Angoscia. È questa la prima sensazione che ti invade mentre volti le pagine. Un’angoscia sottile, strisciante, che comincia piano e poi diventa via via più imperante, più totalizzante. Il nuovo lavoro di Simon Stålenhag è un viaggio in un mondo ipertecnologizzato e post-apocalittico inquietante quando seducente. E mentre rifletto sulle parole giuste per scrivere questa recensione di Electric State, mi viene in mente che non ho mai letto una cosa del genere.
Trama
Siamo nel 1997 e il mondo non ha più neanche una sfumatura di quello che conoscevamo. Rovine di giganteschi droni da battaglia punteggiato le campagne, resti di una civiltà ipertecnologica che giace in declino tra le strade. In questo scenario decadente, una ragazza e il suo piccolo robot giallo si mettono in viaggio, con l’obiettivo di attraversare il continente e di arrivare al cuore vuoto di questa civiltà al collasso.
Recensione Electric State
Per molti aspetti, quest’opera è per me una prima volta. Intanto, per il suo aspetto. Electric State nasce come punto di incontro tra fumetto e romanzo. Non è un normale libro illustrato, ma un media che si muove a metà tra i due mondi, e nel quale immagini e testo si rincorrono per dare spessore e profondità alla narrazione.
Il senso di angoscia e di tensione di cui parlavo poco fa deriva proprio da questo. Le immagini, vivide sotto la mano di Stålenhag, si stagliano tra le parole e le esaltano, trasmettendo l’impressione che quei mostri giganti e decadenti ci stiano osservando; che gli esseri umani consumati dai neurocaster stiano cercando noi, pronti a darci la caccia per costringerci a diventare parte dello stormo.
Di realtà agghiaccianti e narrazioni disturbanti
Il modo in cui si muove Michelle è la fonte di tutto il turbamento dato da Electric State. Decadente, corrotto dalla tecnologia, spaventoso; Stålenhag ci catapulta in un’ucronia che mette i brividi e lo fa attraverso una narrazione non lineare, che rimbalza tra due voci narranti e tra più archi temporali.
Da un lato, la giovane Michelle ci racconta del suo viaggio e del suo passato, marcio com’è marcio il resto del mondo. Dall’altro, un misterioso individuo riempie i vuoti e ci dà un’idea più concreta di cosa sia successo alla nostra realtà, e cosa abbia portato gli uomini a spegnersi insieme al resto del mondo.
Una lettura non per tutti
Difficile leggere Electric State e rimanere indifferenti. La tensione è sempre alta, la voglia di sapere e di arrivare alle risposte spinge a leggere con voracità, a divorare pagine e inchiostro con bramosia. Stålenhag gestisce tempi e ritmo con maestria, aiutato da illustrazioni che si fanno sempre più ricche, sempre più colme di dettagli e rivelazioni.
Fino a catapultarci su un finale sospeso com’è sospesa la realtà che leggiamo, insoddisfacente com’è insoddisfacente l’esistenza in un mondo come questo. Non sembra esserci speranza, per chi legge Electric State. Non ci sono buoni sentimenti, non c’è bellezza o dolcezza in un mondo come questo. C’è solo angoscia, penetrante e soverchiante.
Per questo non consiglierei Electric State a chiunque. E soprattutto, non lo consiglierei in qualunque momento. Ci vuole una certa forza per affrontare una realtà del genere senza uscirne turbati. Perché la realtà che racconta Stålenhag non è poi tanto lontana da quella che stiamo vivendo. E basta poco per immaginarci, da qui a qualche anno, corrotti e decadenti come ci immagina Stålenhag.
Come avrete letto anche nell’immagine in evidenza, questa recensione è inserita in un evento tra blogger, pensato per presentarvi Electric State il giorno della sua uscita. Per questo ringrazio Tiziana del blog The Mad Otter che ha organizzato il tutto e la Oscar Ink per averci mandato il file digitale di Electric State ai fini di questaa recensione.