Fantasy e Fantascienza, Recensioni

Recensione La città di ottone di S.A Chakraborty

Brilla il sole da sud, soffia il vento da nord, c’è un’intensa complicità. Sul tappeto ora va, dove andare lo sa, nelle notti d’oriente andrà
Chi non ha pensato alle Notti d’Oriente di Aladdin guardando per la prima volta la copertina de La città di ottone? Anche mentre scrivo questa recensione, la mia mente canticchia questa melodia, quasi volesse farmi da colonna sonora alla scrittura.

Di punti di contatto tra le due storie, d’altronde, se ne trovano davvero tanti. Eppure Shannon Chakraborty riesce a regalarci una trama originale (anche se con qualche elemento già visto), capace di trasportarci in un mondo arabeggiante e pieno di magia.

Nel quale i jinn camminano per le strade fianco a fianco con gli esseri umani.

Trama

Nahiri è una giovane che si finge divinatrice, che ha imparato a sopravvivere tra le spietate strade del Cairo del XVIII secolo ingannando sprovveduti troppo ricchi per badare ai loro averi. Ma in lei, da sempre, scorre davvero una vena, e questa diventerà presto evidente quando per sbaglio evocherà un jinn in carne e ossa, come quelli di cui narrano le leggende.

Un jinn che è certo che lei discenda da un’antica stirpe di Daeva, e che l’unico modo per proteggerla dalle misteriose forze che la inseguono sia portarla nella leggendaria Città di Ottone.

Copertina Città di Ottone
Recensione La città di ottone

Recensione La città di ottone

Sole cocente, deserti sterminati, città sature di odori e colori. Shannon Chakraborty ci trasporta in un mondo stile Le mille e una notte, tra jinn (o geni) tenuti schiavi per secoli e splendidi palazzi d’ottone e giada, scintillanti sotto i raggi del sole. Guidati da Nahiri e dal principe Alizad, scopriamo il lato nascosto del mondo arabo, quella vena di magia leggendaria che nella nostra realtà non è che mito, ma che in La città di ottone diventa viva e tangibile.

Così, apprendiamo le differenze tra Daeva e peri, tra creature nate dal fuoco ed esseri dagli enormi poteri nati dall’aria, dall’acqua e dalla terra. E conosciamo i profondi contrasti che affliggono un mondo in cui leggenda e realtà si fondano, e jinn e umani faticano a convivere pacificamente.

La città di ottone
La città di ottone | Recensione

Una storia dal sapore arabeggiante ma dal retrogusto familiare

La storia di Nahiri, Dara e Alizad è resa particolare dall’ambientazione in cui è calata. Non sono tanti i fantasy che si nutrono di leggende arabe, ed è sempre interessante scoprire come un’autrice o un autore ha dato vita a questi miti così affascinanti e distanti da noi.

La Chakraborty è brava nel fondere tradizione e leggenda, nel tessere religione e mito in un racconto a più voci che spesso sembra quasi reale, almeno finché la magia e le meraviglie che circondano Nahiri non emergono in tutta la loro potenza. Ma sotto tutti i veli di lustrini e colori, sotto il sentore arabeggiante e il fascino delle terre esotiche e delle spezie, la storia in sé è stata forse la parte più deludente.

Sì, perché non basta un po’ di curry a rendere un tipico fantasy young adult qualcosa di più, e alla fine della lettura, La città di ottone appare una storia davvero troppo familiare. È facile prevedere dove l’autrice andrà a parare e perfino i più intimi pensieri dei personaggi principali sono talmente noti a chi il genere lo bazzichi da apparire un poco stantii.

Una cartina de La città di ottone
Una cartina de La città di ottone | Recensione

Lo stile di Shannon Chakraborty

La cosa che davvero colpisce però, inoltrandosi tra le pagine de La città di ottone, è che l’autrice ha scelto di narrare la sua storia con uno stile ricco e carico di descrizioni. Cosa non comune, nel genere young adult, ma molto efficace vista l’ambientazione e il sapore della racconto.

La vediamo, questa Città di Ottone, ci pare quasi di averla davanti agli occhi e di distinguere le cupole che scintillano al sole, i giardini incolti che palpitano di vita. Se c’è un pregio da trovare in questo romanzo è proprio qui, nel suo essere così ricco e dettagliato da coinvolgere nonostante la trama poco efficace.

Ma uno stile così carico non sempre è perfetto e ci sono alcune parti (poche, per fortuna), nelle quali la Chakraborty si perde per strada, tra una riga e l’altra di descrizioni che appaiono forse fin troppo eccessive.

In conclusione

La città di ottone è un romanzo godibile, capace perfino di stupire in molte parti. Un punto di incontro tra l’Aladdin disneyiano e Le mille e una notte al quale si ispira, speziato di un’interessante punti di religione e magia. Ma non è un romanzo perfetto e sotto la scorza aromatica ci sono molti dettagli già noti e risvolti che, personalmente, ho trovato un filo deludente.

Una lettura piacevole, dunque, che consiglio se amate il fascino del mondo arabo e in un libro cercate più il gusto dell’ambientazione della vitalità e originalità della trama.

divisore

Per aver organizzato questo evento, e avermi dato modo di leggere La città di ottone, il mio ringraziamento più sincero va a Sara del blog Il club delle lettrici compulsive. E un ringraziamento speciale anche alla Oscar Vault che ci ha fornito una copia per scrivere questa recensione.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.