Il quaderno dell’amore perduto è il primo libro di Valérie Perrin, tornato alla ribalta nell’ultimo periodo grazie al successo di Cambiare l’acqua ai fiori. Ho davvero tanto da raccontarvi su questo romanzo, dallo stile ai personaggi, con una piccola pausa su i “dimenticati della domenica”. Come Cambiare l’acqua ai fiori è un libro che parte piano, con pochi fili che si intrecciano lentamente. Poi i fili aumentano, la trama si infittisce e alla fine ci si trova davanti ad un arazzo meraviglioso.
Sin dove siamo disposti a spingerci per amore?
Sin dove siamo disposti a spingerci per odio?
Siamo pronti a pagarne le conseguenze?
Trama
Justine è una ragazza di 21 anni che ama ascoltare le storie dei vecchi.
Lavora in una casa di riposo, le Ortensie, dove rimane spesso per gli straordinari, solo per poter ascoltare le storie dei residenti.
Ama ascoltare storie perché in casa storie non se ne raccontano. Vive con i suoi nonni, insieme al fratello/cugino Jules da quando i loro genitori sono morti in un incidente d’auto. Ma ai nonni non può chiedere niente di quell’incidente, i nonni di quel giorno non parlano.
Alla storia di Justine si lega quella di Hélène Hel, una residente delle Ortensie di cui, su richiesta del nipote ha iniziato a scrivere la storia. Una storia d’amore e di guerra, di perdite e ritrovamenti.
Una storia che piano piano la porta a voler approfondire anche la propria. Mettendo in luce pezzi di un passato che forse era meglio lasciare al buio, ma anche spingendola a diventare protagonista della propria vita, non solo ascoltatrice di quella altrui.
Quattro chiacchiere su Il quaderno dell’amore perduto
Tranne in rari casi non sono brava a riconoscere un autore dal suo stile di scrittura, ma Valérie Perrin sembra aver fatto dei salti temporali un’arte. Non sono i primi libri con questa caratteristica che leggo, eppure appena ho aperto il libro e le storie hanno iniziato ad intrecciarsi, mi sembrava che questo libro potesse averlo scritto solo lei.
Entrambi i suoi libri si basano, su più linee temporali, che generalmente aumentano andando avanti con la storia. Una tecnica forse un po’ acerba in questo primo romanzo, perfezionata poi in Cambiare l’acqua ai fiori.
Visto che inizialmente non si vede il legame tra i due fili temporali l’effetto è di una storia con una partenza lenta e forse un po’ noiosa. Come un puzzle di cui non si ha l’immagine di riferimento. All’inizio l’immagine sembra non avere senso, andando avanti con la lettura qualcosa inizia a prendere forma, ma mancano sempre troppi particolari per capire. Sarà solo l’ultimo pezzo, l’ultima pagina, a permettere di mettere a fuoco tutto il percorso.
La realtà è diversa da come appare
Uno stile di scrittura simile è il perfetto esempio di come la realtà sia molto più complessa di quanto possa apparire ad un primo sguardo. Valérie Perrin svela gli eventi poco per volta, in questo modo tutto le certezze che si pensa di avere in un primo momento piano piano si sgretolano.
Anche in questo libro la realtà è completamente diversa da quanto ci appare all’inizio. Tutta la storia si dipana sotto ai nostri occhi così come viene mostrata a Justine, noi non sappiamo niente di più di quanto non sappia lei. Le sue certezze sono le nostre, ma non sempre le certezze raccontano la verità e non sempre vale la pena scoprire la verità.
Ci sono momenti in cui certe scoperte fanno ribollire il sangue nelle vene, un odio cieco esce dalle pagine per avvolgere il lettore. Una lotta interiore tra empatia e reazioni esagerate scombussola la mente. Cosa avremmo fatto noi in una situazione simile?
Quante domande a cui è meglio non dare risposta. Troppe. Domande che è meglio nascondere sotto al tappeto, sperando di poterle semplicemente dimenticare.
I legami familiari
Il quadro che emerge da questa storia è certamente poco edificante nei confronti dei legami familiari. Tra bugie, tradimenti e dolore sembra che la famiglia sia in grado solo di generare sentimenti negativi.
Questo per me è forse l’unico punto debole del romanzo. Per quanto ci sia la storia di Helene e Lucien ha controbilanciare, mi è marcito il fegato a fare certe scoperte. Ammiro il sangue freddo di Justine e la sua forza nell’accettare gli errori (eufemismo) altrui, ma io non sono altrettanto paziente. Certi comportamenti non sarei mai riuscita a perdonarli.
È giusto mettere la famiglia e i legami familiari sempre prima di tutto?
In realtà ciò che viene attaccato sono i legami che si creano senza sentimenti e senza sincerità. Perché famiglia è un concetto che va ben oltre riti burocratici e legami di sangue. È un intreccio d’amore, fiducia e ascolto se questi mancano come ci si può definire famiglia?
I dimenticati della domenica
La nostra protagonista lavora come aiuto infermiera in un centro per anziani, i “dimenticati della domenica” sono coloro che rimangono sempre soli in quel giorno della settimana, dedicato in maniera specifica alle visite Per questo motivo la domenica è un giorno particolarmente difficile, che si cerca di superare aumentando le attività per gli anziani. Ma la solitudine è un sentimento che aleggia più forte di qualunque intrattenimento.
La vita degli anziani all’interno del centro è uno degli elementi che il romanzo mette in risalto, attraverso spezzoni di vita quotidiana, racconti o aneddoti. I “dimenticati della domenica” però hanno anche un’intera sottotrama dedicata a loro. Anche in questo caso ad essere preso di mira è il concetto di famiglia, mostrando come non sono per forza i legami di sangue ad essere i più forti.
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