Dopo il grande successo de La regina degli scacchi, nessuno si sorprende di veder parlare del “Gioco dei Re” in giro per il web. La miniserie di Scott Frank e Allan Scott, tra i suoi numerosi pregi, ha anche quello di aver fatto nascere in tanti la voglia di sapere di più del mondo degli scacchi. E io, va da sé, non sono affatto immune da questa nuova ondata di curiosità. Attratta dal gioco e dai suoi affascinanti misteri, sono approdata quasi naturalmente a Stefan Zweig e alla sua Novella degli scacchi; questo, soprattutto grazie al consiglio di un amico a sua volta intrigato da questo mondo (sebbene da ben prima di vedere le prodezze della nostra Beth).
Volumetto Newton Compton alla mano, mi sono dunque imbarcata sul piroscafo passeggeri diretto a New York, aspettandomi una breve novella tutta incentrata sul Gioco dei Re. Quello che ho trovato in realtà… be’, è stato decisamente inaspettato e meritevole di una recensione.
Trama
Siamo nel secondo dopoguerra, su un piroscafo che copre la tratta Buenos Aires – New York. A bordo, c’è niente meno che il detentore del titolo mondiale di campione degli scacchi. Czentovič è un uomo rozzo, ignorante e abbastanza ottuso, almeno finché si parla di qualunque campo che non sia quello del Gioco dei Re. In quel caso, e solo in quello, è il più talentuoso dei campioni; anche se la sua immaginazione resta inspiegabilmente simile a quella di un comodino.
La sua pecca più grande, oltre alla scarsa immaginazione, è che è avido e arrogante. Per questo, non può certo resistere quando uno dei passeggeri della nave gli offre dei soldi per sfidare lui e altri compagni a una partita. E poi a un’altra e a un’altra ancora, una serie di vittorie per il grande campione che si interrompono solo quando un ometto timido e sconosciuto si avvicina al gruppo di giocatori e suggerisce le sue mosse.
Dopo una straordinaria patta, per il narratore e per il lettore comincia un viaggio nel passato del dottor B., un uomo che sembra possedere tutto il talento immaginifico che manca a Czentovič. Ma che ha anche dalla sua una storia che non può che alterare la nostra intera percezione degli scacchi.
La novella degli scacchi
Come avrete intuito, approcciandomi a La novella degli scacchi mi aspettavo un semplice viaggio nel mondo del gioco e dei suoi misteri. Al più, il resoconto di una partita brillante tra due menti raffinate e ineguagliabili.
Capirete dunque la mia sorpresa quando, fin dal principio, il narratore ha messo bene in chiaro che Czentovič non è affatto il campione che ci saremmo potuti attendere. Nessuna meravigliosa capacità immaginativa, nessuna personalità magnetica e attraente. Solo il talento schematico e univoco di muovere dei pezzi su una tavola quadrettata. Per il resto, il nostro campione è la persona più sgradevole che si sia mai raccontata.
La mia sorpresa, va da sé, è aumentata ulteriormente quando è apparso il secondo protagonista di questa vicenda. Dove Czentovič è stato scolpito come roccia, grezza, ruvida e priva di fascino, il dottor B. è diamante, mille facce che catturano i raggi e li rimbalzano ovunque creando meravigliosi giochi di luce. Dove l’uno è pragmatismo, asciuttezza e schematicità, l’altro è passione, desiderio e follia.
È stato però quando Zweig ha iniziato a narrare la storia del dottor B., che il mio entusiasmo per la novella è virato a stupore. Tutto mi sarei aspettata, fuorché di venir catapultata in una stanzetta di hotel vuota a eccezione di un tavolo, un armadio, la tapezzeria e una finestra con vista a muro. E di riuscire a scorgere proprio lì, in quel luogo claustrofobico e distruttivo, l’immaginazione e la creatività in tutta la loro esaltante bellezza.
Passione e follia
La Novella degli scacchi è innegabilmente una storia di passioni. Di quelle che nutrono e divorano, di quelle che salvano la vita e anche, perché no, di quelle che mancano totalmente in alcuni di noi.
Czentovič è l’esempio perfetto di uomo privo di passione. Gioca perché gli riesce bene, per denaro e per abitudine. È l’unica cosa che sa fare, ma non prova gusto nel farla e in lui gli scacchi assumono solo il significato di un lavoro.
Il dottor B., all’opposto, è un uomo salvato e divorato al contempo dalla sua passione. Arrivato agli scacchi nel momento peggiore della sua vita, ci si è aggrappato per salvarsi la vita. E se da un lato il Gioco dei Re gli ha davvero permesso di salvarsi, dall’altro è diventato anche il principio della sua follia.
In mezzo c’è il narratore, un uomo che gioca a scacchi per diletto, che sfiora quella passione senza afferrarla mai davvero. E che trovandosi proprio a metà tra i due estremi, è in grado di analizzarli entrambi e di trarne insegnamento.
La più grande salvezza, la più disperata dannazione
Sebbene il percorso del dottor B. sia il più travagliato e distruttivo tra quelli presentati, appare chiaro fin da subito che sia anche il più vero, autentico e potente.
Chiuso nella sua stanzetta e torturato nel peggiore dei modi che un essere umano può concepire, il dottor B. ha cercato rifugio nell’unico luogo che potesse davvero salvarlo: la sua immaginazione. Gli scacchi, che qui sono un vero e proprio strumento di salvezza, hanno spalancato per lui le porte a un mondo intimo e interiore dove fuggire da ciò che stava vivendo. Un mondo che era solo suo, e dal quale ha tirato fuori un talento così brillante da battere anche il più spietato dei pragmatismi.
Ma se da un lato gli scacchi hanno permesso al dottore di rimanere se stesso, di resistere nella sua interezza a ciò che stava vivendo, dall’altro lo hanno divorato al punto da provocare in lui un crollo che lo ha portato a un passo dalla morte, e lo ha cambiato per sempre. Eppure, anche preda della follia o forse proprio grazie ad essa, il dottor B. si è salvato.
Come se Zweig volesse dirci che salvezza e dannazione vanno sempre in coppia, e che lasciarsi travolgere da qualcosa, dare tutti noi stessi a qualcosa, è l’unico modo per vivere davvero. Distrutti, certo, e irrimediabilmente dannati. Ma liberi, nonostante tutto, dal resto delle costrizioni.
La novella degli scacchi come metafora della vita
Alla fine della lettura, mi sembra chiaro che gli scacchi non siano altro che una metafora. La rappresentazione di un’entità, sia essa materiale o puramente spirituale, alla quale gli esseri umani si aggrappano quando vacillano in cerca di sé stessi. La chiave per aprire le porte del proprio mondo interiore, per riscoprire quella parte di noi che culliamo nella nostra mente e guardiamo sempre con un velo di rispettosa paura.
Quella scintilla di follia e di passione che ci rende umani in tutte le nostre sfaccettature. E che brucia di una fiamma così potente da bruciarci mentre ci cura.
Il volumetto Newton Compton dal quale ho letto La novella degli scacchi purtroppo è fuori produzione. Se avete modo di recuperarlo in un mercatino, su ebay o su qualche altro sito che tratta usato, però, ve lo consiglio caldamente. Il prezzo di copertina è equo e la traduzione molto scorrevole e piacevole.
In alternativa, su Amazon trovate l’edizione Einaudi (quella che vedete qui sopra col nostro link da affiliate) e quella Garzanti, entrambe però a un prezzo decisamente altino per una novella così breve.