Racconti, Scrittura

Il fuoco della conoscenza

Ren sudava nella camicia di lino. Aveva arrotolato le maniche e ora anche le braccia erano percorse da grosse gocce di sudore, che nella luce della fiamma rilucevano come piccole gemme. China sulla macchina, gli occhi protetti dal visore e i ciuffi di capelli bruciacchiati sparsi qua e là sulla fronte, Ren cercava di non pensare al sole che tramontava alle sue spalle, al tempo che le scivolava tra le mani a una velocità ingiusta.

Nel minuscolo studio si udiva solo il sibilo della fiamma. Dalla finestra sigillata arrivava appena il flebile ricordo della vita brulicante delle strade. Da quante ore fosse chiusa in quello stanzino, Ren non lo avrebbe saputo dire. Scandiva il tempo con il numero di pietre che scartava, con la frustrazione che montava a ogni fallimento.

La pila di frammenti accanto a lei cresceva, la sua speranza diminuiva di pari passo. Non mangiava da così tanto che una parte di lei si chiedeva, con curiosità scientifica, quando sarebbe svenuta, ora che perfino bere era diventato un gesto meccanico.

Un’altra pietra si infranse, le promettenti sfumature rossastre al suo interno si sciolsero come tante macchie di sangue. Ren ne prese una nuova con rabbia, questa volta di un azzurro così liquido da sembrare acqua marina. La posò nell’alloggiamento e ne approfittò per affogare la frustrazione in un altro sorso d’acqua. Solo allora si accorse di aver prosciugato anche l’ultima borraccia. L’irritazione la investì. Soppesò le possibilità e infine si rassegnò a spegnere la fiamma.

Le ci vollero diversi secondi perché gli occhi si riabituassero alla penombra. Il corpo le suggerì che avrebbe dovuto mangiare qualcosa, se non voleva collassare sul pavimento. Così, rassegnata, cercò il campanello nella penombra e suonò. Qualche secondo, e dal cono di metallo giunse la voce di Anne, squillante come una tromba. «Sì, miss? Serve qualcosa?»

Ren tolse il visore e si massaggiò la fronte. «Acqua… e del cibo» disse. Una pausa, un’altra serie di calcoli e valutazioni, poi un sospiro. «Non credo di farcela a venire lì. Puoi portarmeli?»

«Ricevuto» disse Anne dopo un istante.

«Grazie, Anne.»

Dall’altra parte arrivò il suono di un sorriso, una sinestesia che Ren avrebbe ritenuto irrealistica, prima di assumere Anne a servizio. 

«Di nulla, miss.»

Tornò il silenzio, Ren si aggirò per la stanza come un animale in gabbia. Da quanti giorni non usciva a prendere un po’ d’aria? Aveva perso il conto.

La macchina che l’aveva completamente assorbita giaceva silente. Era il frutto di mesi di studio, di calcoli, di successi e, ultimamente, di clamorosi fallimenti. Eppure, negli ultimi giorni sentiva di essere arrivata a un punto di svolta. La pressione era stabile, la temperatura ottimale. La fiamma usciva regolare, il sibilo del gas l’unico suono rimasto dopo aver oliato con cura ogni ingranaggio. Era perfetta sotto tutti gli aspetti, ma non ne voleva sapere di funzionare.

La frustrazione tornò ad invaderla e Ren fu sul punto di scagliare la borraccia quando Anne bussò alla porta ed entrò con il suo sorriso rumoroso e un vassoio carico di cibo.

L’odore aspro del formaggio le pizzicò le narici, lo stomaco di Ren fece una torsione.

«Sono arrivati i rinforzi!» disse Anne, giuliva. Attraversò la stanza a passi svelti, urtando un tavolo carico di ingranaggi. Si scusò con un altro sorriso e posò il vassoio sull’unico piano libero. «Sarete affamata. Vi ho portato un po’ di cose, così potete scegliere.»

Si chinò per raccogliere gli ingranaggi e Ren scorse salsiccia, formaggio, pane e un calice colmo di vino. Lo stomaco ebbe un altro scossone.

«Grazie, Anne. Ti chiamo se mi serve altro» disse Ren, sperando che la cameriera cogliesse al volo il messaggio.

Non lo fece. «Posso aiutarvi in qualche modo?» disse, muovendo qualche passo.

D’istinto, Ren si irrigidì. Raramente le permetteva di entrare nello studio.

Anne parve cogliere la sua paura e si mosse piano verso la finestra, per aprirla di qualche centimetro. Nel farlo, diede una gomitata alla pila di fogli e alcune matite ruzzolarono giù, spuntandosi. «Ops, scusate» disse, affrettandosi a raccoglierle. Poi si volse verso di lei. «Meglio far girare un po’ d’aria, altrimenti qui soffocate» spiegò.

Ren non disse nulla, si limitò ad annuire. La cameriera non aveva tutti i torti, la finestra era chiusa da giorni. A ben pensarci, lei stessa doveva avere un odore pessimo, avrebbe dovuto concedersi una doccia.

Il vento portò nella stanza il profumo della primavera. Qualche foglio si mosse, le pietre tintinnarono e Ren vide che il tramonto si era ormai spento e le tenebre si impossessavano del cielo. 

«Se serve altro…» disse Anne, regalandole un altro enorme sorriso.

In maniera illogica, Ren si sentì triste. Aveva voglia di uscire di lì, di tornare alla civiltà. Di farsi vestire da Anne per frequentare salotti, scambiare chiacchiere con i colleghi e godersi una serata normale, dimenticando il suo esperimento fallito. Guardò Anne e vide che la cameriera la osservava a sua volta, perplessa. 

«State bene, miss?» 

«Sono stata meglio.»

«Volete un po’ di compagnia? Posso fermarmi qui finché cenate.»

La Ren scienziata si ribellò al pensiero. Doveva rimettersi a lavorare, allontanare ogni distrazione – e ogni rischio per l’esperimento – e produrre un risultato. La Ren donna prese però il controllo e annuì. «Sì, grazie Anne. Mi farebbe piacere.»

Si sedettero l’una accanto all’altra. Ren prese un sorso di vino e si accorse di avere le labbra secche e una fame atroce. Si lanciò sul cibo con voracità, invitando Anne a servirsi anche lei.

Mangiarono in silenzio, accompagnate dal vocio che veniva dalla strada.

A stomaco pieno, Ren si sentì meglio. Riuscì persino a sorridere vedendo Anne sbriciolare il formaggio sulla gonna e sul pavimento. La mente, ora rinvigorita, riprese a girare nel verso giusto. E per l’ennesima volta, Ren si chiese se non fosse più saggio arrendersi. Stava lottando contro i mulini a vento, nel disperato tentativo di dimostrare che poteva trarre energia da cristalli ormai inerti. Voleva provare che il mondo potesse girare nel senso opposto solo per testardaggine, solo per inseguire un sogno che l’aveva tenuta sveglia per innumerevoli notti. 

«Anne, pensi che io sia pazza?» sospirò, guardando la cameriera negli occhi.

«No, certo che no, miss» disse Anne, forse troppo prontamente. «Penso che voi siate una persona intelligente, che non si può non stimare.» Vedendo che Ren la osservava con scetticismo, Anne continuò. «Il vostro macchinario, miss, è una meraviglia della tecnologia. Io non me ne intendo affatto, ma ho sentito come ne parlano i vostri colleghi…»

Anne andò verso il piano da lavoro, Ren questa volta non disse nulla. Si sentiva troppo stanca per temere la goffaggine della cameriera. Se anche avesse rotto qualcosa, cosa sarebbe cambiato? Tanto non funzionava comunque.

«Quanto vorrei avere il vostro ingegno, miss» continuò Anne, sporgendosi verso i tubi. «Mi piacerebbe sapere cosa fanno questi, ad esempio.»

Ren sorrise e la raggiunse, guardando la macchina con devota sofferenza. «Servono a distillare i reagenti» disse. «Vetro temperato, resistente al calore e alla pressione. Ho provato diverse sostanze prima di trovare quelle giuste.»

«Giuste per cosa?» chiese Anne.

«Per reagire con i cristalli» disse Ren, indicando la pietra azzurra. Poi spostò l’indice più sotto. «Qui c’è la fiamma. Quando raggiunge la temperatura giusta, il liquido nei tubi evapora e il gas discende da quel beccuccio, riscaldando la pietra.»

«E poi?» 

E poi… e poi, nei suoi piani, e secondo i calcoli rifatti alla nausea, il cristallo avrebbe dovuto fondersi sulla superficie, incorporare il reagente e sigillarsi all’istante a contatto con l’aria, creando un nuovo materiale a metà tra solido e gas, che quando sollecitato avrebbe rilasciato l’energia custodita al suo interno. Peccato che non funzionasse, come testimoniavano le schegge sparse qua e là per la stanza.

«Cosa va storto, miss?» chiese Anne, con la voce acuta colma di curiosità.

Se solo lo sapessi, pensò Ren con irritazione. Si voltò di scatto, sentendo la rabbia montare. Sarebbe dovuta rimanere sugli studi teorici, come le avevano suggerito i colleghi, si sarebbe risparmiata un sacco di frustrazione.

Anne la affiancò e le sorrise. «Chiedo scusa, miss, vi lascio ai vostri studi» disse. «Vedrete che riuscirete a venirne a capo.» 

La cameriera mosse un passo e il sibilo della fiamma sorprese Ren, che si voltò di scatto.

Il grembiule della cameriera si era impigliato sulla manopola, riaccendendo il gas e rimettendo in funzione la macchina.

«Oh, miss, scusate io…» iniziò Anne, ma Ren ma la fermò con un gesto, meravigliata. Il cristallo si stava scaldando, il gas scendeva già dal beccuccio. La fiamma tremolava all’aria che veniva dalla finestra, ma anziché spegnersi come Ren aveva temuto, danzava abbracciando il cristallo e aumentando l’area di contatto. La superficie della pietra si crepò, una linea netta come non ne aveva mai ottenute.

Sotto gli occhi increduli di Ren, il gas si condensò e colò dentro la fessura, un attimo dopo l’aria soffiò sul cristallo e lo solidificò. La fiamma si spense, la penombra tornò nello stanzino.

Ren si accorse di trattenere il respiro. Attese qualche istante e poi prese la pietra con mano tremante. Una sfera liscia, tiepida, azzurrata e perfetta, che all’interno custodiva un cuore ribollente, vivo.

«Miss, è meravigliosa…» mormorò Anne, al suo fianco.

«Sì, lo è…» riuscì a dire Ren, rapita. 

Mosse un passo per andare alla finestra e vedere come la pietra avrebbe reagito all’esposizione intensa all’aria. Diede per scontato che Anne si sarebbe spostata per farla passare, ma solo quando le andò addosso si ricordò del grembiule ancora incastrato al macchinario.

L’urto fu lieve, nulla più che una leggera spinta. Sufficiente però a far scivolare la pietra di mano.

Il tempo si congelò in quel singolo, eterno, istante di caduta.

Poi la pietra andò in frantumi, e gli occhi di Ren si riempirono di fiamme. Azzurre, come l’acqua marina. Sature di energia e conoscenza. Un attimo prima che la investissero, Ren gioì: ce l’aveva fatta.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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