Dolci note si librano nell’aria della locanda.
Saturano l’ambiente affollato, mentre la giovane gnoma che le sta creando muove con delicatezza le dita sulle corde. Uno stivale adagiato sul bordo del camino e l’altro a dondolare nel vuoto, Breena intrattiene gli ospiti del Calderone Fumante a occhi socchiusi, quasi non si trovasse realmente lì.
Alcune ciocche corvine sono sfuggite al laccio di pelle in cui le ha racchiuse e ora ondeggiano insieme al viso, danzando al ritmo di musica. Arrivata alla fine della strofa, Breena si ferma e apre gli occhi, lasciandoli vagare per la sala gremita.
Molti degli avventori la osservano, rapiti dal suono prodotto dal suo liuto. Con un sorriso, la gnoma raddrizza il busto e inizia a raccontare.
«Esiste un castello, là sopra le nuvole…. Solo pochi fortunati hanno avuto modo di osservarlo e, anche quando l’hanno fatto, la vista ha mozzato loro il fiato al punto che non hanno avuto il coraggio di raccontarlo…»
È un’antica leggenda della sua regione e anche se ormai l’ha cantata innumerevoli volte, ancora si stupisce di quanto interesse accenda negli avventori. Gli spettatori di questa sera non le staccano gli occhi di dosso e lei immagina che in questo momento stiano davvero vedendo An sármhaith, la reggia sopra le nuvole.
«An sármhaith, la chiamano, La Superba, perché superbo è il suo aspetto e superbi sono i suoi abitanti. Loro sono i Controlla-tempeste e la loro vita è dedicata ai venti e alle perturbazioni che si muovono oltre la corte delle nuvole..»
La descrive con minuzia, quella reggia sulle nuvole, affidando alle morbide note tutta l’intensità che quella notte accanto al focolare le sta regalando. Ogni strofa è accompagnata dal canto delle corde e lei intreccia parole e musica con maestria, come se non avesse mai fatto altro.
«Come dicevamo poc’anzi, pochi mortali hanno avuto il privilegio di posare il loro sguardo su An sármhaith, ed è su uno di loro che questo racconto si concentra.
Nel piccolo paese dal quale proveniva, era conosciuto come Idéalaí, il Visionario, perché trascorreva buona parte delle sue giornate con lo sguardo rivolto verso il cielo, in contemplazione. Nessuno sapeva perché lo facesse e molti pensavano che ci fosse qualcosa che non andava, in lui, che gli impediva di essere come erano loro...»
Ha raccontato tante volte la storia di Idéalaí ma l’emozione che le provoca quella ballata è intensa come la prima volta che l’ha sentita. Quando arriva alla fine, lascia che l’ultima nota resti sospesa e si libri nell’aria, portando con sé le immagini del Castello sopra le Nuvole e del giovane sognatore divenuto il più potente Controlla-tempeste. Poi anch’essa sfuma e, come se qualcuno avesse girato una manovella e riavviato un congegno, le chiacchiere degli avventori riprendono, accendendo la locanda di risate e brusii.
Lei rimane al suo posto, il liuto ancora tra le braccia, il respiro leggermente accelerato dal canto. Dalla folla, alcuni avventori si avvicinano per lasciarle qualche moneta nel cappello e lei li ringrazia con un cenno del capo e un sorriso. L’occhio le cade su un ragazzino che indugia accanto a lei, con gli occhi abbassati e le spalle che sussultano un poco per la timidezza.
Breena l’ha già notato, viene ad ascoltarla tutte le sere da quando è arrivata in città. Oggi, però, è la prima volta che si fa così vicino, come se avesse finalmente trovato il coraggio. Ancora non sa che quel coraggio gli cambierà la vita.
«Ciao» gli dice e lui alza di scatto il viso e arrossisce. Avrà poco più di dieci anni, ma è già più alto di lei. Non la guarda, ma i suoi occhi guizzano spesso sul suo liuto, come hanno fatto per tutto il tempo durante la sua esibizione. In quegli occhi, Breena ha letto desiderio, dolce e familiare. «Ti piace? È un liuto, un regalo del mio maestro. Vuoi provarlo?» Abbassa un po’ il capo per sfilare il nastro con il quale tiene lo strumento, ma il ragazzino scrolla la testa e arretra di un passo, imbarazzato.
«Ehi, non andartene, aspetta» gli dice lei, posando lo strumento al suo fianco, sul largo cornicione del caminetto. «Io sono Breena. Ti va di dirmi il tuo nome?»
«Elia» sussurra il ragazzino, imbarazzato; ma almeno smette di retrocedere e alza il viso. Il suo sguardo torna a indugiare sul liuto, poi si sposta su di lei. Si accorge che lo sta osservando, però, quindi abbassa immediatamente il capo, rosso in viso.
«Elia… Che bel nome» continua Breena, intenzionata a mandare avanti quella conversazione. Elia le ricorda tanto se stessa, quando era ancora una bambina e ronzava intorno al cantore del suo villaggio. All’epoca bramava di imparare a suonare e cantare come lui, ma non aveva mai trovato il coraggio di chiedergli di insegnarle. Andava a vederlo esibirsi ogni sera, gli occhi sgranati per la meraviglia, incapace di esprimere a parole quello che provava quando le luci si abbassavano e la musica fluiva, incantata, fino a lei. Neanche i suoi genitori avevano compreso quel suo atteggiamento, e si erano limitati a imputarlo a un vezzo della crescita, che sarebbe passato non appena avesse appreso meglio le arti magiche e si fosse distinta, come loro, nella protezione della foresta.
Finché, un giorno, Kellen le aveva rivolto la parola e ogni cosa, in lei, aveva acquistato un senso.
Il ricordo del suo mentore rimasto al villaggio le instilla un pizzico di dolce nostalgia e Breena sorride. Oggi non sarebbe nulla, se non fosse per Kellen. Deve a lui quasi ogni cosa che sa ed è stato lui a spronarla a viaggiare, per scoprire nuovi luoghi e trovare la sua storia. Quella giusta, che attende solo che lei la racconti e la regali al mondo. Nel frattempo, gira da una taverna all’altra, raccontando di epiche gesta del passato e ripagando l’alloggio e il cibo che i tavernieri le offrono con canti tradizionali e ballate che lui le ha insegnato. È così che è arrivata qui.
Guarda il piccolo Elia e il ricordo della se stessa bambina la spinge a non demordere. Ha riconosciuto quello sguardo, quella brama di storie e canzoni. Compare di rado, ma quando succede non può mai passare inosservata.
«Che ne dici…» esclama, attirando ancora l’attenzione del bambino. «Se ti insegno a suonarlo?»
Lui sgrana gli occhi. «Dici… dici davvero?» balbetta.
Breena ride. «Certo che dico sul serio! Puoi venire qui alla locanda tutti i pomeriggi e ti insegnerò quello che so.»
Nello sguardo di Elia si alternano molte emozioni, che Breena riconosce distintamente: incredulità, gioia, timore, tristezza. L’ultima, con suo dispiacere, prevale. «Il mio papà dice che sono troppo grande per sprecare il mio tempo. Che dovrei lavorare. Non sarà felice se vengo qui a imparare a suonare.»
Breena però si aspetta quella obiezione, ha già vissuto in prima persona questa scena. Sa che la musica, ancora oggi, fuori dai Collegi Bardici non è considerata un lavoro degno. Proprio per questo, a quelle parole sorride. «Non preoccuparti, ho una soluzione. Ti piacerebbe diventare cameriere?»
Elia inarca le sopracciglia. «Cameriere?»
«Sì, cameriere. Vedi, i proprietari di questa locanda sono miei amici. Possiamo chiedere loro di prenderti a lavorare qui. Così, la mattina potrai renderti utile e guadagnare qualcosina e il pomeriggio sarai qua, e potremo iniziare le tue lezioni.»
«Sul serio?» mormora lui, esaltato e un poco confuso. Non riesce a crederci, e Breena non può certo dargli torto. Neanche lei, allora, aveva realizzato subito ciò che Kellen le stava offrendo.
«Sul serio» risponde, alzandosi per raggiungerlo. «Vieni, andiamo a chiedere a Lorna se ha bisogno di una mano in cucina. Come te la cavi con le pentole?»
Il bambino scrolla il capo, ancora incapace di realizzare fino in fondo quello che gli sta succedendo. “Lo farà pian piano” sorride Breena, guidandolo verso il bancone. “C’è tempo e la musica gli farà da guida.”
Breena Filiméala Turen. È questo il nome completo della gnoma protagonista di questo racconto. È uno dei tanti personaggi ai quali ho dato vita grazie a una storia, ma che non hanno mai avuto lo spazio che meritavano in una vera e propria campagna. Nel suo caso, ero rimasta affascinata dall’idea di una cantrice capace di attirare sospiri e applausi in egual misura, con una voce così dolce da guadagnarsi il soprannome di Filiméala, usignolo in irlandese antico. Chi lo sa, forse ci sarà prima o poi l’occasione di rendere questo racconto parte di una campagna di D&d. Nel frattempo mi accontento di avervela presentata su questi lidi, e di averle dato almeno una minima parte dello spazio che merita.
Il racconto è andato online qualche anno fa su storiedagdr, un blog ormai dismesso; lo ripubblico qui, perché sarebbe un peccato che andasse perduto nell’oblio di Internet.