Cosa spinge una donna, perfino se fermamente femminista, a conformarsi suo malgrado all’ideale di femminilità creato dalla società (quello che la vorrebbe perfetta, profumata e truccata in ogni occasione?) Qual è il fenomeno che si innesca quando, decise ad esempio a smettere di farci del male con la ceretta, ci troviamo comunque in imbarazzo a mostrare al mondo la nostra naturalissima e folta peluria?
La risposta, per Emer O’Toole, autrice del brillante saggio Girls will be girls, è che ad agire sulla nostra scelta sia la struttura stessa della società. È la nostra educazione, il modo in cui siamo cresciute e abbiamo sviluppato il nostro essere “donne”, che ci spinge a conformarci alle divisioni di genere.
Lo stesso, ovviamente, vale per coloro che nascono (o meglio, vengono inquadrati) nel lato dello spettro riconosciuto come maschile.
Ma cos’è in realtà il genere?
Per O’Toole, null’altro che una performance, uno spettacolo che impariamo a mettere in scena fin dall’infanzia. Un copione che trae dal sesso biologico solo una mera ispirazione di partenza; così radicato in noi che, anche quando ne prendiamo consapevolezza e cerchiamo di scardinarlo, continua a limitare le nostre battute.
Imparare a riconoscere questa performance, individuare il filtro attraverso il quale osserviamo il mondo e provare a rimuoverlo, anche solo per vedere cosa c’è dall’altra parte, è l’unico modo che abbiamo per comprendere quanto, di quel copione, fa davvero per noi.
La cosa, però, come racconta la stessa O’Toole non è per niente semplice. Perché quando si tratta di cambiare le regole, di sconfinare dal sentiero tracciato, siamo proprio noi a metterci i bastoni tra le ruote.
Girls will be girls: travestirsi, scegliere la performatività
Il sottotitolo di Girls will be girls è già di per sé esplicativo: travestirsi, interpretare i ruoli, cambiare il mondo. Per O’Toole, l’interpretazione è essenziale per plasmare le regole del mondo in cui viviamo. Riconoscere innanzitutto che vestiamo degli abiti che ci sono stati cuciti addosso fin dalla nascita, senza che avessimo modo di scegliere se facessero davvero per noi, è il primo passo verso il cambiamento. Imparare a spogliarcene e a giocare con altri, possibili e infiniti, fino a trovare quelli che sono nostri, è il punto di arrivo.
Il percorso, però, è più in salita di quanto possa sembrare. La maggior parte di noi fatica infatti a svincolare dai simboli e dai comportamenti tipici del genere assegnato. Quante di noi, ad esempio, in maniera inconsapevole piegano il proprio corpo per riportarlo a un ideale di bellezza normata e definita dall’esterno? Quante si truccano, si depilano, indossano reggiseni e sfoggiano bellissimi e scomodissimi abiti firmati anche se in realtà vorrebbero solo uscire in pigiama e scarpe da tennis e con i capelli scarmigliati?
Recitiamo inconsapevolmente un ruolo tutti i giorni, quando aderiamo alle norme sociali e a quelle del genere. E se c’è chi, tra noi, si trova a proprio agio in questo schema fisso, c’è anche chi, al contrario, soffre dell’incapacità di liberarsi.
Interpretare ruoli, cambiare il mondo
Grazie alla sua esperienza nel mondo del teatro e della performatività, O’Toole analizza il modo in cui interpretiamo inconsciamente questi ruoli, mostrando quello che accade quando tentiamo di scardinarli. Così, tra le pagine di Girls will be girls, l’autrice ci racconta il lungo e difficile percorso che l’ha condotta a smantellare prima e ricostruire poi l’immagine di sé che offriva al mondo.
La performance, la capacità di interpretare ruoli e di modificarli a proprio piacimento, si è rivelata essenziale in questo difficile percorso. Riconoscere di appartenere a uno spettro di possibilità e non a un sistema binario di genere, imparare a giocare con i ruoli, a travestirsi, cambiarsi e cambiare la percezione che gli altri hanno di lei, le è stata utile a capire chi volesse essere davvero.
E una volta compresa se stessa, il passo successivo è stato lanciarsi in una continua messa in discussione dei propri dogmi e delle proprie ferree e spesso indotte convinzioni.
Perché Girls will be girls
Il punto di arrivo di Girl will be girls è chiaro: non esiste un solo modo di essere, donna o uomo o qualunque sfumatura in mezzo ad essi. Esiste piuttosto uno spettro di possibilità, un caleidoscopio di comportamenti, travestimenti e ruoli che possiamo scegliere di interpretare in libertà.
La scelta, in questo caso, diventa anche atto politico. Perché nel momento in cui riconosciamo che il nostro personale ha un impatto non solo su di noi, ma anche su chi ci circonda, stiamo implicitamente facendo politica attiva. Stiamo giocando con le norme, stravolgendo le convinzioni. Un gesto all’apparenza piccolo, limitato, eppure con una portata potenziale infinita.
Basta poco, d’altronde, per incrinare gli stereotipi: prestare attenzione al linguaggio, al modo in cui ci poniamo nei confronti di chi ci circonda. Aprirci alle possibilità, provare e sperimentare, accettare le diversità e imparare da esse a riconoscere e accogliere la nostra unica diversità.
O, citando un pezzo particolarmente pregnante del libro:
“La risposta, dunque, potrebbe essere quella di manipolarli [i simboli n.d.r]: giocarci e confonderli. Avere il controllo dei simboli di genere nella vita di tutti i giorni è più che una performance, è più che funzione. È una strategia che confonde il confine tra la rappresentazione e la realtà, sconvolgendo idee fisse e stabili su cosa sono le donne e gli uomini e su come dovrebbero comportarsi.”
Cambiare il mondo: dall’idea alla realtà
Si parte dunque dall’idea, dalla rappresentazione, giocando con gli stereotipi, con le aspettative, con le convinzioni. Parlando di una persona che non c’è e omettendo il genere, per notare che chi ci ascolta tenderà spontaneamente ad associarne uno, spesso guidata proprio da pregiudizi e concezioni antiche e ormai superate. Travestendosi, cambiando ruolo e aspetto a piacimento. E osservando le reazioni, proprie e di coloro che ci circondano, sfidando continuamente la realtà e creando nuove idee, nuove rappresentazioni.
Parte tutto da noi. Dalla nostra capacità di decidere chi vogliamo essere in questo spettro di infinite possibilità. E dalla nostra tenacia nel ribellarci a ciò che ci causa malessere e ci limita ingiustamente. Ci vorrà tempo, ci vorranno tenacia e testardaggine. D’altronde, è decisamente più facile adeguarsi al modello, non attirare gli sguardi, essere “normali” piuttosto che emblema di diversità.
Ma ce la possiamo fare, Emer O’Toole ne è convinta. E magari un giorno, tutte noi ragazze potremo salutarci alzando le braccia al cielo e sentendoci libere, se lo vogliamo, di mostrare al mondo il nostro cespuglio libero e selvaggio.
Questa recensione di Girls will be girls è parte del progetto Un libro per la Casa, nato per accrescere il prezioso patrimonio librario della Biblioteca della Casa della donna di Pisa, e per promuovere la lettura libera e accessibile di testi di narrativa e saggistica femminista. A nome della Biblioteca e di Chiacchiere Letterarie ringrazio Le Plurali Editrice per aver portato il saggio di Emer O’Toole anche qui in Italia, e per averci fornito una copia del libro.
Una ringraziamento speciale va anche a Beatrice Gnassi, traduttrice del saggio e cofondatrice della realtà de Le plurali, per l’ottimo lavoro fatto sul testo di O’Toole.
Girls will be girls è disponibile al prestito sul catalogo della rete Bibliolandia.