Sono passati quasi dieci anni dalla prima volta che ho letto Mistborn. L’ultimo impero, e forse è più corretto dire che sono passate diverse vite da allora. Ho scoperto Brandon Sanderson appena arrivata a Pisa, da giovinetta iscritta a chimica e piena di ingenue idee sul suo futuro (non tutte realizzate, ma a ben vedere meglio così); da quel momento, sul blog si sono susseguiti numerosi articoli dedicati al suo Cosmoverso e ai suoi consigli di scrittura, mentre la stima per il suo lavoro di autore e formatore si andava consolidando. Eppure Mistborn, che è stato l’inizio di tutto, non aveva ancora mai avuto il suo spazio qui su Chiacchiere Letterarie.
Se lo conquista adesso, che da non più tanto inesperta appassionata di letteratura torno a Luthadel e lo osservo con gli occhi di una che studia e maneggia storie e vi si rituffa e continua ad amarle, anche nelle loro piccole imperfezioni. Ma cominciamo dall’inizio, da qualche nota introduttiva per chi, fino ad ora, non aveva mai sentito parlare di Sanderson e dei suoi numerosi e affascinanti mondi.
Il mondo dei Mistborn
Ci troviamo su Scadrial, pianeta del Cosmoverso privo di luna, che come molti altri pianeti dell’universo sandersoniano (se non tutti) ospita una forma particolare di magia legata ai metalli, che si esprime in allomanzia e feruchemia, due facce della stessa medaglia magica. All’epoca dei fatti del primo volume della saga di Mistborn, il regno più florido di Scadrial è L’ultimo impero, governato da un sistema teocratico con a capo il Lord Reggente, il più forte allomante conosciuto sul pianeta, nonché salvatore del mondo da un terribile e misterioso cataclisma.
La magia allomantica può manifestarsi in diversi modi, ma tutti hanno a che fare con la capacità di manipolare i metalli: aumentare i propri sensi e le proprie capacità fisiche, rendersi invisibili e privi di suono per altri allomanti, lanciarsi in aria o tirarsi a tutta velocità verso i metalli: sono solo alcune delle cose che un allomante è in grado di fare, ma solo i Mistborn sono capaci di manipolare tutti questi poteri contemporaneamente.
Nel primo volume seguiamo le vicende di Kelsier, Mistborn ladro e mezzo skaa (la razza schiava del Lord Reggente) e del suo gruppo di ladri Misting (allomanti che controllano un solo potere) dall’obiettivo abbastanza ambizioso: spodestare il Lord Reggente e dare il controllo del regno in mano agli skaa. A unirsi alla banda in maniera del tutto inaspettata, una giovane ladruncola apparentemente inesperta di nome Vin, nella quale Kelsier scorge subito le potenzialità di una grande e talentuosa allomante.
Spodestare il più forte Mistborn (nonché salvatore del mondo, non dimentichiamolo) non è certo uno scherzo ed ecco che assistiamo a un’alternarsi di pianificazioni degne delle migliori heist stories cinematografiche (Ocean’s eleven, per citare solo una delle più celebri) e risvolti di trama capaci di tenere con il fiato sospeso fino a pagina 600 e passa. Per poi lasciarci sul più bello per costringerci a prendere il mano il secondo volume (altrettanto spesso e intrigante) e scoprire cosa accadrà al mondo di Scadrial dopo…

I punti di forza di Mistborn
È universalmente noto e riconosciuto (eheh) che i punti forti di Brandon Sanderson sono il word-building e la costruzione dei sistemi magici. Mistborn non fa certo eccezione e ci trascina in un mondo devastato da attività vulcaniche e piogge di cenere continue, abitato da una popolazione di skaa piegata da oltre un millennio di tirannia allomantica e prosciugata di ogni energia e forza di volontà. Come premettevo, le leggende di Scadrial raccontano che il Lord Reggente “ascese” e salvò il mondo dalla distruzione, generando le piogge di cenere ma diventando al contempo un dio immortale e potentissimo (e un tiranno, non dimentichiamocelo).
L’ultimo impero colpisce per la triste rassegnazione dei suoi abitanti, costretti per ordine del Lord Reggente a lavorare e spalare cenere quotidianamente per liberare i pochi campi avvizziti e le strade percorse dai nobili, classe sociale eletta del dio e unica ad avere il privilegio (almeno sulla carta) di poter manipolare i metalli. L’atmosfera che si respira a Luthadel è soffocante, ma offre anche un terreno fertilissimo alla rivoluzione ordita da Kelsier e i suoi, che danno sfoggio dei loro poteri allomantici mentre insegnano a Vin (e a noi) cosa rende un allomante e ancora di più un Mistborn tanto speciali: la capacità di alzare la testa e lottare per la propria gente.
Scoprire insieme a Vin i misteri dell’allomanzia e della feruchemia (la magia dominata dai Terrisiani, altro popolo sottomesso dal Lord Reggente) è sicuramente la parte più intrigante di questo primo romanzo e ci dà l’occasione di familiarizzare al contempo con la mitologia, i racconti e le leggende che permeano L’ultimo impero e nutrono i suoi abitanti. Forse in questo primo volume non troviamo lo stesso livello di dettagli storici e politici presenti ad esempio nella saga della Folgoluce, ma c’è comunque abbastanza profondità da accontentare qualcunque persona fanatica di mondi fantastici come la sottoscritta. Ed è certo che, alla fine di questo primo volume, non possiamo che desiderare anche noi un pezzetto delle abilità di Kelsier e i suoi, magari quella cosina simpatica simpatica che permette loro di rendersi amabili con tutte le persone che incontrano lungo il cammino.
Anche la costruzione dei personaggi è solida e l’arco di trasformazione di Vin (la vera protagonista del volume) seppur non particolarmente innovativo convince e regala anche qualche attimo di suspance nei momenti giusti. Certo, dalla prima all’ultima pagina continuiamo ad amare Kelsier e il suo spirito effervescente e vorremmo avere più scene ed evoluzioni che lo riguardano ma ehi, non si può avere tutto in un primo volume di una saga di ben (per il momento) sette volumi, o sbaglio?

Qualche problema che salta fuori quando si guarda il romanzo troppo da vicino
Se tutti questi dettagli li avevo già colti alla prima lettura da ventenne inesperta, qualche piccola sbavatura è venuta fuori in questa rilettura più consapevole. Anche perché, lo ammetto, sono un po’ andata a caccia di imperfezioni, giusto per incrinare quell’immagine di mentore praticamente perfetta che negli anni mi ero costruita intorno al caro Brandon. Metto le mani avanti e dico che la prima di queste cose potrebbe essere accentuata dalla traduzione (sono una di quelle pessime persone che non riesce ad accettare di leggere i mattonazzi americani in lingua originale, sorry) quindi non me ne abbiate se le due cose si sovrappongono a mia insaputa.
Detto questo, prima incrinatura che è saltata all’occhio praticamente subito: i dialoghi. Se una li guarda con un po’ di attenzione, si rende conto fin dai primi capitoli che sono funzionali alla trama ma non sempre esattamente in linea con la costruzione dei personaggi che li pronunciano. Mi spiego meglio: non è raro trovare qualche spiegoncino qua e là da parte di personaggi che invece sembravano poco inclini a spiegare i loro pensieri fino a un attimo prima; o a trovare dei botta e risposta molto poco pregnanti che sembrano avere il solo scopo di far passare il tempo prima che succeda la cosa x che innescherà un risvolto di trama.
Nulla di tremendo, badate bene, in 600 pagine sono ben diluiti e non disturbano più di tanto, però per le persone tra voi che come la sottoscritta prendono in mano un best seller e pensano che fanno prima a darsi all’ippica che continuare a scrivere be’, questo senz’altro aiuta.
Altro difettuccio che ho riscontrato è che la struttura del romanzo è abbastanza “da manuale”: se una guarda bene, riesce a notare i punti di passaggio da un atto all’altro della struttura a quattro atti, con tanto di climax e corsa finale proprio dove dovrebbero essere. Ammetto che ques’ultima cosa può dipendere anche dal fatto che sto rivedendo il corso di scrittura creativa di Sanderson ed è lui stesso a mettere a nudo Mistborn e mostrarne i “punti cardine”, quindi non dovrei essere troppo sorpresa se poi quando rileggo il libro li noto pure io. Però ecco, valeva la pena dirvelo: se cercate storie con struttura e ritmo sorprendendi be’, forse questo primo volume potrebbe rivelarsi un po’ deludente sotto questo aspetto.
E questo è quanto…
Almeno per questa prima recensione. Ho intenzione di fare questo lavoro di rilettura e riscoperta consapevole anche con altri romanzi, probabilmente già con il secondo volume della serie visto che lo sto attualmente leggendo, quindi sappiate che arriveranno presto altre puntate.
Nel frattempo, se ancora non avete preso un libro di Sanderson in mano vi consiglio di provarlo: fanno tutti egregiamente il loro lavoro, divertono, catturano e offrono anche parecchi spunti per nutrire la vostra scrittura creativa. Parola di scrittrice apprendista (e di discepola sandersoniana).