Il cielo stellato fa le fusa di Chiara Francini mi permette di parlare un po’, finalmente, di letteratura italiana. Durante l’ultima diretta su Facebook con Denise ci siamo concentrate sui libri più belli letti quest’anno e, come una di voi ci ha fatto notare, nessuno dei titoli da noi citati era di un autore italiano.
In questi giorni non ho fatto altro che pensare alle motivazioni che stavano dietro questo fatto. Va bene che ci sono pochi italiani che scrivono dei generi che prediligo, ma non disdegno la narrativa contemporanea, quindi perché i miei conterranei non riescono mai a fare quel salto in più che serve per entrarmi nel cuore?
Questo libro, volente o nolente, mi è stato utile per capire, almeno in parte, queste motivazioni. Il libro è piacevole? Sì. È scritto bene? Sì. Eppure c’è qualcosa che non mi torna, tanti piccoli tasselli che mi hanno reso ostica la lettura nonostante la storia scorresse molto bene.
Trama
La storia è una rivisitazione in chiave moderna del Decamerone di Boccaccio. Nove persone, riunite in una villa di Firenze per un weekend a tema cultura e cibo, si ritrovano a dover convivere per un’intera settimana a causa di una quarantena improvvisa.
Per passare il tempo decidono di narrare novelle e per farlo scelgono ogni giorno un tema diverso. Ma sono solo in nove, mentre il Decamerone richiede dieci narratori, per questo motivo decidono che ognuno di loro dovrà anche narrare una storia dal punto di vista del gatto della magione. Sarà proprio Rollone il Vichingo, meglio noto come Rolando Rosa a fare da narratore delle vicende.
Quattro chiacchiere su Il cielo stellato fa le fusa
Il libro è una sorta di rivisitazione del Decamerone narrata dal punto di vista di un adorabile e altezzoso felino. Era un romanzo che in partenza aveva tutto ciò che serviva per farmi innamorare, eppure la lettura non è mai riuscita a decollare. Cosa è andato storto?
Quando si affronta un libro simile è difficile dare un giudizio unitario, perché ogni “meta” narrazione è un piccolo mondo indipendente dal resto della trama. Il problema di questo libro per me è stato che, quello che doveva rivelarsi il pezzo forte, le novelle, è invece risultato l’anello debole. Così, tutta la struttura del libro ha faticato a prendere forma, come una torta in cui si sbagliano le dosi degli ingredienti.
Il miscuglio di personaggi che si ritrovano isolati a Villa Peyron è variegato ma equilibrato. Forse qualcuno risulta un po’ stereotipato, ma il gruppo nel complesso funziona bene ed è interessante vedere come si sviluppano le relazioni durante la convivenza forzata. In mezzo a tutto questo mi aspettavo che le narrazioni fossero un punto di forza dei personaggi, che permettessero di conoscerli meglio e di capire così i loro atteggiamenti. Invece la maggior parte delle novelle sembravano inserite più per riempire pagine che non per dare corpo alla storia. Come delle pause più o meno lunghe (e più o meno interessanti) alla vera storia, che la indeboliscono e spezzano piuttosto che darle forza. Questo è un peccato considerando che, prese singolarmente, anche loro hanno la loro forza. È come se le narrazioni fossero tanti numeri uno, buoni da soli, ma che tra loro non riescono a legare.
Forse se la voce narrante avesse avuto un po’ più di risalto sarebbe riuscita a tenere unito il tutto, ma quando Rolando Rosa ci racconta le vicende e le relazioni che nascono tra i vari protagonisti, non riesce quasi mai ad amalgamare gli eventi. Penso che sia proprio questo il problema, il punto di vista felino, che avrebbe dovuto fare da direttore d’orchestra, alla fine rimane timidamente dietro le quinte di narrazioni che lo sovrastano in quanto a temi e stile.
Punti deboli e seconde occasioni
Questo libro mi sembra un ottimo esempio del perché, spesso, la narrativa italiana non finisce nella lista dei miei libri preferiti. È come se gli autori avessero paura di osare, di andare oltre e perdere il loro bacino di lettori fedeli. Fare di tutta l’erba un fascio è sbagliato sempre, lo so. Però questa è una caratteristica che ho trovato in quasi tutte le mie ultime letture in italiano, quindi non ho potuto fare a meno di rifletterci un po’ su.
Anche una storia come questa, con ottime basi, sia per quanto riguarda ambientazione, personaggi e trama, che per ciò che concerne le scelte stilistiche, non trova la spinta per fare quel salto in più.
Detto questo, di Chiara Franceschini ho appena recuperare Mia madre non lo deve sapere. Perché ho l’impressione che con quest’opera non sia riuscita a dare il meglio di sé, rimanendo un po’ imbrigliata nella trama, e voglio quindi dar-ci una seconda occasione. Spero che riesca a smentire tutto il mio ragionamento precedente.
Avete già letto qualche libro di questa autrice? Cosa ne pensate?
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Ringrazio infine la Rizzoli per la copia digitale del romanzo.
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