Ci sono libri che nascono con il preciso intento di colmare un vuoto: libri che offrono punti di vista ancora inesplorati o che regalano spunti nuovi per ampliare punti di vista esistenti. Oltre marie. prospettive di genere nella scienza di Edwige Pezzulli e Nastassja Cipriani fa parte di questa preziosa categoria. Fin dalla scelta del titolo e della copertina, il nuovo saggio de le plurali mette in chiaro la sua volontà di estendere lo sguardo, di offrire prospettive nuove (di genere) al modo in cui guardiamo la scienza. E lo fa partendo con il superare il primo grande scoglio: abbandonare le narrazioni eroiche sulle singole donne, le poche, che sono riuscite a emergere da una storia della scienza altrimenti costellata di personalità maschili e indagare i perché del grande divario ancora esistente tra donne e uomini di scienza.
Oltre marie: le donne nella scienza
Fin dai primi approcci alle elementari, quello che ci viene insegnato è che la scienza è fatta di grandi scoperte compiute da grandi persone. Grandi uomini, per la precisione, scienziati dalla mente geniale che nel loro tempo hanno rivoluzionato il modo di concepire e guardare all’universo. Da qualche anno, per fortuna va detto, si è cominciato a recuperare dai meandri polverosi della storia anche le poche donne che sono riuscite a farsi strada in un mondo strettamente patriarcale, offrendo il loro enorme contributo ai progressi dell’umanità.
Marie Curie è l’esempio più eclatante e non è un caso che titolo e copertina di questo libro (con questa geniale scelta di rappresentare tante Marie che celano i volti delle scienziate sottostanti) facciano riferimento proprio a lei. Il suo mito, e quello di una manciata di altre scienziate come Rosalind Franklin, Ada Lovelace, Lise Meitner e così via, si è imposto alla nostra attenzione con tutta la forza di una rivoluzione. Ma possiamo davvero parlare di rivoluzione, se guardiamo al modo in cui ci vengono raccontate le loro storie?
Secondo Edwige Pezzulli e Nastassja Cipriani non proprio, anzi. Il mito della scienziata eroina è andato ad affiancare quello dello scienziato eroe, ma continuando a mettere in ombra la realtà: ovvero che la scienza non è fatta né è stata mai fatta solo da singole persone. E che dietro grandi personalità come Curie o Einstein c’erano sempre decine, oggi migliaia di altre persone di scienza che con il loro contributo hanno permesso di cambiare davvero la storia.
Superare il mito dell’eroe e dell’eroina per raccontare tutt*
Una storia della scienza davvero moderna e completa è una storia che tiene conto di molti fattori: le singole storie delle persone che l’hanno fatta, certo, ma non solo; anche il contesto e il tempo in cui sono vissute, le persone con cui sono entrate in relazione durante i loro studi, i condizionamenti culturali e sociali che hanno guidato le loro ricerche e, soprattutto, lo sguardo che hanno adottato mentre le conducevano.
Come affermava già Donna Haraway negli anni ‘80, siamo esseri situati: osserviamo il mondo dalla nostra prospettiva e attraverso questa interpretiamo la realtà che ci circonda. Questo vale anche per chi si occupa di scienza e le autrici presentano numerosi casi storici in cui la prospettiva degli scienziati osservatori si è scoperta parziale, quando ad essa si è cominciato ad affiancare quella delle scienziate (gli studi sui primati sono uno degli esempi più eclatanti).
Con questo, ovviamente, non vogliamo dire che lo sguardo delle donne è migliore e meno parziale di quello degli uomini, ma piuttosto che la nostra realtà è plurale e che anche la scienza dovrebbe esserlo. Abbandonare il mito dello scienziato eroe e della scienziata eroina significa educare la scienza ad ampliare lo sguardo e le narrazioni che si fanno su di essa, abbracciando la pluralità che caratterizza tutto il nostro mondo.
Divari di genere nella scienza
Una volta compreso che siamo esseri situati, che respiriamo condizionamenti sociali da sempre, il passo successivo è chiederci come questi condizionamenti hanno influenzato e ancora influenzano il mondo della scienza. Perché se è vero che uomini e donne oggi hanno le stesse possibilità formali di accedere a questo mondo, è pur vero che quei condizionamenti hanno ancora un peso, e notevole.
Nei primi capitoli, le autrici ci guidano in un’acuta analisi sulle condizioni di partenza che ancora differenziano il modo in cui bambine e bambini guardano alla scienza. L’idea settecentesca che gli uomini siano più portati delle donne ai ragionamenti razionali, e che quest’ultime siano più propense a sviluppare un’intelligenza emotiva e relazionale, è ancora fortemente radicata nella nostra società e ha un peso nel modo in cui cresciamo le piccole persone.
Basti pensare a quante volte, da bambine, ci siamo sentite dire che la matematica era troppo difficile per noi, e che eravamo più portate per la scrittura e per la lettura; e quante volte ai bambini è stato detto che giocare a cullare le bambole era roba da femmine, e che era molto meglio se si dedicavano alle costruzioni e alle macchinine. Basta questo per capire che la facilità con cui le giovani donne scelgono più frequentemente percorsi umanistici o di cura e gli uomini percorsi ingegneristici o logico-matematici non è un caso, né una dimostrazione di una predisposizione biologica, ma piuttosto un riflesso del modo in cui vengono cresciute e cresciuti nella nostra società.
Per fortuna, le cose stanno cambiando, anche grazie all’educazione alle differenze che da qualche anno sta lavorando nelle scuole per appianare questi divari nell’infanzia; ma resta un dato notevole che, se il tasso di iscrizioni delle donne nelle università scientifiche è in aumento, continua ad essere basso il numero di donne che accede ai livelli più alti del mondo accademico, segno che c’è ancora molto lavoro da fare non solo in materia di decostruzione degli stereotipi, ma soprattutto nel modo stesso in cui concepiamo la società (sono ancora le donne a farsi carico della maggiore quantità di lavoro famigliare e domestico, ad esempio).
Guardare la scienza in una prospettiva di genere
Ecco, dunque, che il lavoro di Edwige Pezzulli e Nastassja Cipriani diventa essenziale per sviluppare nuove prospettive di genere (e non solo) con cui guardare alla scienza. Prospettive che tengano conto dell’ambiente umano nel quale la scienza si muove e si evolve, per non guardare più ad essa come qualcosa di “alto e intrinsecamente neutrale” ma come uno dei frutti più stimolanti del nostro essere persone curiose e in perenne ricerca di risposte, situate e fallibili, dubitanti e intrinsecamente, qui sì, relazionali.
Un lavoro che potrebbe tranquillamente entrare a scuola come parte di quell’educazione alle differenze che citavamo poco sopra, per offrire nuovi punti di vista e indicazioni pratiche su come fare scienza in modo davvero inclusivo e accogliente per tutt*.
Questa recensione di oltre marie. prospettive di genere nella scienza è parte del progetto Un libro per la Casa, nato per accrescere il prezioso patrimonio librario della Biblioteca della Casa della donna di Pisa, e per promuovere la lettura libera e accessibile di testi di narrativa e saggistica femminista. A nome della Biblioteca e di Chiacchiere Letterarie ringrazio le plurali editrice per aver donato una copia del libro alle e ai nostri utenti.
oltre marie. prospettive di genere nella scienza sarà presto disponibile al prestito sul catalogo della rete Bibliolandia.