È una sera come tante. Il profumo dei gerani oltrepassa timidamente le finestre spalancate, mescolandosi all’odore morbido di brace e birra, comune a tutte le taverne.
Nel camino un piccolo ceppo arde per formalità, nell’aria risate e canzoni vibrano per tradizione, e sui tavolini carte e cartine giacciono audaci, distese e stirate per meglio attirare la fortuna.
Si parla di matrimoni e di mucche, di insulti e consulti, di tombe da depredare e principesse da conquistare. È una sera come tante, in una taverna piena d’avventurieri.
Poi d’improvviso, la porta si spalanca, con uno schianto. Una figura marcia nella taverna, declamando: «Fermi tutti! Ce l’ho!»
Il brusio, interrottosi repentinamente, riprende ritornando rapidamente al livello precedente. Dopotutto la figura non è una guardia, né una damigella in pericolo, ma un ometto poco appariscente. Qualcuno però chiede scherzando: «E cos’è che hai?»
Il tono dell’ometto è solenne. «L’avventura.»
Il brusio cala. Più che il tono è la parola ad attirare sguardi e orecchie. Sono professionisti, dopotutto.
«E che avventura sarebbe?» chiede qualcuno, parlando per tutti. «Ne abbiamo una con un troll. Cento talleri facili.» Brusio d’approvazione.
«Noi vogliamo uccidere l’ultimo drago bianco. Per cinquecento.» Alcune teste vengon scosse.
L’ometto però inizia a gesticolare, e a parlare con entusiasmo. «Sì, sì. Troll e draghi sono una scelta collaudata dal tempo. Non si sbaglia con un drago. Ma la mia proposta è diversa. Se vi dicessi che l’avventura è…»
L’ometto fa una pausa ad effetto, e alza le mani davanti al petto come se stesse tenendo un’invisibile pagnotta.
«…l’avventura stessa?»
Sopraccigli vengono sollevati, sguardi ritornano a liste e cartine.
«Pensateci. L’avventura è proprio fare l’avventura. Nel senso di crearla! Una meta avventura in cui la meta è l’avventura! Con tanto di ostacoli, imprevisti, improvvisazione! Un’altissima probabilità di fallimento!»
Le caratteristiche, o forse la mancanza di ricompensa, dissolvono gli ultimi brandelli di interesse, ma l’ometto non si scoraggia.
«Bah. Salvatevi» sbotta, ma senza rabbia. Si guarda intorno, individua un tavolino con un posto libero, e riceve un cenno e un sorriso dagli occupanti. Un istante dopo è già seduto, i gomiti sul tavolo e i polpastrelli giunti. «Allora…»
La potenza delle storie
Le storie sono ovunque. Secondo alcuni la stessa percezione del mondo che ci circonda non è che una storia. I sensi ci fornirebbero infatti stimoli grezzi, semplici impulsi elettrici senza senso. Impulsi che poi il cervello interpreta e utilizza per costruire una narrativa, non sempre corretta, che diventa poi la nostra percezione. Fateci caso, non vi è mai capitato di toccare una teglia di metallo, ritrarre la mano credendo di esservi scottati le dita, e rendervi conto quasi subito che non era calda, ma fredda? Il vostro cervello ha registrato un impulso, gli ha costruito attorno una storia plausibile, e l’istinto l’ha utilizzata per preservare il proprio corpo.
Non è questo il luogo né il momento per discutere di teoria della percezione, tantomeno di epistemiologia o tutti quegli altri argomenti dai nomi fantasiosi (“L’astrusità del nome di una disciplina è tipicamente il tappeto sotto il quale un esperto nasconde la sua ignoranza” cit. 18° F.L.), ma c’è un’ultima chicca che voglio raccontarvi.
Il cane abbaia, l’uomo racconta
Secondo qualcuno, ciò che ha permesso all’umanità di dominare il pianeta è stata proprio la capacità di inventare, raccontare, e intendere le storie. Afferrare un carbone ardente a mani nude è una brutta esperienza, così come cercare di cacciare un leone a viso aperto. Gli animali solitamente sanno che non devono afferrare i carboni ardenti, e che devono girare al largo dai leoni, ma lo sanno principalmente per istinto. Quando l’istinto non contempla una situazione, vedi i kiwi in Nuova Zelanda, le cose precipitano.
Ma, cosa succede se introduciamo la possibilità di impacchettare tutte le esperienze di un essere, positive e negative, e trasmetterle ad un altro essere? Succede che stiamo bypassando l’istinto, e non bisognerà aspettare i tempi biblici dell’evoluzione (o dell’inserimento dell’esperienza nella memoria genetica) perché tutti gli esseri possano beneficiare del sacrificio (o del colpo di genio) di un loro antenato. Un vantaggio immenso, quando si tratta di un mucchio di ominidi senza artigli né zanne. Non so quanto sia vera tale teoria, ma sicuramente mi affascina, e aumenta ancor di più il mio interesse per le storie.
E cos’è un’avventura di D&D, se non una storia interattiva? Certo, in un’avventura non vengono trasmesse conoscenze utili alla sopravvivenza, dopotutto nel mondo moderno non esistono draghi, e i perfidi baroni si tende a non passarli a fil di spada. Ma i canali di comunicazione e i meccanismi di base sono gli stessi che da svariati millenni utilizziamo naturalmente. Per non parlare poi delle meccaniche introdotte da un sistema di gioco, estremamente interessanti anch’esse sia dal punto di vista formale e matematico, che da quello più umanamente ludico.
Le avventure: storie interattive
Non sarà quindi difficile comprendere, e spero condividere, l’interesse che mi suscitò questo post.
Nel suddetto, l’Autrice mette sul tavolo un audace intento: creare un’avventura. Ovvero una storia interattiva, un grande racconto collaborativo dove tutte le parti partecipano e si influenzano a vicenda. Poi, il fatto che utilizzi Dungeons & Dragons come sistema di interattività è ovviamente importante, ma non fondamentale. Così come l’edizione specifica delle regole, la quinta.
Qualche che sia l’implementazione infatti, un’avventura è un’avventura, e la sua creazione è un procedimento affascinante. Procedimento che credo chiunque si appassioni di GdR farebbe bene ad esplorare, sia personalmente che seguendo i sentieri tracciati dai grandi.
Non solo, così come ragionare sulla creazione di un’avventura è utile e divertente, lo è anche raccontare il percorso, con le sue difficoltà e i suoi trabocchetti. Perché il prossimo ominide possa avere una vaga idea di cosa potrebbe succedere ad assaggiare quel funghetto così buffo e contorto.
Ed ecco quindi, che finisco a parlare di me.
Il mio nome non è importante, quel che dirò confido sarà abbastanza pregnante.
La serie di post sulla creazione di Arabian Dreams mi ha ispirato e stimolato, spingendomi ad intraprendere (o almeno tentare) la medesima impresa. Non solo, la suddetta Autrice ha graziosamente concesso ospitalità ai miei resoconti. Perché in fondo, n+1 opinioni sono generalmente meglio di n, e l’osservatore saggio saprà osservarle obiettivamente e formare la sua n+2-esima.
Premesse e promesse
Ecco quindi definite le premesse. Ho scorto un’esperta intraprendere un’ambiziosa impresa, e ho deciso di imitarla, tentando io stesso. Cercherò quindi di creare dal nulla la mia avventura (di D&D, molto probabilmente). Rispetto a quello dell’Autrice il mio approccio sarà differente, probabilmente insensato. L’esito per nulla scontato, possibilmente deludente.
Quanto alle promesse… la faccenda si fa più complicata.
Non vi prometterò un manuale di istruzioni per creare una fantastica avventura, perché non conosco abbastanza l’argomento (al più, forse, un’avventura fantastica). Non vi prometto nemmeno di portare a termine l’impresa, che la casualità esiste (checché ne dicano persone più intelligenti di me) e non si può mai sapere come e dove colpirà.
Posso però offrirvi di passeggiare fianco a fianco per questa nuova e sconosciuta strada. Posso offrirvi parole (probabilmente molte e possibilmente attinenti) durante il cammino, e parimenti prestare orecchio alle vostre opinioni. Potrei perfino spingermi fino a discuterne qualcuna.
Se siete curiosi, e vorrete affiancarmi nell’avventura che è creare un’avventura, ci vedremo al prossimo post, dove inizieremo a parlare di cos’è un’avventura, e come costruirne il nucleo.
Ultimo ma non ultimo, un disclaimer.
Esiston cose che, secondo me, van da sé. Ma è forse meglio ribadirle, che non si sa mai.
Non intendo pormi su una cattedra. Ho creato qualche avventura, ma ogni volta in una maniera diversa, con risultati altalenanti. Non possiedo la formula magica, né alcun titolo di sapienza o abilità. Prendete le mie parole cum grano salis.
Non intendo infamare le scelte dell’Autrice. Il mio approccio è diverso dal suo, ovviamente. A volte contrasterà perfino. Questo non significa che il mio è giusto, tantomeno migliore (anche perché la reputo più brava di me). Quando e se vi capiterà di leggere delle opinioni divergenti, prendetele per quel che sono: punti di vista equivalenti. Solo uno sciocco le legge come attacchi, e solo un idiota cerca di sfruttarle per flammare.
Ecco, ora sì che abbiamo detto tutto. Almeno credo. I commenti sono aperti. Salvatevi.
Questo articolo è andato online per la prima volta su storiedagdr, un blog ormai in disuso. Lo ripubblichiamo qui affinché non si perda nell’oblio di Internet.