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La Perla del Deserto

Il vento soffia, caldo, sul profilo della duna. Piccoli granelli di sabbia si sollevano in volo, turbinando leggeri nell’aria. Il velo che la donna porta legato al capo si gonfia, la sabbia si insinua tra le sue pieghe e si intreccia ai lunghi capelli neri. Con un movimento distratto, Arima la scosta e copre la fronte per schermarsi dalle raffiche del vento. La mano sfiora il diadema e la regina esita, per la prima volta incerta da quando ha cominciato quel lungo viaggio. È davvero la cosa giusta da fare?

Un battito di ciglia e il dubbio è già svanito, portato via dal vento. Non ha alternative, Amira lo sa bene, quindi muove l’ennesimo passo in avanti e arranca nella sabbia. La bocca, secca per l’arsura di quella giornata implacabile, comincia a dolerle; il capo le gira e la vista si fa sfocata. Deve attingere a ogni risorsa che possiede per continuare a camminare, per non arrendersi all’evidente destino che il deserto ha in serbo per lei.

Nessuno, d’altronde, lascia vivo il deserto di Harq. La sua non è stata che un’illusione e adesso solo la folle disperazione la mantiene ancora in vita. Perché non c’è alternativa, a quel viaggio verso morte certa. Il caldo, sotto gli abiti, è una lenta tortura. Il lino le striscia sulla pelle, graffiandola quando la sabbia vi penetra. I piedi, avvolti nella stoffa ormai consumata, sono percorsi da mille vesciche rosse, che pungono come spilli.

La regina rantola, il respiro reso graffiante dalla sete. Solo il pensiero della piccola Saalima al sicuro nelle sue stanze la consola. Il suo volto roseo è un’oasi di speranza in mezzo al dolore. È per lei che deve andare avanti. È per lei che deve consegnarsi al tormento del deserto. Non ancora, però, non può ancora cedere: la sua meta è vicina, se lo sente nelle ossa che tremano sotto il calore; lo percepisce nella brezza bollente che le scotta il viso, nella sabbia che le raschia le dita dei piedi. Lui è vicino e lei deve solo resistere un altro po’. Lui arriverà, e finalmente tutto questo finirà.

E Saalima sarà in salvo.

Nelle stanze reali, la principessa dorme placida, ignara del destino che il deserto di Harq ha in serbo per la madre. Avvolta dalle più splendide sete di Shams, con il pugnetto chiuso accanto al viso, è immersa in un sonno profondo e senza sogni, come quelli che faceva quando ancora Amira la teneva nel suo grembo. Si sente al sicuro, proprio come allora, anche se la sua mamma è lontana, più di quanto Saalima potrebbe mai immaginare.

Troppo piccola per percepire che qualcosa non va, si fa cullare dalla brezza leggera che soffia attraverso i vetri aperti. Un leggero profumo di bergamotto avvolge le stanze, tingendo di sprazzi colorati quel suo sogno senza sogni. A tratti, la principessa Saalima ha quasi l’impressione di scorgere qualcosa, oltre il morbido buio nel quale è immersa. Ma sono solo bagliori, il sentore di una distesa di sabbia bollente e di un sole intenso, sospeso in un cielo così terso da fare quasi paura.

Amira mette un altro piede avanti e il corpo vacilla, schiacciato dal peso del sole, del vento bollente, della sabbia che le graffia la pelle e le tortura i piedi. Vacilla e questa volta cade, il corpo che non risponde più agli ordini, la mente che tremola e poi si spegne in un’oscurità quasi rassicurante.

Non sente più il caldo, anche se ora è distesa con il volto in terra su una duna. Non percepisce più il vento che ulula intorno a lei e anche i piedi hanno smesso di farle male. C’è pace, in questo buio, Amira non lo avrebbe mai pensato. Avrebbe immaginato che morire fosse doloroso, ma qui c’è solo quiete.

È sul punto di lasciarsi avvolgere da quella pace, quando il volto di Saalima fa capolino tra i suoi pensieri, piccola luce in mezzo all’oscurità nella quale sta sprofondando. È bellissima, la sua bambina, bionda come le esili spighe di grano che crescono nei terreni intorno a Satie, delicata come una zagara di aprile, appena sbocciata nel tripudio di colori del giardino reale. Amira si aggrappa a lei con tutte le sue forze. Sa che sta morendo, lo sente in ogni fibra del suo corpo. Eppure, non riesce a staccarsi dalla quell’immagine, non riesce a lasciarla andare. Sogna di prendere in braccio la piccola Saalima e nel sogno ne sente il calore, leggero e familiare; percepisce il profumo, così simile a quello dei fiori di bergamotto che tanto gliela ricordano. È come se lei fosse lì, davvero tra le sue braccia, per essere cullata un’ultima volta prima dell’addio.

Nelle stanze reali la brezza si fa più forte, e ora anche il profumo di bergamotto è più intenso. La principessa Saalima lo percepisce e l’oscurità che impregna il suo sonno si sfilaccia, lasciando emergere delle immagini più vivide. Nei suoi sogni di neonata, Saalima vede il volto della regina che sorride. Lei è la cosa più bella che abbia visto finora e quando la prende tra le braccia tutto acquista un senso: il suo essere qui, cullata nel calore di un posto del quale ancora non conosce il nome; il sole che picchia sui vetri della finestra, e che crea ombre che a volte le fanno paura. Finché non arriva Amira e tutto diventa luce.

La sua mamma, la sua salvezza. Ma anche se è ancora troppo piccola per comprenderlo, Saalima percepisce nel profondo che quell’abbraccio è diverso dal solito. Quello è un addio e, anche se non sa cosa significhi, la principessa sente che qualcosa di brutto sta per succedere. Una singola lacrima argentea solca la sua guancia di neonata, prima di venire inghiottita dalla seta delle coperte.

Amira è in pace, ora. Nulla può andare storto quando tiene la piccola Saalima tra le braccia e anche il deserto di Harq appare come nulla più di un sogno sfocato ai margini della sua mente. Il peso della sua bambina, il suo calore, il suo profumo, sono le sole cose che contano. Amira rimarrebbe ore a osservare Saalima dormire, a percorrere con delicatezza il contorno delle sue sopracciglia chiarissime, delle guance morbide, del piccolo naso a punta. Rimarrebbe qui per sempre, se il dolore non tornasse a farsi sentire, netto come una lama che morde la carne e si bagna del suo sangue.

Quel dolore è tutto ciò di cui ha bisogno per tornare indietro. Perché anche se è stordita, soffocata dal caldo, arsa dalla sete, la regina Amira è ancora viva, e il suo corpo glielo sta ricordando. Prima le gambe, percorse da tante ferite che pizzicano; poi le mani scottate, avvolte nel lino per proteggerle dal sole che ancora batte, implacabile sopra di lei. E infine gli occhi, che tremolano e si oppongono, che non vogliono lasciare il rifugio sicuro offerto da quel sogno.

Ma non è nulla più di questo, un sogno, ormai la regina Amira ne è consapevole. Quindi lotta, disperatamente, per riemergere, anche se questo significa abbandonare Saalima ancora una volta, anche se questo vuol dire non rivederla mai più. Questo il destino ha in serbo per lei, Amira lo ha compreso ormai da tempo. E se c’è una cosa che ha imparato vivendo ad Haya, è che non si scappa al proprio destino, mai.

Facendo forza sulle braccia instabili, Amira si solleva piano, sollevando la sabbia che le si è posata sopra, come un velo. Le gambe tremano ma la regina insiste, finché non è di nuovo in piedi. Solo allora apre gli occhi e il deserto le appare diverso. Davanti a lei, a pochi passi da dove si trova, un’oasi è emersa dalla sabbia. Le palme svettano al sole, l’acqua gorgoglia e Amira può quasi sentirne il sapore sulle labbra, riesce a percepirla mentre attraversa la gola riarsa e nutre il suo corpo devastato.

Per un momento, Amira teme che si tratti di un miraggio, uno scherzo crudele giocatole da un deserto che vuole solo sbarazzarsi di lei. Ma anche se apre e chiude gli occhi più volte, se si volta all’indietro o poi torna con lo sguardo all’oasi, le palme sono sempre lì, il suono familiare dell’acqua è ancora presente. La brezza porta fino a lei l’odore di sabbia bagnata e Amira capisce infine di essere arrivata, di aver trovato ciò che cercava.

Di storie su quel luogo, negli ultimi anni, ne ha lette mille e più. C’è chi dice di aver visto l’oasi spostarsi, viaggiare trasportata dalla brezza come un granello di sabbia. C’è chi dice che emerga solo in alcuni giorni, quando il sole è allineato agli altri pianeti e i suoi raggi battono perfettamente perpendicolari sul terreno di Harq. E c’è chi invece sostiene che sia l’oasi a scegliere quando e a chi mostrarsi, e che solo chi accetta il destino che il deserto ha deciso per lei è davvero in grado di trovarla.

Quale sia la verità, ad Amira in quel momento non importa. L’unica cosa che conta è che sia arrivata, l’unica cosa che le preme è raggiungere il cuore dell’oasi e portare a termine il suo sacrificio. Di tutte le storie che ha sentito, una sola adesso è importante. Amira sa che l’oasi è in grado di realizzare il suo desiderio, ma ci sono delle condizioni, e la regina le ha impresse bene in mente per non dimenticarle: anche se la tentazione è immensa, non deve riposare all’ombra di quelle palme; anche se il bisogno sarà così intenso da devastarla, non può bere l’acqua di quella fonte. Se lo fa, il suo destino è perduto. Se lo fa, quel viaggio è stato inutile.

Un passo dopo l’altro, Amira si muove verso l’oasi e ora il vento sembra aiutarla, la sospinge nella direzione giusta, tenendo la sabbia lontana per non farle del male. Le viene quasi da ridere, al pensiero che è dovuta arrivare a un passo dalla morte per poter raggiungere la sua meta. O forse è proprio questo il motivo, forse è così che funziona. Devi essere disposto a rinunciare a tutto per dimostrare al custode che sei degno di entrare nell’oasi.

Arrivata al margine delle prime palme, Amira esita e si ferma, travolta da una speranza che fino a poco prima pareva annegata anch’essa nella sabbia. E se ci fosse un altro modo? E se avesse già dimostrato la sua determinazione e una volta espresso il suo desiderio fosse libera di tornare indietro? Il pensiero di rivedere Saalima, di poterla abbracciare ancora, quasi la schiaccia. Invece che darle la spinta per fare l’ultimo passo, quell’idea la paralizza e Amira capisce, in un’istante, quale sia la verità. È quella l’ultima prova, solo così può dimostrare davvero il suo valore. Deve mettere il bene di Satie prima di tutto il resto, prima di sé e prima dei suoi desideri, prima di Saalima e prima del suo istinto di madre. Deve farlo per la sua piccola principessa, e deve farlo per il suo regno.

Una vita per salvarne mille, così dicono le antiche profezie. Un destino per intrecciarne migliaia, un sacrificio per proteggere tutti loro dalla minaccia che sta per abbattersi sulle sue terre.

Quella consapevolezza è l’ultimo tassello e la regina muove infine un passo ed entra nell’oasi. D’un tratto è come se il deserto svanisse, come se l’intensità del sole si attenuasse e ci fosse solo questo, il qui e ora, l’oasi e le palme, la fonte e un uomo, seduto di spalle sulla sabbia accanto all’acqua, immerso in una meditazione profonda. Silenziosa, Amira avanza fino a trovarsi al suo cospetto e poi si inchina, lei che non si è mai prostrata davanti a nessuno, lei che pur di non farlo davanti ai suoi nemici ha scelto di imbarcarsi in quel viaggio disperato attraverso il deserto.

Con il volto che sfiora la sabbia Amira inspira e attende. Non sente dolore, non sente fatica. La sua mente è rivolta all’uomo e quando lui finalmente si gira e parla, la sua voce è un balsamo delicato che scioglie anche gli ultimi rimasugli della sua paura. «Benvenuta, figlia mia.»

Amira lotta per resistere alla tentazione di guardarlo, ha paura che se cede lui se ne andrà e quell’occasione sarà svanita per sempre. E lui pare intuire il suo tormento, perché le posa una mano sul capo e con dolcezza sussurra. «Alzati, Amira. Alzati e mostrami la donna che sei diventata.»

Con le lacrime che già bagnano le gote, Amira alza il capo e incontra gli occhi di suo padre, l’uomo che ha sognato per una vita intera, l’uomo non ha mai conosciuto ma del quale ha seguito fedelmente le orme fino a quell’oasi. «Padre» dice, la voce rotta dall’emozione. «Ti ho sognato. Ho sognato che mi chiamavi, che tracciavi per me la rotta. Sono qui per compiere il mio destino, come hanno fatto i miei antenati prima di me. Come hai fatto tu, prima di me.»

L’ultimo re di Satie la abbraccia ed è come se un frammento perso del suo cuore ritrovasse la strada di casa e la rendesse, finalmente, completa. «La mia splendida Amira. La mia bellissima, splendida Perla del Deserto» mormora lui, accarezzandole le ciocche scure, asciugando le lacrime che ancora scorrono sulle sue guance. Amira lo osserva e si stupisce di quanto poco sia cambiato. Ne ha un ricordo sfocato, se n’è andato che ancora lei faceva fatica a parlare, eppure sembra che il tempo non abbia scalfito il suo volto, che sia rimasto cristallizzato in un passato in cui era ancora Haashim, l’illuminato sovrano del regno di Shams.

«Mi sei mancato.» È tutto quello che riesce a dire, le uniche parole che sembrano racchiudere quello che sente e che vorrebbe raccontargli: che lo avrebbe voluto al suo fianco quando la madre si è spenta, che avrebbe desiderato fargli conoscere Mutaa e averlo al loro matrimonio; che avrebbe avuto bisogno di lui quando suo marito è morto e Hilal ha cominciato a invadere le loro terre, quando la guerra è arrivata a minacciare la piccola Saalima, il suo tesoro più prezioso, la sua vita intera. Ma sono parole troppo difficili da pronunciare e quindi si limita alle più semplici. Haashim sembra capire comunque e la stringe, così forte da soffocare tutto il dolore che si è portata dentro in quegli anni. «Anche tu mi sei mancata, piccola.»

Rimangono così, stretti l’una all’altra, per un tempo che le sembra infinito. Finché è Amira a staccarsi per prima, perché sa che il destino non può essere rimandato. Saalima è in pericolo e lei ha solo una possibilità per salvarla. «Padre, sono qui per il desiderio.»

Haashim la osserva, il dolore impresso nel suo sguardo è quello di un padre che sa quanto la fine sia inevitabile. «Ti ho chiesto perdono tante volte, da quando ti ho lasciata. Ma questa è la prima volta che posso farlo avendoti davvero qui, davanti a me.» 

«Padre, non devi…» comincia Amira ma lui la ferma con un cenno. È diventato solenne all’improvviso, il volto una maschera di tristezza antica che sembra affondare nel cuore del deserto stesso. La regina capisce che quello è il rituale, il motivo per cui è arrivata fino a lì. E che deve lasciare che Haashim parli e che il destino si compia.

Lui le prende le mani e le stringe con affetto attraverso il lino. «Perdonami, figlia mia. Per non essere riuscito a tenere il nostro regno al sicuro. Per aver fatto ricadere su di te il peso di tutto questo. Se esiste un modo di fermare questa ruota che gira, in tutti questi anni io non sono riuscito a trovarlo. Ora il mio tempo è finito e io devo andare oltre; e tu prenderai il mio posto, e tutto questo dipenderà da te. Trova un modo per spezzare la ruota, figlia mia. Trovalo, e Saalima non dovrà compiere il nostro stesso viaggio.»

Amira esita, non capisce e non sa se può chiedere, se può pretendere una spiegazione. Si era immaginata quel momento diverso, anche se non sa dire con precisione cosa si era aspettata.

Il padre chiude gli occhi e inspira, poi rilascia l’aria, lentamente, verso di lei; come se il suo respiro fosse una brezza, Amira lo sente posarsi sul suo viso, una carezza delicata che le asciuga le ultime lacrime rimaste. Haashim riapre gli occhi e le sorride ancora, con tenerezza. «Sei stata coraggiosa, piccola mia. Hai affrontato il deserto e ne sei uscita, dimostrando di essere degna di esprimere il tuo desiderio al deserto. Ora chiedi, e il deserto ti proteggerà.»

«Padre, desidero la salvezza per Satie, per la piccola Saalima e per il regno di Shams. Che l’avanzata dei nostri nemici si arresti e che la nostra casa sia al sicuro» recita Amira, consapevole di quanto vero e puro sia, quel suo desiderio.

Una scintilla di tristezza illumina gli occhi di Haashim, ma lui si limita ad annuire. «Ora il tuo viaggio ha davvero inizio» dice, mentre raccoglie un po’ d’acqua dalla fonte per spargergliela sul capo. «Da oggi in avanti, finché vivrai e avrai respiro, questa oasi sarà la tua casa. Qui riposerai e qui pregherai, e ogni preghiera che lascerà le tue labbra sarà linfa nuova che proteggerà Satie e la nostra gente. La sete ti tormenterà di continuo, e non sempre sarai in grado di resisterle. La stanchezza schiaccerà le tue membra e spesso vincerà la tua tenacia e ti costringerà ad addormentarti.

Ma sappi questo: ogni volta che berrai da questa fonte, il nemico riuscirà ad avvicinarsi un po’ di più alla nostra casa. Ogni volta che dormirai, il regno di Hilal vincerà un’altra battaglia, perché il tuo respiro sarà la forza dei nostri soldati, la tua determinazione il coraggio di Satie e della piccola Saalima. Dove altri prima di te hanno fallito, tu dovrai trionfare. Finché non saranno passati troppi anni e l’oasi non ti avrà scalfita, pezzo dopo pezzo. Allora, dovrai chiamare Saalima a prendere il tuo posto, e la ruota compirà un nuovo giro. A meno che non spezzi tutto questo. Infrangi il cerchio e Saalima sarà salva. Trova il modo di cambiare il nostro destino, e Satie vedrà una nuova era.»

Le parole di Haashim si depositano, pesanti, nel cuore di Amira e per un momento la regina teme di non farcela. Come se avesse sentito la sua paura, come se si nutrisse di lei, la sete torna a farsi sentire ed è un tormento così forte che Amira sente di non potervi resistere. Con lei tornano anche il dolore della pelle lesa, la stanchezza che l’ammanta come un velo, il calore che penetra tra le fronde e le s’imprime dentro, scavandola fin nel profondo.

Come può vincere tutto questo?

«Padre, io…» mormora, e le lacrime riprendono a scorrere, bagnando la pelle riarsa, cadendo sopra la stoffa del suo vestito. Amira piange come non ha più fatto da anni, come una regina non farebbe mai. Piange per la figlia perduta, per il suo regno che crollerà perché lei non è abbastanza forte, non è abbastanza capace. Sopraffatta dalla paura e dalla sconfitta, Amira piange ogni lacrime che il caldo le concede, sapendo che tradirà la fiducia che il padre ripone in lei, che Satie ripone in lei.

Ma poi Haashim le stringe ancora le mani, così forte da sovrastare il dolore, da farle dimenticare la sete, da rendere il calore appena una fastidio. Le lacrime si fermano, i singhiozzi scemano. «Guardami, Amira» le ordina e lei obbedisce, e quando incrocia il suo sguardo non legge delusione, non vede tristezza o rassegnazione. Haashim sorride ed è il sorriso più bello di tutti, quello che le regalava quando era solo una bambina che cercava di imparare a camminare, dondolando tra le sue braccia come una nave che si rifugia nel porto più sicuro poco prima di una tempesta.

«Ce la farai, figlia mia» le dice e lei gli crede, perché sa che Haashim non le mentirebbe mai. «Tu sei la Perla del Deserto, sei Amira di Satie, regina del regno di Shams, mia figlia, la mia luce. Hai continuato a vivere dopo che io me ne sono andato, sei sopravvissuta alla morte di tua madre e poi a quella di tuo marito e sei diventata regina con le tue sole forze, mostrando a Satie e a tutto Shams cosa significhi davvero indossare quella corona. Hai dato alla luce la piccola Saalima da sola, hai regnato con saggezza e infine sei arrivata qui, attraversando per giorni un deserto dal quale quasi nessuno è uscito vivo. Tu riuscirai dove io ho fallito, tu spezzerai il cerchio. Io lo so, io credo in te. Abbi fede, figlia mia. Tu sei la tua forza, e tu proteggerai Satie meglio di quanto io non abbia fatto. Io lo so, ed è il momento che anche tu ti renda conto di chi sei.»

Le parole di Haashim penetrano, lentamente, attraverso la barriera di paure che l’avvolge e si insinuano nel suo cuore. Amira comincia a vedere uno spiraglio, a scorgere la realtà dietro il velo del timore che da tutta una vita si porta dentro. La paura di non essere abbastanza, di vacillare e cadere, comincia lentamente a ritrarsi. E ora la sete si fa meno intensa, le vesciche e le ferite dolgono meno. L’oasi le appare in tutta la sua bellezza, un’isola sicura in mezzo a un mare di sabbia minaccioso.

E lei, lei che ha attraversato il deserto di Harq e ne è uscita indenne, ora comincia a vedersi per chi è davvero: una donna che ha votato la sua vita a proteggere la sua gente, una madre che farebbe di tutto per permettere alla figlia di vivere una vita piena. Farà di tutto per riuscire dove Haashim a fallito, realizza. Lotterà con tutte le sue forze per risparmiare a Saalima questo destino. O morirà nel tentativo.

Quando guarda di nuovo Haashim, non può fare a meno di sorridergli. Lo vede, ora, come mai ha fatto prima: un re, un padre, un uomo che ha lottato per tutta la vita per permettere a lei di arrivare fin lì. E che ora le sta dando le armi per vincere quella battaglia. «Qualunque cosa accada» dice, accarezzando quel viso tanto amato. «Sarò sempre fiera di essere tua figlia.»

Commosso, Haashim la abbraccia e Amira sa che quello è l’ultimo addio che dovrà dire. «Ti voglio bene, padre.»

 «Ti voglio bene, piccola mia. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre. E quando tutto questo sarà finito ci incontreremo là dove muore il sole, e potremo stare insieme per sempre.»

Divisore

La Perla del Deserto è un racconto fantasy ispirato ad Arabian Dreams, un’ambientazione per D&d 5e. Come suggerisce il nome stesso, l’ambientazione possiede forti richiami arabeggianti. Il racconto è stato pubblicato qualche anno fa su storiedagdr, un blog ormai dismesso; lo riproponiamo qui perché non finisca nell’oblio di Internet.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.