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Il colour-blind casting in David Copperfield

Quando, spulciando fra le uscite cinematografiche previste per il 2020, ho scoperto fra gli altri un film ispirato al romanzo dickensiano con protagonista Dev Patel, ho avuto due reazioni.

La prima di grande curiosità e interesse (complice anche la cotta epocale che nutro per Dev Patel dai tempi di Slumdog Millionaire).

La seconda di perplessità e poca fiducia. Perché già immaginavo i commenti e le reazioni. Le accuse di politicamente corretto, buonismo, razzismo alla rovescia. E poi, mi chiedevo, può un classico vittorianamente inglese come David Copperfield essere adattato con successo alla dimensione multiculturale e multicolore dell’Inghilterra di oggi?

Locandina del film "La vita straordinaria di David Copperfield"
Recensione: il colour-blind casting in David Copperfield

La risposta è sì. E lo dimostra anche il fatto che nemmeno giornali solitamente poco teneri verso il “politically correct” come il Daily Mail abbiano trovato niente da ridire sul film. Qual è dunque il segreto dietro il fascino di questo innovativo adattamento del capolavoro di Dickens? E perché il colour-blind casting in David Copperfield sembra funzionare così bene? Scopriamolo insieme in questa recensione.

Recensione: il colour-blind casting in David Copperfield

Una ventata di freschezza

Nonostante la popolarità imperitura di Dickens, è ancora molto diffusa, a mio parere, l’idea che i romanzi dell’autore vittoriano siano pesanti, seriosi, prolissi. Questo film, diretto da Armando Iannucci, sa rendere giustizia al grande senso di umorismo e ironia che pervade le opere dickensiane. Questo è il primo elemento che fa dimenticare in fretta l’incongruenza di personaggi non bianchi e non occidentali nel quadro dell’Inghilterra vittoriana. Il ritmo è incalzante e vivace, le gag comiche si susseguono senza appesantire la trama e l’umorismo è proprio il classico humour inglese paradossale e un po’ surreale. Lo spettatore si ritrova talmente coinvolto in questo caleidoscopio di colori, scene e battute che non ha tempo di interrogarsi su come possa un personaggio orientale essere padre di una giovane donna nera, o come possa una donna bianca dare alla luce un figlio dai tratti tipicamente indiani.

Il cast

C’è poi il fatto che le scelte di casting, molto semplicemente, funzionano. Dev Patel è talmente perfetto nei panni di David Copperfield che si direbbe che il ruolo sia stato scritto per lui. Forse c’entra il fatto che la sua fama sia legata indissolubilmente a Slumdog Millionnaire e alle peripezie di Jamal, che da ragazzino di strada diventa milionario e conquista la ragazza da sempre amata, ma Patel incarna perfettamente lo spirito picaresco e intraprendente del personaggio dickensiano.

A fargli da contorno un cast veramente stellare: Tilda Swinton, Hugh Laurie, Ben Whishaw e Peter Capaldi sono i nomi più celebri, ma a colpirmi in particolare sono stati Benedict Wong, Rosalind Eleazar e Morfydd Clark.

I primi due (inglesi, ma di origini hongkonghesi lui e ghanesi lei) interpretano Mr Wickfield e sua figlia Agnes, amica e confidente di David, nonché discreta e pragmatica eroina della storia. Wong ed Eleazar sono il perfetto esempio di quando due attori sono talmente calati nel proprio ruolo e in tale sintonia fra loro, che lo spettatore dimentica incongruenze come il colore della pelle o i tratti somatici degli interpreti e semplicemente sospende l’incredulità per godersi la narrazione.

Morfydd Clark ha invece un doppio ruolo: quello della madre di David, Clara, e in seguito della sua promessa sposa, Dora Spenlow. Una scelta insolita ma efficace, che ci ricorda che a volte ciò che crediamo di desiderare non è altro che il rimpianto di ciò che abbiamo perduto. Fra parentesi, Morfydd Clark aveva interpretato il film natalizio L’uomo che inventò il Natale, ispirato anch’esso a Dickens.

Colour-blind o colour-conscious?

Sempre più spesso osserviamo scelte di casting non convenzionali (un esempio su tutti i film Disney, specialmente nelle versioni live-action dei suoi grandi classici). Puntualmente, queste scelte attirano polemiche e critiche, sia da parte di chi le bolla come mosse di marketing “buoniste” e deplora la dittatura del politicamente corretto, sia da parte di chi le considera una sorta di contentino per dimostrare un’inclusività solo di facciata.

È vero, questo è un terreno minato, dove entrano in gioco fattori molto delicati. Da una parte c’è l’esigenza, mai così sentita e importante, di rendere l’industria cinematografica più inclusiva, dall’altra il rischio di risultare condiscendenti o ipocriti, seppur animati da buone intenzioni. Il dibattito è acceso e a volte la linea che separa il colour-blind casting dal colour-conscious casting è molto sottile. Io stessa, per quanto mi schieri decisamente dalla parte dell’inclusività, non ho sempre apprezzato certi tentativi un po’ goffi di inserire personaggi di etnie diverse in storie e ruoli dove la loro presenza era palesemente inverosimile. Eppure per David Copperfield non è stato così. Perché?

Verosimiglianza e modernità

Forse c’entra il fatto che tutto il tono del film sia surreale, fantasioso e squisitamente metaletterario. Sicuramente anche l’azione e la comicità della trama, incalzanti e travolgenti, contribuiscono a far dimenticare allo spettatore il colore della pelle di chi la interpreta. Forse, infine, sarà anche che ormai abito in Inghilterra da quasi tre anni e quella che ho visto in David Copperfield rappresenta la vera società inglese per come ho imparato a conoscerla in questa parentesi di vita all’estero. La società inglese è multietnica e multiculturale. Per chi ci vive, è molto più verosimile aspettarsi di vedere personaggi di origine indiana, caraibica, orientale, che tratti somatici tutti indistintamente occidentali. Nemmeno la Brexit può cancellare questo dato di fatto.

E per quanto riguarda il problema della verosimiglianza… Certo, la società inglese in epoca vittoriana non era quella di oggi. Charles Dickens ha sicuramente immaginato il suo David Copperfield come inglese e bianco. Ma se è per questo, nemmeno gli standard di bellezza ottocenteschi corrispondevano a quelli di oggi. Eppure non ho sentito altrettante lamentele quando, per esempio, la bellissima e slanciatissima Keira Knightley è stata scelta per interpretare Lizzie Bennet, che secondo gli standard di bellezza dell’epoca avrebbe dovuto essere decisamente più in carne per essere considerata una bellezza.

Forse allora la vera preoccupazione degli adattamenti cinematografici dovrebbe essere non la verosimiglianza a tutti i costi, ma rendere queste storie ancora capaci di comunicare con gli spettatori di oggi. Il film di Iannucci in questo riesce magnificamente.

Elisa
La lettura è stato il mio primo amore, le lingue straniere il secondo. Traduttrice, bibliotecaria, appassionata di letteratura per l'infanzia, classici letterari, femminismo, cucina e cinema. Credo fermamente che un adulto creativo sia un bambino sopravvissuto.