Racconti, Storie da GdR

La Lacrima di Caitanya

Dal finestrino, la giungla bangladese appariva sconfinata. Laura la osservava incapace di distogliere lo sguardo, incantata dal verdeggiante fogliame nel quale si intravedeva qualche corso d’acqua qua e là, brillante nel sole estivo. Persa nel paesaggio, la giovane si accorse della hostess solo quando questa si schiarì la voce con educazione. «Perdonatemi, miss. Gradite qualcosa da bere?»

Un’occhiata a Caleb, seduto accanto a lei con un bicchiere già in mano, le fu sufficiente per riprendere contatto con la realtà. Laura sorrise alla hostess, una giovane del posto in abiti occidentali, e poi annuì. «Un bicchiere di birra andrà più che bene, grazie» disse, accorgendosi un secondo dopo di quanto potesse sembrare strana la sua richiesta in un ambiente come quello. Dietro le due hostess che reggevano il carrello delle bevande si apriva infatti una sala così ampia e ricca che era difficile ricordare di trovarsi ancora su un aereo. I sedili foderati, i tavolini con i ripiani in vetro e l’enorme lampadario in cristallo che tintinnava sopra la sua testa le trasmettevano una sensazione strana. Come se la villa di uno sceicco fosse stata d’un tratto spostata per intero in quel velivolo, per essere trasportata di peso fino in Francia e ritorno.

E forse era proprio quella la sensazione che il proprietario, il signor Lagari, voleva trasmettere. Il ricco latifondista bangladese sedeva nel gruppo di sedili alla destra di Laura, calato in un abito dal taglio occidentale incredibilmente elegante. Si era presentato così anche al Louvre, solo poche ore prima, quando Laura lo aveva ricevuto nel suo studio per concordare gli ultimi dettagli del volo. Ora, l’uomo conversava amabilmente con il signor O’Donnell e il signor Dalton, e il suo sguardo rilassato lasciava intuire che per lui non vi fosse nulla di strano nel viaggiare in un aereo così colmo di intarsi e decorazioni.

Laura invece, che fino a quel momento aveva viaggiato solo in piccoli e scomodi velivoli, trovava tutto quello sfarzo strano, diverso e incredibilmente frastornante. E strano le parve anche il calice che la hostess le porgeva, un pezzo di cristallo finemente lavorato nel quale la birra appariva del tutto stonata. «Ecco a lei» le disse la giovane e Laura sorrise per mascherare il disagio.

La hostess ricambiò il sorriso e si voltò verso Lagari e gli altri ospiti per prendere le loro ordinazioni. Con un bicchiere di rum in mano, il proprietario dell’aereo fece un cenno di saluto a Laura, che ancora lo osservava assorta.

Per lei, quell’uomo costituiva un mistero incredibilmente affascinante. Cosa l’aveva spinto a viaggiare fino a Parigi in cerca di esperti di archeologia da condurre con sé a Dhaka? Era davvero solo un folle appassionato della cultura del suo Paese come si era presentato? O c’era qualcosa di più, sotto?

Quel mistero l’aveva ossessionata fin dalla lettera ricevuta dall’uomo settimane prima e Laura non aveva potuto che accogliere il suo invito a seguirlo fino in Bangladesh. L’occasione, d’altronde, era stata troppo ghiotta per tirarsi indietro.

Sorseggiando la birra, Laura estrasse il diario di viaggio del padre dalla borsa e lo sfogliò, come ormai si era abituata a fare da diversi anni, fin dal giorno in cui Jacques Benoit era morto e si era lasciato dietro quella ricerca incompiuta: la ricerca che lo aveva ossessionato per una vita intera.

Buffo, che ora il destino avesse messo Laura, la figlia che aveva seguito fedelmente le sue orme, sul suo stesso sentiero. Se lei fosse stata meno razionale, avrebbe quasi potuto pensare che una qualche entità superiore, lassù, volesse vedere conclusa quella ricerca. Ma, e qui Laura non poté trattenersi dal lanciare un’occhiata al signor Dalton, il mondo per fortuna seguiva logiche ben più comprensibili. E il vecchio amico del padre, che ora tracannava il suo bicchiere di rum seduto davanti a Lagari, sembrava costituire una spiegazione assai più realistica a tutte quelle coincidenze.

«Ti vedo assorta. Stai pensando a come muoverti tra le rovine?»

Laura alzò gli occhi verso Caleb. L’amico sedeva scomposto sul sedile, troppo alto e massiccio per trovar comode quelle sedute eleganti. Gli era grata per aver accettato di scortarla fino in Bangladesh, non avrebbe saputo cosa fare, se fosse dovuta partire da sola. «Non proprio. Riflettevo piuttosto su ciò che potrebbe aspettarci una volta arrivati lì.»

«Ancora la Lacrima?»

Un’occhiata a Lagari la rassicurò: il resto della compagnia era occupata in un’altra conversazione. Abbassò comunque il tono della voce, cauta su quanto rivelare al ricco latifondista prima di conoscerne tutte le sfumature. «Mi chiedo se saremo in grado di riconoscerla, quando l’avremo davanti. E di comprenderne il funzionamento.»

Caleb scrollò le spalle. «È una chiave, no? Probabilmente troveremo una sorta di meccanismo dove inserirla.» Anche lui aveva abbassato la voce e Laura ringraziò la sua perspicacia. Non servivano mai tante parole, con Caleb, era sempre in grado di comprenderla a fondo.

«Probabile. Ma ci saranno trappole? E dove la troveremo, esattamente? Dovremo scavare a fondo o ci aspetterà dentro qualche scrigno chiuso in una stanza sigillata? Sono così tante le domande che affollano la mia mente che…» Caleb posò una mano sulla sua e le sorrise, ponendo fine al fiume ininterrotto delle sue preoccupazioni. «Andrà bene, vedrai. E in ogni caso, lui sarà fiero di te.»

Laura lasciò che quelle parole la calmassero. «Hai ragione» disse, stringendo la mano di Caleb. «Non vedo l’ora di arrivare alle rovine e di concludere quello che papà ha cominciato.»

«Nel frattempo…» Caleb sciolse la presa e si risistemò sul sedile, sorridendo soddisfatto. «Facciamo di tutto per goderci questo viaggio. Quando mai ci ricapiterà di volare in un aereo come questo? »

«Hai ragione. Sarà un viaggio davvero…» 

Un vuoto d’aria investì l’aereo, sottraendo il “piacevole” dalle labbra di Laura. «Cos’è stato?» domandò, in tono reso flebile dallo spavento. La voce del pilota le diede la risposta: «Stiamo attraversando un banco di nuvole, sentirete qualche vuoto d’aria ma nulla di più grave. Rimanete seduti e allacciate le cinture, saremo fuori al più presto.»

 Dal finestrino, la ragazza vide che la splendida veduta della giungla bangladese era stata fagocitata da un grosso banco di nubi scure e temporalesche.

«Non si preoccupi, miss Benoit» disse Lagari, afferrando il suo bicchiere prima che un altro vuoto d’aria lo facesse ruzzolare giù dal tavolino di vetro. «È solo un po’ di maltempo. Il Bangladesh è una terra selvaggia e il clima non è da meno. Ma questo gioiellino ha volato in condizioni peggiori, non ha nulla da temere.»

Come a voler contraddire quelle parole, l’aereo sobbalzò ancora, questa volta abbastanza forte da strappare a Laura un urletto di terrore. Non le era mai piaciuto volare in mezzo a una tempesta e nemmeno la maestosità e ricchezza del velivolo di Lagari riuscivano a tranquillizzarla.

«Laura cara, fai un bel respiro.» La voce del signor Dalton, o Didi come Laura era abituata a chiamarlo da quando era bambina, la raggiunse poco prima che l’aereo venisse sballottato ancora una volta e il tentativo dell’uomo di lenire la sua ansia andò in fumo. Le luci si spensero di botto, precipitando la cabina in un’oscurità turbolenta e davvero poco rassicurante.

«Ti prego, ti prego, ti prego» mugugnò Laura a occhi chiusi, stringendo il diario del padre tra le dita. «Non ammazzarmi prima che sia arrivata alle rovine.»

Quella strana preghiera, in qualche modo, funzionò. Una manciata di secondi dopo le luci si riaccesero e l’aereo parve stabilizzarsi. Solo allora Laura aprì gli occhi e incrociò quelli di Caleb. L’uomo, al contrario suo, aveva ancora dipinta sul volto un’espressione rilassata. Lagari, Didi e il signor O’Donnell invece la fissavano, a metà tra la preoccupazione e il divertimento.

 La vergogna la invase e Laura sentì il volto diventare rovente.

«È tutta questione di abitudine, miss.» Jake O’Donnell raccolse un bicchiere volato dal tavolino al tappeto e si risistemò comodo sul sedile. «Vedrà che dopo qualche attraversata le verrà naturale viaggiare. Le tempeste fanno parte del divertimento.»

Ancora rossa in volto, Laura fissò l’uomo con malcelato astio. Di tutta la compagnia imbastita dal signor Lagari, lui era quello che conosceva meno e già non le ispirava simpatia. Era attraente, certo, con il volto rasato e i capelli a spazzola a dargli un’aria sbarazzina; ma il suo sguardo aveva un che di arrogante, come se sapesse di esserle superiore e non facesse nulla per mascherarlo. Eppure non era che un esploratore come tanti, senza una laurea né alcuna conoscenza formale. Laura se ne era sincerata prima di imbarcarsi, e ancora si domandava cosa Lagari avesse visto in lui, e perché lo avesse voluto con sé in quel viaggio.

Quando si era seduto nel suo studio al Louvre, Lagari le aveva espresso il suo desiderio di terminare gli scavi nelle rovine del tempio di Caitanya, e aveva aggiunto di aver pensato a lei per quel compito in virtù dei suoi studi e delle conoscenze trasmessele dal padre. Aveva scelto Doug Dalton perché era un tuttofare affidabile, e viveva in Bangladesh ormai da decenni. A detta del padre di Laura, lo conosceva come le sue tasche. Caleb Stone, il suo fedele Caleb Stone, era invece l’accompagnatore perfetto, e Laura l’aveva proposto proprio per quello. Capace con le armi e veloce d’intelletto, aveva sempre una soluzione pronta a ogni imprevisto. 

Ma in quanto a O’Donnell…

La voce del pilota che gracchiava dagli altoparlanti spezzò il filo dei suoi pensieri. «Il peggio è passato, da qui in poi il clima ci sorride. Atterreremo a Dhaka tra dieci minuti.»

Laura si rilassò, lasciando i suoi dubbi per un secondo momento. Voleva godersi l’atterraggio ed essere pronta per il momento in cui Dhaka sarebbe apparsa, in tutta la sua magnificenza, davanti ai suoi occhi.

D’altronde, una volta atterrati in Bangladesh cosa sarebbe potuto andare storto?

divisore

Il racconto che avete letto è nato come incipit a una sessione di Broken Compass, un primo assaggio per conoscere personaggi e vicende che ci hanno tenuti avvinti per oltre tre ore di gioco. E, perché no, per dare un’occhiata alle potenzialità narrative di questo nuovo gioco.

Com’è nel perfetto mood di Broken Compass, l’ambientazione e i dettagli dell’avventura sono stati scelti dal gruppo, e adattati al canovaccio che Simone e Rico (autori di Broken Compass) hanno preparato per le demo del gioco. Così, ci siamo trovati catapultati in un aereo privato diretto in Bangladesh, nel 1930, alla ricerca della misteriosa Lacrima di Caitanya. Io vestivo i panni di Laura Benoit, professoressa di archeologia; al mio fianco, Didi Dalton, Caleb Stone e Jake O’Donnell, tra i migliori compagni di avventura che una giovane esploratrice potesse desiderare.

Il racconto uscì all’epoca della sessione sul blog storiedagdr, ormai dismesso. Lo ripropongo qui affinché non vada perduto nell’oblio di Internet.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.