Racconti, Scrittura

Come un uccellino senza riposo

Sedeva sulla panchina, gambe incrociate e viso chino su un libro, a malapena consapevole della brezza che le spostava i capelli, del vocio delle persone che le camminavano intorno. La storia la catturava al punto da farle quasi dimenticare di essere seduta in quella panchina, e solo l’intenso profumo di falso gelsomino che le turbinava intorno la teneva legata alla terra e al parco in cui si trovava.

Le capitava sempre così, fin da quando era una bambina: un libro in mano e il resto spariva, perdeva di interesse. La madre la rimproverava sempre per questa sua abitudine di farsi trascinare via, per la sua incapacità di stare ancorata alla realtà. “Sei come una foglia” le diceva in tono non troppo severo. “Ti basta un soffio di vento per lasciare il tuo ramo e volare via”.

A lei quella similitudine non dispiaceva, anzi. Trovava l’idea di essere una foglia, pronta a spiccare il volo al primo soffio di vento, terribilmente affascinante. Anche in quel momento non si curava di estraniarsi troppo dalla realtà anzi, era venuta lì per quello. Aveva scelto un romanzo intenso, di quelli un po’ melensi, in cerca di una storia capace di farle dimenticare per qualche ora chi fosse.

Stava funzionando, almeno in parte. Forse il profumo del falso gelsomino era un po’ troppo forte, e perché poi aveva scelto proprio una panchina accanto a un falso gelsomino invece che cercarne una vicino, che so, a un’innocua edera o a una buganvillea? Se l’era andata a cercare, doveva ammetterlo, una parte testarda di lei insisteva per tenerla a terra pure se il resto desiderava solo spiccare il volo per qualche ora.

Alzò la testa dalle pagine e sospirò, il pensiero del falso gelsomino aveva rotto l’incanto del viaggio in terre affascinanti ed esotiche. La mente aveva ripreso a correre, il cuore a frullare come un uccellino senza riposo. Anche quella era un’immagine che la rispecchiava molto bene, in quel momento era incapace di stare ferma nello stesso posto e sullo stesso pensiero, e sentiva solo il bruciante desiderio di migrare da qualche altra parte.

Ovvio che le calzasse così bene anche quella similitudine, gliela aveva data lei, che la conosceva quasi quanto le persone che l’avevano vista crescere. Buffo, che le fosse bastato così poco per intuire la sua anima irrequieta e bisognosa di libertà.

Lasciò vagare lo sguardo sulle persone che camminavano tra le ombre del lungofiume, rifugiandosi in uno dei suoi giochi preferiti: indovinare le vite di che passava, uscire da sé per provare a intuire desideri e aspirazioni di altri osservandone la postura e le espressioni fuggevoli, ascoltandone le voci leggere e distanti.

Quel pomeriggio funzionò poco, la mente tornava di continuo al pensiero di lei: desiderava scorgerla tra i passanti, vederla emergere dal sentiero e avanzare verso la panchina per sedersi al suo fianco, stringerla tra le braccia e offrirle un posto dove riposare per qualche ora.

Sospirò di nuovo e si rimproverò per quella debolezza, per quella sua incapacità di rimanere solida sulla sua decisione di non pensare a lei. Riprese il libro in mano, scorse qualche riga, provò a ricreare l’impressione della giovane protagonista che attraversava il deserto in cerca di se stessa, ma l’immagine tremolò e si infranse in un mucchio di inchiostro e frustrazione.

Chiuse il libro con stizza e si alzò, abbandonando il traditore sulla panchina insieme alla borsa, che tanto conteneva solo le chiavi di casa e se anche gliele avessero rubate almeno avrebbe avuto una scusa per fuggire davvero. Con quali soldi, poi, se lo chiese mentre camminava verso l’acqua, e le venne da ridere all’idea di vagare senza meta e senza sostegno, finché non l’avessero riconosciuta come la matta che era e l’avessero portata in un luogo sicuro.

Raccolse una foglia da terra e la rigirò tra le mani, poi guardò la superficie del fiume: era agitata e ricordava la sua mente, il suo cuore, il suo spirito. Almeno il fiume sapeva da che parte scorrere, e chissà se anche lui si chiedeva mai chi lo aspettasse dall’altra parte, se avrebbe fluito sempre da solo o avrebbe trovato qualcuno lungo il percorso.

Rise di nuovo, sentendosi al contempo radicata e pronta a spiccare il volo, una sensazione che in quei giorni si era fatta tanto acuta da stordirla. Si avvicinò all’acqua e adagiò la foglia sulla superficie, quella turbinò e raggiunse il centro, pronta a farsi trasportare altrove dalla corrente. Non fosse stato un fiume ma il mare, non fosse stato maggio ma luglio, si sarebbe adagiata a sua volta sul pelo dell’acqua per farsi guidare altrove.

Non fosse stato, non fosse stato…

Non fosse stato per quell’amore improvviso e non ricambiato, ora forse non sarebbe stata lì, a interrogarsi su quanto il fiume fosse accogliente, quanto altrove sarebbe stato meglio di qui.

Non fosse stato per lei e per la sua irritante capacità di farsi amare, ora starebbe ancora leggendo in pace il suo libro, e un falso gelsomino sarebbe stato semplicemente un gelsomino, e non un altro ricordo troppo difficile da gestire.

Ma, non fosse stato per lei, non avrebbe nemmeno saputo che esistevano gelsomini veri e gelsomini falsi, che il cuore poteva frullare come un uccellino senza riposo e che la vita poteva essere ben più luminosa e accogliente di quanto avrebbe sauto immaginare da sola.

Guardò di nuovo il fiume, da quel punto riusciva ancora a scorgere la foglia che galleggiava sull’acqua, poteva immaginare dove si sarebbe inabissata per poi rispuntare più in là, fino a incontrare una curva dove arrestare la sua corsa.

Si ricordò che il fiume svoltava poco prima del paese di lei, e la immaginò raggiungere a piedi il luogo dove forse la foglia si sarebbe fermata. L’idea le piacque, le parve di aver affidato all’acqua un messaggio d’amore che forse sarebbe stato raccolto o forse no, e allora avrebbe continuato a galleggiare libero, e sarebbe andata bene lo stesso.

D’improvviso le tornò la voglia di leggere, di lasciarsi trasportare a sua volta da una storia. Forse era quello il segreto, forse doveva solo continuare a scorrere e vedere dove sarebbe sbarcata.

Sorrise, prima di lasciare il fiume per tornare alla panchina. Forse avrebbe trovato un po’ di pace tra le pagine, forse no. In ogni caso, sarebbe andata bene lo stesso finché continuava a rimanere a galla.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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