perfino a simpatizzare con lui, ed è un aspetto che può generare molte controversie. Douglas lo mette in chiaro nella sua narrazione: non si tratta di giustificare i colpevoli, ma di capirli e di entrare nella loro mente.

Gli interrogatori

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Questo metodo può essere impiegato anche come strumento per gli interrogatori. Se il sospettato si sente compreso e tranquillizzato, può abbassare la guardia e scoprire un punto debole. Allo stesso tempo, l’interrogatorio deve essere preparato e allestito come una scena teatrale, mettendo il sospettato sotto pressione. È ciò che Douglas ha suggerito di fare durante l’interrogatorio di Darrell Gene Devier.

Devier, responsabile dello stupro e omicidio di Mary Frances Stoner, ci mise poco a crollare. I detective prepararono voluminose cartelle piene di fogli bianchi e condussero l’interrogatorio con alcuni agenti dell’FBI. Questo diede a Devier l’impressione di essere in guai grossi. Ancora più importante, misero in evidenza nella sala interrogatori l’arma del delitto, una grossa pietra macchiata di sangue. Infine, Douglas suggerì agli investigatori di proiettare, nel corso dell’interrogatorio, la responsabilità di quanto avvenuto sulla vittima. Questa mossa, per quanto odiosa per gli agenti, contribuì a far sentire Devier compreso. Decise così di fidarsi della polizia e confessò tutto.

Il confronto con la serie TV

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Solitamente si inizia con il leggere il libro per poi guardare il film o la serie TV che ha ispirato. Nel mio caso, questo percorso si è invertito e, per chi come me ha seguito e amato la serie TV, il libro potrebbe risultare un po’ lento. Anch’io inizialmente scalpitavo per passare alle interviste e ai casi più appassionanti, ma presto sono entrata nel ritmo, rimanendo incollata alle pagine fino a notte fonda. Douglas costruisce la sua narrazione un tassello dopo l’altro, con dovizia di particolari e sensibilità. La serie TV, com’è naturale, si concede alcune licenze creative rispetto all’originale. Il personaggio di Holden Ford corrisponde solo in parte alla biografia del vero Douglas, così come alcuni casi affrontati nella serie non sono stati gestiti da lui in prima persona. Sempre per esigenze di trama, la serie TV ha tralasciato alcuni casi che ho avuto modo di scoprire grazie al libro.

Solitamente, come accennavo poco sopra, si legge prima il libro e si guarda poi il prodotto cinematografico o televisivo, chiedendosi se sarà all’altezza dell’originale. Per me è stato il contrario. Posso dunque dire che la biografia di John E. Douglas è un originale di altissimo livello, a cui la serie TV ha saputo rendere onore e che non deluderà chi ha già seguito le indagini di Holden Ford sul piccolo schermo.

Rimane un’unica domanda: quando uscirà la terza stagione della serie?

Elisa
La lettura è stato il mio primo amore, le lingue straniere il secondo. Traduttrice, bibliotecaria, appassionata di letteratura per l'infanzia, classici letterari, femminismo, cucina e cinema. Credo fermamente che un adulto creativo sia un bambino sopravvissuto.