Racconti, Storie da GdR

Eppure i ciliegi sono in fiore

Il ventaglio accarezzò l’aria, tenue come la brezza di primavera. La stoffa rosso ardente sfiorò alcuni petali rosa, che danzavano adagio intorno a lei. Con il volto atteggiato in una maschera di serenità, Kakita Kazume ruotò il polso e fece oscillare il sensu, disegnando un arco leggiadro intorno al corpo. La giovane mosse un passo aggraziato e il ventaglio la seguì, morbido come il volo di una farfalla. Il koto scandì il suo incedere, risuonando, cristallino, nel giardino quasi deserto.

Il tremore delle ciglia era l’unico segno dello sforzo che quella muta danza le richiedeva. Per il resto, chiunque avesse guardato Kazume in quel momento avrebbe detto che danzare le venisse semplice quanto respirare. Solo lei era consapevole delle sottili gocce di sudore che le solcavano le tempie, solo lei sentiva il battito del cuore risuonare, vivo, nel suo petto. 

Con apparente facilità, la ragazza scrisse un altro arco nell’aria e la manica color corallo del furisode seguì, docile, la sua mano. Con un piccolo inchino, si voltò e ripeté il movimento del polso, facendo oscillare con eleganza il ventaglio davanti al viso.

Poi, per un istante, il koto tacque e Kazume si immobilizzò, mentre nel giardino si adagiava, leggero, il silenzio. Solo l’eco soffuso di un passo perturbò la quiete ma era troppo distante dai suoi pensieri perché Kazume vi prestasse attenzione.

Il silenzio durò appena qualche secondo ma parve eterno e quando la musica riprese lo fece con naturalezza, come se non se non si fosse mai interrotta. Le dita della suonatrice corsero lievi sulle corde e Kazume percepì il suo corpo attraversato dalle note. La ragazza riprese a danzare nel suo kimono inamidato, estraendo dalla manica sinistra un secondo ventaglio. Ruotò su sé stessa, il corallo dell’abito che si fondeva con il verde scintillante del prato.

Il respiro si avvinghiò al ritmo della musica. Kazume ruotò sul posto, i due sensu che si rincorrevano nell’aria. Una sottile brezza si alzò dalla stoffa rossa di cui erano intessuti, accarezzando le poche ciocche sfuggite al controllo del fermaglio e i petali di ciliegio che volteggiavano intorno a lei. L’impressione di un’immagine si cristallizzò, per un attimo, intorno a Kazume: neve candida parve turbinarle tra le braccia, e poi mutò rapida in gocce e svanì, come dissolta dagli intensi raggi di sole. La ragazza non si fermò, continuò a ruotare sul posto, prima adagio e poi sempre più veloce, mentre la suonatrice rincorreva le note cristalline con vorace intensità.

Se prima la danza aveva richiesto concentrazione, ora era diventata pura espressione della tecnica e dell’arte sublime che solo il Clan della Gru poteva maneggiare. Misurata perfezione e irraggiungibile grazia, erano quelle le sensazioni che il corpo avvolto nel furisode trasmetteva.

Kazume turbinava e intorno a lei i petali la seguivano, preda della stessa intensa danza che controllava i due sensu. Altre ciocche sfuggirono allo stretto controllo del fermaglio, ma la ragazza non vi badò. Continuò a muoversi con elegante energia nei suoi geta, finché le ultime note del koto non risuonarono, alte, nell’ambiente. E poi la musica cessò e Kazume si fermò, il respiro appena accelerato e le guance tinte di bianco calde per lo sforzo.

La ragazza alzò lo sguardo su Ayame, che sedeva con il koto ancora posato sulle ginocchia. Le rivolse un sorriso di ringraziamento e l’amica ricambiò. Stava riponendo i sensu nelle tasche del furisode quando una voce lieve giunse dalle sue spalle:

«Mondo di sofferenza:

eppure, i ciliegi

sono in fiore.»

Per un momento, il cuore di Kazume saltò un battito, ma la ragazza fu lesta a ricomporsi e quando volse il capo verso il cuore del giardino, non una traccia del suo turbamento era visibile attraverso la sua maschera di compostezza. «Siete tornato» mormorò, piegandosi in un inchino. «Mi auguro che il vostro viaggio sia stato lieto.»

«Lo è stato.» Asahina Kaze mosse qualche passo verso di lei, l’hakama che si gonfiava appena nella brezza. Kazume non riuscì a evitare di osservarlo di nascosto da sotto le ciocche fuggitive, ammirando la compostezza e l’eleganza di ogni suo piccolo gesto. Lui si fermò ben prima che la distanza tra loro potesse diventare sconveniente. «Ma il ritorno lo è ancora di più» aggiunse, con calore.

Dietro di lei, Kazume sentì Ayame alzarsi e fu tentata di chiederle di restare. Ma si trattenne, rimproverando sé stessa per quella debolezza. Sei abbastanza forte per questo, si disse, inspirando piano attraverso le ciocche. Sei una shugenja, ora, non hai nulla di che temere. «Posso chiedervi come avete trovato vostro padre?» disse, alzando appena il capo ed evitando di incontrare lo sguardo dell’uomo. Forte sì, ma meglio non sfidare la sorte, rammentò a se stessa.

Kaze sorrise, lasciando intravedere appena il bianco dei denti perfetti. «Gode di ottima salute, vi ringrazio per la premura.» Una pausa, e Kaze lasciò vagare lo sguardo sull’albero di ciliegio che ancora donava all’aria i suoi delicati petali. «E voi? Come state?» domandò, come se parlasse al ciliegio e non a lei.

Kazume ringraziò quella sua accortezza. Se l’avesse guardata, avrebbe notato che gli occhi le brillavano, che il respiro si era fatto accelerato, troppo perché dipendesse solo dalla danza. «Il mio spirito qui è in pace, mio signore. Non potrei desiderare nient’altro.»

«Ne sono lieto. Vi sentite pronta per il vostro gempuku?» 

Il gempuku. Il pensiero della prova in quel momento era così lontano che le sembrò di doverlo ripescare da uno stagno con una lenza lunghissima. «Sì, mio signore.»

«Noto con piacere che nella vostra voce non traspare insicurezza.»

«Non potrebbe, mio signore. Il tempo che ho trascorso ad allenarmi nella vostra casa  è stato quanto di più prezioso potessi chiedere.»

Lui non disse altro e, pur lottando con se stessa per qualche istante, Kazume si prese infine la libertà di osservarlo meglio. Guardava ancora l’albero di ciliegio, con le mani adagiate sull’obi e un’espressione di pace impressa sul viso. Il tempo e le numerose battaglie avevano lasciato i segni sul suo volto, eppure Kazume non riusciva a non trovarlo affascinante, anche se sapeva che era più vecchio di lei di diversi anni e che aveva visto e conosciuto ben più di quanto lei osasse sperare di vedere in tutta la sua vita.

«Vi ho portato un regalo.» 

La voce di Kaze la riscosse, dissolvendo i suoi pensieri in una nuvola di petali leggeri. «Un regalo, mio signore?» domandò, meravigliata.

Lui annuì. «Al principio ho detto a me stesso che avrei dovuto evitare, ma… » Scosse il capo e sorrise, lieve. «Ho pensato che, tutto sommato, non avrei fatto nulla di male. Non è forse il saggio Basho a dire: 

Le nubi di tanto in tanto

ci danno riposo

mentre guardiamo la luna?»

Kazume tacque, incapace di parlare, e i secondi fluirono lenti tra loro. Infine, lui dovette interpretare quel suo silenzio come un rifiuto, perché si schiarì la gola e parlò. «Ho detto una sciocchezza, perdonatemi» disse, con una punta di rimprovero verso se stesso. «Posso lasciarvi alla vostra danza, se lo desiderate.» Fece per voltarsi e andarsene, l’immagine del sorriso ormai sbiadito dal suo volto che si depositò nel cuore di Kazume come un macigno.

«No, aspettate.» Kazume mosse un passo e si fermò, conscia che se ne avesse fatto un altro sarebbe stata così vicina da potergli sfiorare il viso con la mano. «Io… Perdonatemi, ero solo sorpresa. Non mi aspettavo…» Esitò, tenendo lo sguardo basso sui suoi geta. Il cuore le batteva tanto forte che temeva lo si potesse sentire anche attraverso gli strati del furisode. Stava fraintendendo? Quanto si sarebbe fatta male, se fosse andata avanti su quel percorso?

Sentì che l’uomo respirava inquieto, in attesa che lei continuasse. Le stava dando forse la possibilità di scegliere cosa sarebbe venuto dopo? Stava rimettendo a lei la decisione?

Deglutì, consapevole di trovarsi in bilico su un baratro dal quale sarebbe stato impossibile risollevarsi. Il volto dei suoi genitori baluginò, per un momento, davanti ai suoi occhi, come un segnale di ammonimento. Non serviva che sapessero, pensò. Non sarebbe successo nulla, d’altronde. Accettare un regalo non era che una piccola cosa, nessuno l’avrebbe potuta condannare per quello. A parte lei stessa. Lei, che era sempre stata il suo giudice più severo: lei avrebbe saputo cosa davvero significava quel gesto.

Eppure, in qualche modo riuscì a mettere a tacere anche quel lato di sé, la Kazume che conosceva l’onore e lo inseguiva con tutta sé stessa, anima e corpo. Solo per questa volta, si disse per giustificarsi. Non accadrà mai nulla di più.

Come rassicurata da quelle parole, finalmente alzò il volto e permise a sé stessa di guardare l’uomo negli occhi. Lui la osservava con un’intensità che non aveva mai conosciuto, neanche negli occhi del suo fidanzato quando le parlava del loro futuro. E in quel momento seppe, con assoluta certezza, di essere perduta. Trattenne le lacrime, si morse le labbra e poi le schiuse in un sorriso, il più dolce che riusciva a immaginare. «Sarei lieta di ricevere il vostro regalo» mormorò.

Kaze sorrise a sua volta e la bellezza di quel sorriso bastò ad affogare i dubbi rimasti. L’uomo frugò nella larga tasca del kimono ed estrasse un involto di stoffa bianca. Nella sua mano, sembrava piccolo e delicato come un fiore di ciliegio. «Quando l’ho visto non ho potuto che pensare a voi. Possiede la vostra stessa grazia.» Svolse la stoffa e rivelò un Kanzashi, un sottile fermaglio in legno decorato da una cascata di fiori rossi. «Il rosso è il vostro colore, dico bene? Ho notato che lo indossate spesso.»

Di nuovo senza parole Kazume si limitò ad annuire. 

«Vi piacerebbe se vi aiutassi a indossarlo?»

All’idea delle mani di lui che le sfioravano i capelli, la ragazza avvampò. Questa volta Kaze se ne accorse, perché si produsse in una leggera smorfia di dispiacere. «Perdonatemi, non ho parole, io… non volevo turbarvi.»

Le ci volle uno sforzo notevole per riuscire a parlare. «Non vi preoccupate» mormorò, scuotendo piano il capo. E riuscì anche a sorridere appena, nonostante l’imbarazzo. «Ma temo di non poter accettare la vostra proposta.» Il solo pensiero che qualcuno li vedesse lì, al centro del giardino mentre lui le scioglieva i capelli, la faceva tremare dalla vergogna.

«Avete ragione, sono stato uno sciocco.» Kaze inspirò ed espirò piano, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, ogni traccia di turbamento si era dissolta dal suo volto. «Ve ne prego, accettate comunque il mio dono. Mi procurerebbe una gioia immensa sapere che lo indossate.»

«Va bene» disse Kazume, la voce lieve come una brezza. «Lo indosserò per voi.» Tese la mano e Kaze le porse il fermaglio. Per un attimo, le loro dita si sfiorarono e l’ombra del calore di lui le rimase impressa sulla pelle anche quando si separarono.

Lui esitò qualche secondo con lo sguardo su di lei, poi annuì in modo così formale che Kazume si chiese se non si fosse immaginata tutto: ogni segno di dolcezza sembrava evaporato dal suo viso e l’uomo tornò, rapido, a indossare i panni di Kaze Asahina, il figlio del daimyo di quei luoghi, rigido e composto come ci si aspettava da un signore feudale. Come sarebbe stato consono per un mentore che parlava alla sua allieva.

Eppure, un bagliore di quello che era stato albergava ancora nel suo sguardo. Durò il tempo che Kaze mormorasse: «Vi porto sempre con me, Kazume» e poi si dissolse anch’esso, come la neve che Kazume aveva evocato e che il sole aveva fatto evaporare. Le rivolse un rapido inchino, e poi riprese a parlare, questa volta in tono abbastanza alto perché chiunque attraversasse il giardino potesse udirlo: «Ora temo di dovervi salutare, affari importanti mi attendono. Mi aspetto che rendiate onore a questo dojo durante il vostro gempuku.» Una pausa e poi sussurrò, così piano che anche Kazume fece fatica a udirlo. «Sono certo che lo farete.»

E poi si voltò e la lasciò lì, con il Kanzashi in mano e un tumulto nel cuore che non pensava avrebbe mai provato a causa sua.

Kanzashi | Racconto ispirato a La Leggenda dei Cinque Anelli
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Questo racconto è nato per presentare Kakita Kazume, personaggio creato per Il Torneo di Topazio, avventura introduttiva a La Leggenda dei Cinque Anelli – Il Gioco di Ruolo. Uscì sul blog storiedagdr, ormai dismesso, qualche anno fa e lo riproponiamo qui per salvarlo dall’oblio di Internet.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.