Sono arrivata a Possessione di Antonia Susan Byatt per vie inaspettate: non lo avevo mai sentito nominare finché, durante una formazione con docenti di qualche settimana fa, una delle partecipanti lo ha presentato come il miglior libro che avesse mai letto, al contempo avvincente, intenso e altamente letterario.
Con una presentazione del genere era difficile starvi lontana troppo a lungo, così ho recuperato una copia del libro e mi sono calata nella lettura, emergendone dopo diversi giorni con sentimenti molto contrastanti. Di certo, gli aggettivi usati dalla docente sono tutti molto corretti, e descrivono le diverse sfaccettature di questo romanzo: toccante, molto avvincente (almeno in certe parti, ma ne parliamo meglio tra poco) e sì, davvero molto molto letterario.
Nel cuore della letteratura vittoriana
Antonia Byatt ci porta nella Londra accademica di fine anni Ottanta, tra scaffali polverosi e dissertazioni letterarie più o meno intriganti (ma questa, immagino, è soprattutto questione di gusto). A guidarci in questi meandri universitari ci pensa Roland Mitchell, giovane post-doc un po’ sbandato con una non troppo sana passione/ossessione per lo scrittore e poeta vittoriano Randolph Henry Ash (frutto di invenzione, sì, ma fortemente ispirato ai poeti della tradizione inglese).
Intento a fare ricerche più o meno oziose intorno a questo grande poeta, già al centro di studi sia in patria che oltreoceano, Roland si imbatte nelle bozze di apertura di un carteggio del quale nessuno ha mai avuto notizie: il poeta, fin lì dipinto come un fedele marito e un discreto misogino, sembra conquistato da una misteriosa donna e poeta, della quale esalta intelletto e capacità dialettiche e alla quale chiede di aprire una conversazione cartacea sulle rispettive opinioni letterarie. A Roland basta poco per ricostruire i movimenti di Ash e scoprire che la donna è Christabel LaMotte, poeta amata dalle femministe degli anni Ottanta tanto per i suoi versi non comuni quanto per la sua vita privata, che si suppone trascorsa in voluto isolamento insieme a un’amica e amante.
Seguendo la pista di LaMotte, Roland si imbatte in Maud Bailey, una delle studiose di LaMotte più note e stimate dai Women’s Studies inglesi. E nonostante l’iniziale avversione, i due cominciano a collaborare e a seguire le tracce di quella che, a poco a poco, si delinea a tutti gli effetti come una storia d’amore segreta e adulterina. A dar loro rogne, ma anche supporto inaspettato, un variegato carosello di studiosi più o meno bizzarri e misantropi come Blackadder, patrono di Roland e massimo esperto inglese di Ash, Cropper, il suo rivale americano, la studiosa femminista americana Leonora Stern e la materna curatrice del diario di Ellen Ash, la moglie del grande poeta.
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Dipinto di Edward Burne-Jones
Tra passato e presente, tra narrazione e critica letteraria
Il cardine dell’intrigo è ovviamente la relazione segreta tra Ash e LaMotte, che intuiamo fin da subito essere stata ben più che una semplice corrispondenza letteraria. Più Roland e Maud indagano, dentro e fuori dalle opere dei due poeti, più la ragione del titolo di questo romanzo diventa chiara: follia amorosa, ossessione, possessione, sono tutti termini che Ash e LaMotte usano per descrivere la sintonia affettiva e artistica che si impossessa di loro. E, nel frattempo (e in maniera molto poco inaspettata, va detto) anche tra Roland e Maud comincia a crearsi un legame simile, in principio timido puramente umano e poi sempre più forte e sentimentale.
La ricerca della verità del passato dei due poeti è intervallata da stralci di poesie, lettere e pagine di diario, in una vera e propria ricostruzione metanarrativa degli indizi che i due studiosi di letteratura trovano lungo la loro indagine. Qui Byatt dà sfogo a tutta la sua esperienza di critica e costruisce un vero e proprio universo letterario parallelo, nel quale sono i poemi di Ash e LaMotte a parlare, facendosi anch’essi portavoce delle rispettive passioni dei loro autori.
Nelle pagine di poesia e di diario abbiamo la possibilità di apprezzare il talento di Byatt nella ricostruzione dello stile, del lessico e dell’ideologia vittoriana, distinti in modo molto realistico tra i due poeti: lui maestoso, a tratti fraseggiante, molto sicuro di sé, verboso; lei istintiva, marginale, selvaggia e imprevedibile. L’effetto è intrigante, senza dubbio, e regala una profondità narrativa inaspettata. Man mano che la storia procede e il ritmo del romanzo accelera, più questi estratti poetico-diaristici si fanno sempre più frequenti, più lunghi e, ahimè, a volte anche più intralcianti.
Fine costruzione metanarrativa o eccesso di letterarietà?
Mi è capitato, più di una volta nel corso della lettura, di terminare un capitolo colmo di rivelazioni sulla vita degli scrittori e poi di imbattermi sull’ennesimo estratto del poema di uno dei due e di pensare: uff, di nuovo. Se all’inizio l’idea di entrare dentro i testi dei due poeti immaginari era esaltante, dopo una buona metà di libro è diventato per lo più uno scoglio da superare a forza per tornare alla narrazione vera e propria.
Questo è forse l’aspetto più ostico di Possessione, e ciò che lo rende un romanzo che consiglierei solo dopo tante promesse esplicative. Se si amano le digressioni di teoria letteraria, e si apprezzano pagine e pagine di tormenti letterari e ragionamenti su liminarità, sessualità freudiana, studi di genere e così via a inframmezzare la narrazione, allora nessun problema. Altrimenti, si percepisce inevitabilmente un vago senso di soffocamento all’ennesima lettera della semi-sconosciuta e immaginaria cugina di LaMotte che racconta la sua giornata ordinaria per oltre venti o trenta pagine di diario. E anche se qua e là dentro ogni lettera o poema sono sparsi indizi e tracce della storia principale, l’effetto è, a mio dire, comunque quello di sentirsi annegare dentro una letterarietà e un’erudizione non del tutto necessarie.
Il romanzo, d’altronde, non è di certo breve e sulle cinquecento pagine totali bisogna considerare una buona metà di virtuosismi e riflessioni letterarie, che non sono poche. In aggiunta, va detto che il finale diventa prevedibile a meno di metà della storia (quella narrativa, stralci esclusi), cosa che rende l’esperienza di lettura tutto sommato non eccelsa e forse anche un po’ deludente.
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Per chiuderla in metafora
In sintesi, dunque, Possessione è un’esperienza di lettura da provare se si è in un momento in cui si gradiscono eterni assoli di chitarra che inframezzano un brano pop altrimenti piacevole, anche se non proprio brillante. O, per dirla fuor di metafora, quando si ha voglia di un viaggio metanarrativo che rievochi l’ambiente e i fraseggi vittoriani aggiungendo un po’ di interpretazioni psicoanalitiche e femministe qua e là. E si riesce nel frattempo a chiudere un occhio su una trama che ricorda molto da vicino qualcosa che abbiamo già letto o visto da qualche altra parte.