«Sto parlando delle ricette.»
L’ometto svuota d’un sorso il piccolo bicchierino, e stacca un altro pezzetto da un rombo speziato e marroncino.
«Le ricette sono guide importanti, e più un ricettario è antico più è prestigioso e prezioso. Se non mi credete, andate a prendere un caffè da vostra nonna, chiedete di dare un’occhiata al suo libro delle ricette, e fate per posarci sopra la tazzina.»
Un brivido condiviso attraversa la platea.
«Ognuno di noi può decidere di usare come preferisce spezie e farina, ma se vogliamo fare dei tortellini, in un qualche momento ci troveremo a stendere la pasta, a mano o con uno strumento. Perché la ricetta base dei tortellini, che tutti condividiamo, ci spiega che il tortellino è un sacchetto di pasta, e tale pasta va stesa. Tutti seguiamo le ricette, anche senza volerlo o saperlo.» Una gola viene schiarita, degli occhi alzati al soffitto. «Sì, va bene. Quasi tutti. Ma le tue sono esplorazioni sperimentali estreme, che è meglio lasciare agli esperti. O ai folli. Ma comunque…»
L’ometto si alza, sorride. «Direi che è giunto il momento di metterci in cammino.»
[Breve nota sul tempo: Hah!]
[Breve nota sulle anticipazioni: dissi che avrei parlato di trame e ambientazione. E invece niente. Mi spiace, ma questo è anche per me un percorso di scoperta.]
Nelle ultime puntate abbiamo visto come creare un kernel che focalizzi e intoni la creattività, e cercato un insieme di punti base utile a tratteggiare il percorso dell’avventura. In un certo senso abbiamo preparato il terreno creativo, e ci siamo fatti un’idea di che tipo di percorso vorremmo costruire, delle tappe da esplorare assieme ai giocatori.
Quest’oggi vedremo un ultimo aspetto teorico, la cui considerazione, sebbene non strettamente necessaria, è secondo me un esercizio utile e interessante. Quest’oggi parleremo dell’architettura di un’avventura.
Cos’è l’architettura
Chiedete a un architetto cos’è l’architettura, e vi darà una definizione elegante e artistica. Chiedetelo ad un ingegnere elettronico e ve ne darà un’altra tecnica e precisa. Chiedetelo ad un ingegnere edile e probabilmente lo farete piangere.
Come termine è talmente flessibile che ogni ambito lo declina diversamente. Compresi quelli del game design e della narrativa, per noi particolarmente importanti.
Io farò un mix, attingendo e rubacchiando da varie definizioni, e con architettura di un’avventura intenderò (lo studio del) la visione d’insieme degli elementi funzionali significativi che compongono l’avventura, la loro disposizione e le interazioni che ne derivano.
Macellando un po’ la lingua, direi che il kernel è assimilabile al diapason che fornisce il la, i punti base agli accordi o assoli di punta, e l’architettura al sistema musicale o genere della sinfonia.
Ragionando dell’architettura di un’avventura potremo quindi individuare quegli elementi e quelle strutture tipiche che la rendono interessante, scorrevole, e piacevole da esplorare. O almeno questo è l’intento.
Struttura vs architettura
In uno dei primi articoli ho menzionato la struttura di un’avventura, esponendone tre componenti principali. L’architettura può sembrare una ripetizione dello stesso concetto, ma in realtà si tratta di due cose diverse. La struttura tratta di come organizzare gli elementi dell’avventura: ambiente – ciò che è; f. di transizione. – ciò che fa cambiare; gradiente – ciò che indirizza.
L’architettura ragiona invece considerando la funzione degli elementi, e le relazioni che questi stabiliscono con altri elementi e, in ultima analisi, con DM e giocatori.
Strutturalmente, possiamo dire che “il lancio di incantesimi di divinazione è punito con la morte” fa principalmente parte della f. di transizione. Ma in senso architetturale è una parte dell’elemento (forse perfino archetipo) “oscuro signore con annessa profezia di sconfitta”, di respiro ben più ampio.
Spero di riuscire a spiegarmi, e a capirmi io stesso, un po’ meglio con qualche esempio.
Mettiamoci il cappello da game designer e consideriamo l’inizio di questi tre giochi: Knights of the Old Republic, Oblivion, Baldur’s Gate 2.
Dettagli implementativi a parte, in ognuno di essi il protagonista si ritrova con più o meno memoria del passato, in una situazione molto dinamica che rappresenta sostanzialmente una fuga.
La fase iniziale dell’avventura racconta quindi di un personaggio che, spinto dalle circostanze, scopre (o riscopre) le sue abilità e le utilizza per conquistarsi la libertà.
Possiamo quindi vedere tre diverse implementazioni della medesima struttura architetturale, peraltro molto fertile, che potremmo chiamare in un sacco di modi, ad esempio “rottura delle catene”.
Una struttura del genere è estremamente importante e comune (fate caso a come inizia Doom 2016 uno sparatutto che poco ha a che vedere con un gdr), tanto da poter essere definita archetipica.
Elementi architetturali e archetipi
Ogni avventura è diversa, e può supportare o esaltare tanti elementi architetturali diversi. Tipicamente, un insieme di elementi coerente e che funziona bene ascende al livello di archetipo.
Non è strettamente necessario che un’avventura implementi uno o più archetipi, ma il loro utilizzo assicura solitamente un livello minimo di qualità. Per dire, un’avventura non deve per forza partire con una cantina piena di ratti da ripulire, un bambino in lacrime, o un mercante assalito dai banditi. Però sono incipit che funzionano davvero molto bene, che hanno superato la prova del tempo tanto brillantemente da diventare tipici, e la cui mancanza può persino generare una sensazione di disorientamento (avviate Oblivion, noclippate via dal dungeon iniziale, e giratevi il mondo. Vi godrete l’esperienza molto meno senza la fase iniziale del prigioniero che riesce a fuggire per un colpo di fortuna).
Per il momento, non voglio definire archetipi per l’avventura senza nome. Preferisco invece mettere assieme alcuni elementi architetturali interessanti e vedere cosa ne esce.
Breve disclaimer
Se avete seguito la serie parallela (anzi originale) dell’Autrice (se non lo avete fatto, fatelo. Sono articoli parecchio interessanti e sopratutto, concreti), avrete riconosciuto il termine archetipo. Per quanto la parola sia la stessa però, intendo un concetto molto simile, ma abbastanza differente da meritare questa nota. Nello specifico, credo che l’Autrice si concentri in particolare sugli archetipi narrativi, mentre io mi interesso più alle meccaniche di gioco.
Elementi architetturali senza nome
Raccolgo gli elementi architetturali dell’avventura senza nome in quattro grosse categorie: sfide (o generatori di attrito), guide, cartine tornasole (o display), e carote (o incentivi).
Le sfide
Le sfide sono quelle forze che vanno contro i personaggi, e forniscono un problema da risolvere, un avversario da sconfiggere. Sono essenziali per supportare una interattività proattiva dell’avventura. Senza sfide, l’avventura si avvicina al walking simulator o alla narrated novel, oggetti assolutamente degni e affascinanti, ma che non sono il focus di questa serie di articoli.
- Il cattivone. Un classico, il cattivone rappresenta l’antagonista, colui che tenterà di danneggiare i personaggi, o di impedirgli di ottenere qualcosa. Sarà la forza contrastante contro la quale i personaggi combatteranno, un generatore diretto di sfida. Mi si potrebbe fare un appunto abbastanza perspicace del tipo “eh, ma avevi definito come punto base ‘il vero nemico è l’inverno’, non contrasta col cattivone?”. Io credo di no. Il punto base è una sensazione che mi interessa trasmettere, una cosa che mi affascina raccontare. Il cattivone è un ruolo da riempire, un’esigenza narrativa da soddisfare. Son due cose diverse, che non fanno a pugni.
- Il mistero. Il mistero è ciò che i personaggi dovranno, sperabilmente vorranno, indagare e risolvere. Un omicidio è il caso classico, con i personaggi che tipicamente indossano i panni dei detective. Anche il mistero genera sfida, ma in maniera più indiretta. Inoltre è solitamente una forza sostanzialmente passiva, anche se in istanze specifiche, come trappole o simili, può prendere l’iniziativa.
Le guide
Le guide sono strutture ausiliarie. Formalmente non sono strettamente necessarie per l’esistenza dell’avventura, ma nella pratica sono strumenti essenziali per mantenere una direzione sensata. Il loro scopo principale non è contrastare, ma indirizzare i personaggi. Senza guide, l’avventura tende a diventare un sandbox, anch’esso oggetto particolarmente carino, ma che non tratterò ora.
- Il dito che indica. Questo elemento è solitamente implementato nell’incipit, e serve per spiegare ai giocatori quale sarà il campo di battaglia, e cosa l’avventura si aspetta dai personaggi. Raptor che irrompe nella sala grande e avvisa di un troll nei sotterranei è un esempio perfetto. Molte avventure più orientate al sandboxing non possiedono questo elemento, mentre altre “ibride” ne hanno multipli e i personaggi sceglieranno quale seguire.
- Il guard-rail. La comunicazione umana è un canale estremamente rumoroso, e spesso capita che il DM dica fischi e i giocatori capiscano fiaschi. Il guard-rail è quell’elemento che cerca di impedire il deragliamento dell’avventura, e può essere un vincolo fisico forte come l’essere bloccati su un’isoletta sperduta, o più morbido come un png che offre qualche consiglio ogni tanto. È molto importante gestirlo bene come elemento, dato che un intervento troppo pesante risulterà particolarmente irritante, trasformando il guard-rail in rail ebbasta.
Le cartine tornasole
Le cartine tornasole sono il secondo componente del motore d’avventura. La sfida in sé può essere affascinante per certi giocatori, ma altri traggono soddisfazione dal vedere gli effetti delle loro azioni. Le cartine tornasole servono proprio a esplicitare questi effetti. Senza questi elementi, i personaggi e sopratutto i giocatori percepiranno un mondo insensibile, frustrante, dove le loro azioni non hanno alcun effetto.
- Il popolo festante. È molto importante per l’immersione dei giocatori e per la profondità dell’interesse suscitato, che le azioni dei personaggi abbiano un effetto tangibile. Una maniera di mostrare tale effetto è raccontare come i personaggi influenzano l’universo attraverso degli elementi con cui è facile empatizzare. Gli abitanti di un posto sono tipicamente esseri umani (o umanoidi), e supportano quindi tutti i protocolli di comunicazione istintivi che rendono naturale stabilire un legame empatico. È quindi molto semplice utilizzarli per mostrare ai personaggi il risultato delle loro gesta. Il cittadino che riconosce un personaggio e gli offre una birra è un esempio perfetto.
- La società. Il legame empatico non è prerogativa esclusiva degli umanoidi, e si può stabilire anche con un ambiente o una società. I cambiamenti in questo caso sono meno diretti, e vengono suggeriti più che mostrati, ma aggiungono anch’essi importanza e peso agli avvenimenti. Nonostante il termine, questo elemento può anche non c’entrarci nulla con un gruppo di esseri sociali, ma potrebbe essere implementato come un bosco che soffre (o gode) gli effetti delle azioni dei personaggi.
Le carote
Le carote sono il terzo componente del motore d’avventura. Sfida e generosità sono stimoli validi per tanti, ma non per tutti. Una ricompensa semplice e diretta è spesso la maniera più semplice e pulita di convincere un personaggio a intraprendere un’avventura. Senza carote, i personaggi semplicemente non hanno motivo di fare cose, e i giocatori di giocare. E sì, un’ambientazione o una trama estremamente interessanti costituiscono già loro una carota, anche se magari è una meta-carota, dato che spinge i giocatori a far agire i loro personaggi per scoprire come andrà a finire la storia.
- La damigella. La damigella in pericolo è uno degli archetipi più antichi e importanti, ma in questo ambito con damigella intendo un qualche elemento in una situazione di disagio. Esso può essere un bambino rapito, come un fabbro accusato di adulterare il metallo. L’importante è che l’elemento sia in grado di suscitare empatia nei personaggi, e che sia in una posizione poco piacevole, sulla quale i personaggi possono (e sperabilmente vorranno) agire.
- Il malloppo. Non tutti i personaggi sono nobili e generosi, alcuni potrebbero persino mancare dell’empatia necessaria a condividere il disagio della damigella. In questi casi, un incentivo più veniale può aiutare a stimolare il loro interesse. Il malloppo è il tesoro del drago, il tomo del lich, la gloria. Tutto quello che spinge i personaggi a rischiare qualcosa per ottenere una ricompensa più diretta e personale della riconoscenza.
Notiamo che questi elementi non sono un insieme minimo, le due carote ad esempio possono essere ridondanti, e un gruppo di avventurieri potrebbe essere semplicemente generoso e non voler alcuna ricompensa monetaria. Tuttavia dovrebbe esserci abbastanza varietà da spiegare il concetto.
Elementi architetturali ausiliari
Gli elementi esposti sopra sono secondo me importanti per l’avventura senza nome. Come già detto, risolvono un’esigenza specifica. Ne esistono altri però che non sono altrettanto importanti e precisi. Chiamo questi elementi ausiliari, e il loro inserimento solitamente migliora il godimento dell’avventura, ma deve esserci già una base solida.
Gli elementi ausiliari possono essere davvero infiniti, e spesso si improvvisano sul momento. Però voglio continuare il tentativo di portare sempre degli esempi, ed esporrò quindi due elementi ausiliari dell’avventura senza nome.
- Il sottobosco. Il percorso dei personaggi non può essere completamente libero e lineare, pena la noia. Ma se tutte le difficoltà sono riconducibili al cattivone, diventano rapidamente scontate e nuovamente la noia la fa da padrona. Il sottobosco serve a introdurre cespugli e rovi che spezzino la monotonia del cammino, ma senza troppi pensieri. Naturalmente questi piccoli dettagli non devono essere necessariamente negativi o dannosi, anzi servono anche quelli positivi, semplicemente rimangono fine a se stessi, senza inserirsi in uno schema più ampio.
- La finestra socchiusa. Vi capita tutti i giorni di intravedere scorci di stanze e case sconosciute mentre camminate per la città. Quasi certamente non metterete mai piede in nessuna di quelle case, e i dieci centimetri di soffitto visti non bastano minimamente per farsi un’idea realistica di come sia fatta la stanza. Però per quanto concretamente inutili, tali scorci contribuiscono a darvi un’idea di spazio e di varietà che migliora l’esperienza del camminare (immaginatevi una città fatta di muri di cinta e capannoni senza finestre). Lo stesso vale per l’avventura, e questo elemento rappresenta i tanti dettagli meccanicamente superflui ma esteticamente affascinanti.
Ma gli archetipi?
Ora che ho tratteggiato a grandi linee l’architettura dell’avventura senza nome, esponendone gli elementi principali, è il momento di scegliere un archetipo che vi si adatti bene.
Ma è davvero il momento? Forse no.
Personalmente vedo almeno un archetipo che si adatterebbe molto bene agli elementi, quello del “villaggio fuori dal tempo”. Tale archetipo racconta dell’arrivo degli avventurieri in un villaggio sperduto, dove l’isolamento ha generato una serie di rituali magari poco piacevoli, che vengono messi in discussione più o meno direttamente dagli avventurieri.
Magari alla fine finiremo per adattarci a questo archetipo, ma per il momento preferisco lasciarlo da parte ed evitare ancora una volta di definire alcunché.
Dopotutto si tratta di un’avventura sperimentale, e mi incuriosisce vedere dove andremo a finire.
A voi la parola
Idealmente, voi dovreste essere ora in grado di individuare gli elementi architetturali e gli archetipi della vostra avventura. Osservandoli potrete capire se l’avventura manca di qualcosa (ad esempio una sfida) e porvi rimedio prima dell’implementazione, il ché è secondo me un gran vantaggio, e diminuisce la frequenza e l’entità di retcon ed errata (che comunque saranno inevitabili, intendiamoci). Non solo, se definite un archetipo avrete subito una buona scaletta per guidarvi nell’implementazione. Ad esempio, se scegliete come archetipo “L’odissea”(se ricordate i due kernel, sarebbe molto adatto al secondo), non avrete difficoltà a implementare elementi coerenti fra loro, dato che saprete che le sfide saranno puntuali ed esotiche, il progresso rappresentato dalla distanza dalla meta, e così via.
Ancora una volta, la mia è solamente un’opinione, e se avete critiche, racconti o domande in merito, i commenti sono aperti.
Riassumendo
Quindi, abbiamo costituito nel kernel la nostra fonte d’ispirazione, abbiamo definito alcuni punti base interessanti, e in quest’ultima puntata abbiamo visto come incastrare i vari elementi funzionali in un’architettura solida e piacevole.
Siamo pronti per passare al livello di concretizzazione successivo.
Passo che, naturalmente, dovrà aspettare al prossimo articolo, perché in accordo con quella che sta iniziando a diventare una tradizione, son andato lungo.
Però non mi reputo colpevole di excursus interruptus, e credo anzi che sia un buon momento per riflettere e mettere bene a fuoco il materiale che abbiamo generato. Il mio consiglio è quindi di ragionare liberamente sui punti base, e vedere come poterli incastrare, o generare da essi elementi che si possano incastrare, nelle nicchie definite dall’architettura. Immaginate situazioni, avvenimenti, intrecci. Organizzateli secondo l’archetipo che avete scelto, se l’avete definito, e saggiatene la risonanza col kernel. Se tutto va per il verso giusto, avrete fra le mani praticamente un’avventura, che manca solamente di nomi e parole per essere comunicata ad un altro essere umano.
Nella prossima puntata vedremo (forse) finalmente come iniziare a definire ambientazione o trama, o magari personaggi. Ancora non lo so, ma dovrebbe essere qualcosa di concreto.
Nel mentre, come sempre, salvatevi.
Questo articolo è andato online per la prima volta su storiedagdr, un blog ormai in disuso. Lo ripubblichiamo qui affinché non si perda nell’oblio di Internet.