“Dalle mie parti c’è sempre stato vento. Vento possente e intrigante. Vento che fruga e che rende impazienti. Vento che sembra salire da un lontanissimo mare a levigare le pietre e spezzare famiglie e rami di alberi forti. Ma se la tua faccia non ha mai preso schiaffi sull’altopiano di Nurri, non puoi capirmi. E non puoi capire come si sente l’avena selvatica di Mandas a maggio, quando ondeggia alta e verde e irrequieta come oggi.”
Avere un posto in cui tornare, un luogo che contiene le nostre radici, che sostiene la crescita dei nostri rami, lo spuntare delle foglie e la loro caduta; non c’è a mio avviso fortuna più grande di questa.
Nel mio caso poi si tratta di radici solide, belle, ricche, come forse solo chi è nato in Sardegna può riconoscere di possedere; la mia è una terra antica, intessuta di tradizioni, di fascino, di mistero, di vita. È una terra che per quanto soffra della partenza di molti dei suoi rami, vive nella consapevolezza che le loro radici non si perderanno mai del tutto. Perché una volta che nasci in una terra come la mia, è difficile separartene davvero.
Come molti altri sardi, costretti da esigenze lavorative o di studio a lasciare il proprio porto sicuro, anch’io mi trovo a passare buona parte della mia vita attuale lontana dall’unica terra che potrò mai chiamare casa. Eppure sono uno dei rami più fortunati, perché posso ritornarci spesso, quasi ogni volta che voglio; e quando nonostante tutto il bisogno non posso rientrare nel suo grembo protetto, mi accontento di cogliere i frutti di alcuni dei suoi rami migliori.
Maria di Isili di Cristian Mannu è proprio questo: il frutto del lavoro di uno dei figli di Sardegna, uno dei fortunati che può dire di viverla da vicino, e che ne è innamorato al punto da scrivere di lei. O per meglio dire, di scrivere grazie a lei.
È difficile non notare quanto l’aria, o come direbbe Cristian il vento, di quest’isola, sia il cuore e il fulcro stesso del romanzo; vento declinato in tutte le sue sfaccettature certo, da quella climatica a quella più spirituale. Un vento che plasma la natura che attraversa ma che plasma in modo ancora più profondo gli esseri che la calcano.
Sopra tutti, il vento di Sardegna ha plasmato Maria, creatura pregna di passioni, vita così fluida da sembrare quasi vento agli occhi di chi la circonda; fin da piccola Maria è diversa dalle altre bambine: in lei scorre qualcosa, una scintilla di anima primordiale che fluisce dal suo essere alle sue mani, fino alle tele di filo e rame che le sue mani intrecciano senza posa, in modo istintivo, incontrollabile.
Ed incontrollabile è anche la passione che la travolge, che la lega a filo doppio ma lasco ad un uomo che non le appartiene se non nel più profondo dell’anima, che può essere suo solo per un soffio di pensiero, ma che per quell’attimo in cui esiste dentro di lei è tenace quanto il soffio incontrollabile del vento che piega gli alberi al suo passaggio.
Lacrime e poesia sono i due elementi che giungono più intensamente a noi trasportati dal vento di Cristian Mannu; si rincorrono di continuo tra le sue pagine, scorrendo su ogni personaggio che li plasma sulla sua anima, caricandoli del suo dolore e della sua intensità. Insieme a loro viaggiano tradizioni e misteri che solo una terra antica come la Sardegna può contenere e mantenere intatti lungo un arco temporale così lungo come quello in cui veniamo condotti, uno spazio cristallizzato in un’epoca quasi sbiadita, in cui non conta il tempo vero e proprio, quanto più le persone che lo percorrono. Così potremmo trovarci nel 1700 come nel 1900, e la storia avrebbe lo stesso peso, la stessa forza espressiva e narrativa, e non la troveremmo discordante in nessuno dei due casi; perché il vento, il dolore, l’amore e soprattutto la poesia, sono flussi ininterrotti che scorrono nella storia dell’uomo, ripetendosi circolarmente, riadattandosi di volta in volta ai nuovi occhi, alle nuove labbra, ai nuovi cuori.
Così la storia di Maria di Isili è tanto più intensa proprio perché indefinita: potrebbe essere la storia di molte donne che vivono o hanno vissuto in Sardegna, donne che non si sono fatte piegare dal vento ma che hanno deciso di estirpare le loro radici per lasciarsi trasportare. E così hanno vissuto sospese, prede dei capricci del vento, ma in fondo totalmente, intensamente libere.
Zia Borìca, che di neonati ne ha visti nascere tanti, capisce subito che quegli occhi così azzurri possono solo essere opera di un angelo o di un demonio. Sin da bambina Maria si distingue dal resto della famiglia: dalla madre vestita di scuro con lo sguardo fisso nel vuoto, dal padre che ha gli occhi neri più del camino sporco di fuliggine, dalla sorella maggiore Evelina che ha sempre un rosario in mano.
Maria è ardente e sognatrice, e ha una dote speciale: sotto le sue mani il telaio è come un pianoforte, con cui dà vita ad arazzi meravigliosi, intrecciando sapientemente lana e rame. Un dono grazie al quale sembra destinata a un futuro felice, nel piccolo villaggio di Ísili, dove il vento che sferza le pietre delle case profuma di avena selvatica e rosmarino. Ma un giorno in paese arriva Antonio Lorrài, il ramaio, il gitano, bello come un principe delle favole sul suo cavallo nero. E per la prima volta Maria, che a sedici anni non ha mai baciato nessuno, si sente accendere come un fiore nel fuoco. Anche se Antonio sta per sposare la sorella Evelina, Evelina che lei ama profondamente, Evelina che aspetta un figlio da quell’uomo oscuro…
In una polifonia di voci, in uno stile denso e compiuto, dal sorprendente respiro metrico, Cristian Mannu ci regala la storia di una donna che, pagandone il prezzo, segue la legge del desiderio, sfidando gli interdetti sociali, sullo sfondo di una Sardegna arcaica popolata da vagabondi, levatrici-accabadore, figli burdi, fatti di sangue e indicibili segreti.