Credo che per un lettore non esista sensazione più esaltante, e devastante al contempo, del giungere al termine di un lungo percorso narrativo.
L’impressione, soprattutto quando si parla di una saga duratura come questa, è quella di aver concluso un viaggio che è stato parte della nostra stessa vita.
E per me, leggere la riga conclusiva de Il piano di Archer – quinto e ultimo volume della saga Jolly Roger – è stato un po’ come lasciar andare un compagno di avventura.
Ho cominciato questo viaggio tre anni fa, quando il blog era ai suoi albori e la vita mi aveva fatto incrociare Gabriele Dolzadelli, intraprendente autore self e tra i primi ad essersi appoggiato e fidato di Chiacchiere Letterarie.
Avevo letto il suo primo romanzo quasi con timore, non del tutto certa di essere in grado di rendere giustiza a un autore che a quelle pagine aveva affidato i suoi sogni, e le sue aspirazioni.
E all’inizio mi ero lasciata trasportare sull’isola di Puerto Dorado con titubanza, timorosa che il grande numero di personaggi e di vicende mi avrebbe travolta, togliendomi il fiato e lasciandomi frastornata; poi però, quell’intreccio fitto di personaggi, di vite ustionate dal sole e temprate dal sale del Mare dei Caraibi, era riuscito ad affascinarmi in modo sempre più forte, al punto da spingermi a continuare volume dopo volume e anno dopo anno, fino a questa sofferta ma inevitabile conclusione.
Nel tempo, gli abitanti di Puerto Dorado sono diventati dei veri e propri compagni di viaggio e ogni ritorno tra le pagine è stato l’occasione per ritrovarli, per seguirne l’evoluzione, per sognare con loro e soprattutto per temere per la loro sorte.
Perché, se c’è una cosa che in questi tre anni e cinque volumi è rimasta costante, è stata la durezza di quest’isola in mezzo all’oceano. Puerto Dorado non ha risparmiato nessuno, in questo intenso ciclo, e chi non è morto è cambiato, tanto da non essere quasi più riconoscibile.
L’importanza stessa dei personaggi è mutata con il tempo, e come una marea la saga ha riversato sull’isola volti nuovi, personalità spesso in forte contrasto tra loro che hanno sostituito quelle vecchie, in un continuo riciclo e rinnovo, intessendo quel ricamo fitto e colorato che i cinque volumi insieme ora offrono in tutta la sua potenza.
A rimanere fisso però, è stato il segreto di Nimrod, celato da Puerto Dorado e ambito, bramato da tutte quelle anime che nell’isola hanno cercato riscatto, vendetta, giustizia o solo mera ricchezza. Questo misterioso e affascinante tesoro è stato fin dall’inizio il quid, il punto verso cui tendevano i personaggi; ma guardandomi indietro, arrivata all’ultima pagina di questa avventura, mi rendo conto che oltre che un cardine è stato anche un mezzo, il motore dal quale Gabriele ha tratto l’energia per rappresentare e trasmettere quello che credo fermamente sia il vero e proprio significato della saga: mostrare ciò che l’umanità è capace di compiere, in nome di un ideale, e quanto quest’ultimo sia capace di cambiare coloro che vi si lasciano trascinare.
Al centro di Jolly Roger infatti, denominatore comune dei cinque volumi, c’è un’investigazione dei personaggi che si è fatta via via più spinta, più complessa, più attraentre. Quelli che al prinicipio parevano sconosciuti in balia delle onde dell’oceano della vita, con il tempo sono diventate anime concrete, personalità sempre più distinte e forti, vive e vitali.
Plasmati dalle difficoltà, prede delle proprie debolezze, schiavi della propria personale ossessione, tutti i personaggi di Jolly Roger, dai principali ai secondari, hanno compiuto un incredibile arco evolutivo, che in questo quinto e ultimo volume ha trovato infine il suo compimento.
E mai mi era capitato di trovare tanto soddisfacente una chiusura, mai l’amarezza per aver abbandonato un mondo letterario che adoravo è stata tanto addolcita dal piacere di scoprire che ciò che avevo immaginato, desiderato e prospettato per ciascuno di loro si è compiuto, in un modo nell’altro.
I fili si sono chiusi, nulla è rimasto in sospeso, e con questo volume posso dire di aver davvero (o forse…) salutato Puerto Dorado.
Sono lieta di aver affiancato Gabriele in questo percorso narrativo, come lettrice in primis, e come blogger poi. Ho avuto la possibilità di vedere la sua crescita come scrittore, di anno in anno, e di affezionarmi sempre più a ciò che è in grado di creare con la sola forza della fantasia.
E Jolly Roger è entrata di diritto nelle saghe cardine di questo blog, così com’è entrata nella mia vita di lettrice.
Se c’è una cosa che Chiacchiere Letterarie mi ha insegnato, in questi tre anni, è che non è un marchio su una copertina a fare di una persona un bravo scrittore.
E Gabriele è una delle migliori prove che potrete mai trovare.
Per sapere di più della saga e del suo autore:
Intervista a Gabriele Dolzadelli.
Recensione La terra di nessuno.
Recensione Le chiavi dello scrigno.
Recensione I fratelli della costa.
Recensione La torre del ribelle.