Lo spazio profondo si estendeva oltre la vetrata, muto e immobile. Il profilo azzurrato di un pianeta sconosciuto occupava quasi tutta la visuale, grossi frammenti di roccia puntellavano l’oscurità intorno come tanti piccoli sassi sul terreno.
Lo spettacolo avrebbe strappato più di un sospiro commosso, se solo qualcuno si fosse preso la briga di osservarlo. Da questa parte della vetrata, però, nessuno vi prestava attenzione. E in quanto all’immobilità e al silenzio, non c’era traccia nemmeno di quelli: nella sala comandi della piccola astronave umanitaria Kodu regnava il caos.
Da una buona mezz’ora, i consiglieri supremi si urlavano addosso nel grande tavolo circolare, ciechi alla meraviglia della loro recente scoperta. Erano sei, seduti lungo il perimetro di un tavolo decisamente troppo grande per il loro numero esiguo. Un tempo erano stati molti di più ma si erano adattati rapidamente a non sentire il peso delle numerose sedie vuote che li separavano. Anzi, quelle sedie erano entrate a far parte della complessa politica interna del consiglio. Sedersi a tre sedie di distanza da uno degli altri consiglieri significava automaticamente prendere le distanze dalle sue idee. Occupare la sedia accanto era un chiaro segno di sostegno.
Quel giorno, nessuno dei consiglieri sedeva affiancato.
«È inaudito!» sbraitò Ector, operatore capo, dalla sua troppo ampia e morbida seduta. Sottile e di bassa statura, l’uomo faticava ad arrivare al piano e aggiungeva a ogni sedia una grossa pila di cuscini, il volto già rosso di recondita irritazione personale. «I piani vanno condivisi con i consiglieri prima di ogni seduta, sempre! Non è stato dato il tempo di verificarne l’attendibilità!»
Dal lato speculare del tavolo, la dottoressa Cesia abbassò gli occhiali, con una freddezza nello sguardo che le apparteneva intimamente. «Come ho premesso, non c’è stato modo di condividere i piani, Ector» disse con voce austera quanto il suo portamento. «Siamo state occupate a fare i calcoli fino a poco fa.»
La dottoressa mise una certa enfasi in quel “siamo state occupate”, cosa che non passò certo inosservata.
«I calcoli non sono tutto, dottoressa» si intromise Misa, quartiermastra di bordo e stretta collaboratrice dell’operatore capo. Tra lei ed Ector c’era una sola sedia libera e i due si lanciavano sguardi di intesa prima di ogni intervento. «Anche noi siamo stati occupati negli ultimi giorni. Ma abbiamo sempre fatto rapporto al consiglio, come da regolamento.»
«Il che vi fa onore» ribatté la dottoressa Cesia. Rivolse lo sguardo verso Rot, la più giovane tra i consiglieri nonché addetta ai rifornimenti, seduta due sedie alla sua destra. «Come Rot potrà confermarvi, la situazione non ci ha permesso di fare altrettanto.»
L’addetta Rot non ebbe tempo di confermare alcunché.
«E dovrebbe bastarci come giustificazione?» insorse infatti l’operatore capo. «Avete chiaramente contravvenuto al regolamento!» Uno sguardo alla quartiermastra, un cenno di assenso ed Ector aggiunse: «Proponiamo che il piano della dottoressa Cesia e dell’addetta Rot venga rivisto interamente!»
«Signori, il tempo stringe» si intromise il vice comandante Niov, seduto alla sinistra della dottoressa Cesia e a una distanza politicamente neutra dai due fronti contendenti. «Potremmo non avere il tempo di ripetere i calcoli.»
Ector lo guardò con ostilità. «Allora cosa suggerisci, Niov? Dovremmo semplicemente fidarci e sperare che funzioni? È questo che devo dire agli uomini prima di mandarli tutti verso la distruzione?»
«Non esageriamo…» disse l’addetta Rot, trovando finalmente uno spazio in cui inserirsi. «Se rispettiamo le coordinate calcolate…»
«Coordinate perfette, secondo i vostri calcoli» la interruppe la quartiermastra. «Peccato che noi non li abbiamo mai visti.»
«Quante volte ancora ripeterete lo stesso ritornello?» sospirò Rot.
«Quante sarà necessario» fece eco la quartiermastra.
«Così non andremo da nessuna parte!» sbottò la dottoressa Cesia. «Comandante, chiediamo che prenda in mano la situazione.»
Gli sguardi dei contendenti si spostarono all’unisono verso la sedia occupata dal comandante della Kodu. L’uomo, anziano a sufficienza da essersi guadagnato il rispetto dei consiglieri oltre che la loro obbedienza, era l’unico a potersi sottrarre naturalmente al gioco delle sedie. Era il primo a sedersi e la sua sedia era sempre la stessa: fronte rivolto alla punta della nave, da dove poteva dominare la sala e lo spazio che si estendeva oltre la vetrata. Neppure lui, però, guardava il pianeta sconosciuto al centro delle discussioni. Fumava in un quieto e stanco silenzio, gli occhi annebbiati dall’età che puntavano sempre nella stessa direzione: il portacenere poggiato sul tavolino.
«Comandante, io e la quartiermastra chiediamo che vengano rivisti i calcoli e…» cominciò Ector, ma il comandante Lorc lo silenziò alzando una mano. Soffiò il fumo dalle labbra ingrigite, prima di esalare uno stanco: «Posso parlare?»
Nessuno, nella sala o nel resto della nave, si sarebbe mai permesso di negargli quel diritto, eppure il comandante esordiva sempre così, chiedendo la parola. I consiglieri annuirono, il silenzio abbracciò per un attimo la Kodu.
Quando parlò, il comandante lo fece con voce arrochita dal fumo e dagli anni. «La questione è… complessa» disse, scandendo lentamente ogni parola. Fece una pausa, prese una boccata di fumo. «Il regolamento dice chiaramente che è necessario sottoporre i piani per una nuova rotta a tutto il consiglio prima della seduta decisionale…»
«Ma capitano, come ho detto, il tempo…» cominciò la dottoressa Cesia, ma il comandante puntò la sigarette verso di lei e disse di nuovo, con incisiva pacatezza: «Posso parlare?»
La dottoressa ammutolì, Ector e Misa si scambiarono un’occhiata complice e ilare.
«Come dicevo» riprese il comandante, «questo prevederebbe il regolamento. Eppure, esso contempla numerosi casi in cui le norme possono essere infrante.»
Quell’ultima frase trasformò il ghigno soddisfatto dell’operatore capo Ector in una smorfia di delusione.
«Ora, la domanda è: siamo davanti a uno di questi casi?»
Nessuno dei consiglieri rispose. Il comandante Lorc prese l’ultima boccata dalla sigaretta e la spense nel posacenere. Finalmente, i suoi occhi si alzarono e puntarono verso le vetrate, in direzione del pianeta. «Vice Niov, situazione della nave?»
«Motori principali andati, salto nell’iperspazio impossibile. Stiamo lavorando con quelli di riserva, entrambi al 30%.» Niov digitò una sequenza sul visore della tuta e questa proiettò uno schema 3D della nave, abbastanza grande perché tutti nella sala riuscissero a vederlo. L’attenzione venne calamitata dal lampeggiare ossessivo di quattro punti rossi, in prossimità dei motori principali. «Siamo riusciti a rimettere in funzione i sistemi vitali, dalla sala macchine stimano che continueranno a lavorare per almeno altre 72 ore.»
L’operatore capo Ector soffiò il suo trionfo. «Visto? Abbiamo tempo per rifare i calcoli.»
«Non esattamente» disse Niov, ingrandendo la riproduzione per mostrare una sezione laterale della nave. Una serie di cifre apparvero nell’aria. «Le batterie cominciano a scaricarsi. Anche a motori spenti, consumiamo troppa energia. Nella migliore delle ipotesi, ci restano 12 ore prima di rimanere senza elettricità.»
«Anche al buio, saremo capaci di navigare.» Pur con tutto l’impegno, la quartiermastra Misa non riuscì a mettere convinzione in quelle parole.
«Può essere» annuì il comandante. «Ma c’è il rischio che si scateni il panico nell’equipaggio. Addetta Rot, le condizioni dei nostri uomini?»
«Provati, comandante» disse la giovane, scuotendo il capo. «Qualcuno ha riportato ferite lievi, ma è il loro morale che mi preoccupa. L’impatto è stato inatteso e… scioccante. Non sono mancate le proteste e temo…»
«Le proteste ci sono sempre, specialmente da parte dei nuovi arrivi» la interruppe la quartiermastra. «Ma sono uomini forti, sapranno reagire al momento del bisogno. Hanno solo bisogno di riposo.»
«Credo… credo che il problema sia più serio di così, comandante» disse Rot.
Il comandante annuì. «Grazie, addetta Rot, ne terremo conto. Dottoressa Cesia, posso vedere questi calcoli?»
La dottoressa digitò sul visore e un attimo dopo le tute dei membri del consiglio lampeggiarono. «Li ho appena condivisi. Ho inserito anche le conclusioni che ho già esposto a voce.»
«Grazie, dottoressa.» Il comandante spostò la sedia, con fatica si alzò in piedi. «Propongo una pausa, per darci il tempo di leggere con cura le sue considerazioni. Ci ritroviamo qui tra cinque minuti.»
I consiglieri si alzarono per sgranchire le gambe e provare a interpretare i complessi calcoli della dottoressa Cesia. Pochi di loro erano davvero in grado di coglierne le sfumature più sottili, eppure nessuno si sottrasse a quell’incarico.
L’operatore capo Ector e la quartiermastra Misa si ritirarono in un angolo e lessero gli appunti insieme. Inizialmente si levò qualche borbottio, ma poi anche questi si spensero e i loro volti si fecero scuri.
L’addetta Rot affiancò la dottoressa, ma nessuna delle due parlò. Né avevano davvero bisogno di rivedere i calcoli. Avevano trascorso l’intera notte insonni per terminarli.
Il comandante e il vice lessero in autonomia, nessuno dei due fiatò o espresse considerazioni.
Cinque minuti esatti dopo ripresero tutti posto al tavolo, i volti contratti dalla preoccupazione. L’operatore capo Ector e la quartiermastra Misa si sedettero a due sedie di distanza l’uno dall’altra e con un solo gesto riportarono neutralità al tavolo.
«Signori» esordì il comandante Lorc, guardandoli ad uno ad uno dal suo scranno. «Mi pare evidente che ci siano pochi dubbi. Il tempo che ci resta è poco e nessuno a questo tavolo può mettere davvero in dubbio le conclusioni della dottoressa Cesia.»
Una pausa, per dare la possibilità ai consiglieri di ribattere. Nessuno lo fece.
Il comandante annuì, grave. «Vedo che l’analisi ha avuto lo stesso impatto su ciascuno di noi. Ora, non resta che fare del nostro meglio per portare la Kodu dove i calcoli ci suggeriscono di andare.»
«Una sola traiettoria possibile su duecentocinquantamila calcolate…» mormorò l’operatore capo Ector, che aveva perfino perso il rossore abituale per sostituirlo con un pallore quasi spettrale. «Avreste dovuto dirlo subito…»
«Ci abbiamo provato» disse la dottoressa Cesia, conciliante. «Mi scuso con voi, consiglieri, avrei dovuto capire subito che la fredda certezza della matematica era la nostra migliore alleata.»
«Avete fatto quello che ritenevate meglio, Cesia» si intromise il vice comandante, sorridendo appena. «Provare a discuterne prima era l’approccio più umano. A nome di tutto il consiglio, vi ringrazio del tentativo.»
Il comandante Lorc si schiarì la gola, riportò su di sé l’attenzione dei consiglieri. «Quartiermastra Misa, a lei l’incarico di preparare gli uomini a quello che ci aspetta. Operatore capo Ector, allerti la sala macchine, avremmo bisogno di tutta la potenza che riescono a fornirci.»
Alzò il viso al pianeta, il pallido profilo azzurro si impresse sulle iridi sbiadite dal tempo. «Dottoressa Cesia, voglio un rapporto sulle possibili forme di vita che troveremo. Dovremo essere pronti a tutto. Addetta Rot, aiuti la dottoressa.»
«Ricevuto» dissero le due.
«Vice comandante Niov…» Il comandante Lorc fece un’altra lunga pausa, lasciò che la vista del pianeta invadesse la sua coscienza. Una sola traiettoria su duecentocinquantamila. Non potevano sbagliare. «Imposti la rotta suggerita dalla dottoressa. Questa volta non possono esserci errori. Il prossimo asteroide che ci colpirà, sarà anche l’ultimo.»
Nella sala calò il silenzio, il peso delle parole del comandante si insinuò in ciascuno di loro. Tutti i consiglieri alzarono lo sguardo allo spazio sconfinato, al pianeta che costituiva la loro solo speranza di salvezza. E al campo di asteroidi che, con buona probabilità, sarebbe stata la loro morte.
Muti, immobili e nonostante tutto affascinati, i consiglieri raccolsero le forze necessarie a fare ciò che andava fatto. Poi si alzarono e ognuno andò al proprio posto, deciso a fare del suo meglio per mettere in salvo la Kodu e tutto il suo equipaggio.