Fantasy e Fantascienza, Intorno al libro, Recensioni, Scrittura

Esercizio di editing #1

Nelle mie precedenti recensioni ho voluto sottolineare alcuni problemi legati alla narrazione in sé. Ho quindi deciso di provare a fare un esercizio di editing. Non sono un editor professionista, quindi prendete questi spunti con le dovute molle. Non farò una riscrittura (se volete possiamo provarlo a fare in un secondo articolo).

Ho deciso di fare questo esercizio di editing con un libro che non ho ancora letto, Mondo in fiamme – una primavera di cenere di Edoardo Stoppacciaro. Questo per non farmi influenzare dalle impressioni che ho avuto leggendolo la prima volta.

Quello che faremo in questo articolo non si baserà quindi sulla storia o sull’arco narrativo. Sarà solamente la lettura delle prime righe del prologo, valutando passo per passo ciò che è corretto – a livello teorico – e ciò che non lo è.

Prime “regole” di base per iniziare:

Immersione

La catarsi con i personaggi è necessaria. Leggere una cronaca di eventi non può mai essere paragonata al vivere quegli eventi. Abbiamo bisogno di diventare il personaggio, vivere le vicende con lui e non leggere riassunti.

Ad esempio, riassumere in un prologo che sono stati uccisi tutti gli adulti ed ora al potere ci sono gli adolescenti cosa evoca? Poco. Ci aiuta solo a capire il contesto.

Utilizzare invece il punto di vista di uno di quegli adolescenti, permettendoci di vedere cosa c’è di cool nella totale assenza di adulti intorno, e senza quindi menzionare quello che il personaggio non riesce a percepire (mantenendo quindi la catarsi con un personaggio senza l’intervento del narratore onnisciente), ci permette di vivere appieno quel mondo. La differenza è notevole.

Il dopo non è prima

Può sembrare superfluo ma non lo è. Ciò che viene spiegato (o preferibilmente visto dal punto di vista del personaggio, senza che venga riassunto) dopo, non ci permette di capire appieno quello che avviene prima.

Iniziamo con l’esercizio di editing:

“Nelle corti occidentali, lontano da dove era cresciuta, i giullari erano gli uomini che divertivano i re e i lord con i loro giochi, le loro storie, le loro arguzie.”

Non abbiamo il nome del punto di vista e questo non è ideale, di chi si parla? Sappiamo solamente che è una persona di sesso femminile. Veniamo informati che i giullari divertivano i re e i lord, un’informazione poco utile dato che è quello il mestiere del giullare. Scrivereste che un meccanico è un uomo che aggiusta le auto delle persone in un incipit? No, è scontato. Ci viene dato l’indizio che il personaggio è lontano da dove era cresciuta. Un inizio un po’ scadente.

“Kalysta non aveva idea di chi avesse affibbiato al vecchio il soprannome di Giullare. Sapeva solo di non aver mai trovato nulla di divertente nelle sue azioni. Semmai le facevano paura.”

Ora sappiamo che il PdV è Kalysta, perché non metterlo nel paragrafo precedente? “lontano da dove era cresciuta Kalysta”, avremmo subito capito chi è il PdV. Se l’intenzione era rendere il “lontano da dove era cresciuta” un pensiero del PdV si sarebbe potuto inserirlo una volta introdotto il PdV, magari invertendo i due paragrafi.

Perché Kalysta ha il pensiero riguardo il soprannome di Giullare in questo momento? Da quel che si evince da queste righe, Kalysta ha familiarità con il vecchio, quindi qual è il motivo che la spinge a questa riflessione sul soprannome? Troviamo difficile l’immersione reale sui pensieri del personaggio se il pensiero non ha ragione di esistere (rileggete “Immersione” per altri dubbi).

Kalysta prova paura per le azioni di Giullare. Anche qui non si capisce perché ha questo pensiero in questo momento, non stiamo capendo ancora cosa sta succedendo. “il dopo non è prima” chiaro no? Proseguiamo.

“Intinse la spina di cactus nell’inchiostro e continuò nell’impresa di tracciare una linea dritta all’incerta luce lunare. Sarebbe stata luna nuova, l’indomani.”

Ecco un po’ di mostrato. Siamo nel personaggio, sta intingendo una spina di cactus per tracciare una linea ma ci vede poco. È un mostrato minimale, ci viene detto che la luce lunare è incerta senza che ci venga mostrato realmente cosa si intende per incerta luce lunare, ma almeno evoca qualcosa.

L’informazione che sarebbe stata luna nuova il giorno successivo ci sottolinea l’incertezza della luce, ma non sappiamo dove si trova la ragazza (o donna): è all’aperto nel buio più totale, o magari in una stanza all’ultimo piano di una casa con la finestra rivolta verso la luna. Sta al lettore immaginarsi la scena, anche qui si può mostrare qualcosa di più.

“Smettila di tremare, disse alla propria coscia mentre affondava l’aculeo nella carne. Il bruciore dell’inchiostro dilagava come veleno sotto la pelle, ma non ne avrebbe avuto ancora per molto: l’ideogramma era quasi completo. Non un gemito sfuggì dalle sue labbra.”

“Smettila di tremare” è effettivamente scritto in corsivo, quindi sappiamo che si tratta di un pensiero collegato alla linea tracciata con la spina di cactus, pensiero corretto.

Quel “disse” alla propria coscia invece è un po’ buttato lì, si poteva mettere un beat (piccola azione) per far capire che ce l’aveva con la propria coscia. Con quel “disse” sembra quasi un dialogo indiretto che è preferibile evitare perché raccontato. Magari poteva provare con la mano libera ad immobilizzare la gamba, ci si poteva inventare qualsiasi cosa, in questo modo è un po’ misero.

Anche quel “mentre” evoca poco, mette in relazione due eventi diversi tra loro, è un riassunto dello scrittore e non un pensiero evocativo del PdV. E la correzione non va fatta con un gerundio, avrebbe lo stesso effetto (disse alla propria coscia affondando l’aculeo nella carne). Sono eventi che avvengono uno di seguito all’altro, è sufficiente dividere la frase in 2 periodi con eventi distinti.

Successivamente troviamodi nuovo del mostrato, con l’immagine dell’aculeo che incide la carne che scatena bruciore. Kalysta ha il pensiero che quel dolore sta per finire, pensiero giusto anche se reso un po’ troppo scarno. Abbiamo un ideogramma, di cui noi lettori al momento non sappiamo nulla, ed è quasi completo. Quanto è quasi completo? Cosa manca? Cosa ha disegnato fino ad ora? È un pensiero coerente quello di immaginare quante linee mancano prima che venga completato ma a noi non è dato sapere.

Kalysta è una ragazza (o donna) forte e nonostante il dolore riesce a non farsi sfuggire un gemito. Perché? Supponiamo sia da sola, non riceviamo informazioni diverse, quindi qual è il motivo per cui si sente in dovere di non imprecare o urlare?

Abbiamo ora una riga vuota che ci dice che la scena è terminata. Scelta ovviamente corretta, eppure restiamo un po’ con l’amaro in bocca per quanto abbiamo appena letto. Ci sono state date informazioni superficiali e ricordate, il dopo non è mai prima.

“Trovò il Giullare intento ad arrostire uno scoiattolo sul fuoco. Lo stecco sul quale girava la bestiolina scuoiata sembrava un’estensione degli stecchi che aveva per arti: era un uomo alto, sottile allo stremo, dinoccolato in ogni sua movenza. Gli occhi gialli suggerivano un passato da bevitore incallito, ma Kalysta non l’aveva visto toccare un sorso d’alcol da quando era con lui, il che, più o meno, significava da quando era nata.”

Kalysta ora è dal Giullare nominato in precedenza e ce ne viene data una descrizione molto statica, ad eccezione degli arti, resi in maniera dinamica. Il resto invece è una bella fotografia scattata per noi lettori in modo da farci un’idea su chi sia il Giullare: uomo alto, molto magro e dinoccolato con occhi gialli. Perché Kalysta dovrebbe avere il pensiero di descriversi mentalmente un uomo che conosce già?

Come detto la descrizione degli arti è resa in maniera comprensibile, sembra quasi che stia arrostendo lo scoiattolo sulle sue stesse braccia, è evocativo. Il resto è un raccontato che sarebbe preferibile mostrare diversamente. Ci si può sbizzarrire in ogni modo, un dialogo con un personaggio esterno che sottolinea qualche piccola caratteristica, il vento che muove i vestiti. Gli occhi gialli possono essere giusti se sono una caratteristica particolare, va bene che Kalysta si senta a disagio a vedere occhi di quel colore, come lo sarebbe per noi vedere un uomo o una donna con occhi di quel colore, anche fosse un genitore.

Alla fine del paragrafo scopriamo che Kalysta conosce il Giullare da sempre. E qui torniamo all’inizio del prologo dove Kalysta si chiedeva chi e perché avesse dato quel soprannome al vecchio: possibile che se aveva questa curiosità non è mai riuscita a trovare tempo e modo per avere una risposta chiedendoglielo?

“Lui si scostò una ciocca di capelli color ferro dal volto angoloso e volse lo sguardo sulla ragazzina.”

Altra descrizione piatta. Nuova fotografia che ci dice che ha capelli grigi e un volto spigoloso. Scopriamo ora che Kalysta pensa a se stessa come “ragazzina”, oppure è cambiato PdV e questo epiteto viene dalla mente del Giullare. O da quella dello scrittore per farci sapere che Kalysta è giovane. Nessuno penserebbe a se stesso come “il ragazzo/la ragazza che sta leggendo questo articolo”.

L’autore Edoardo Stoppacciaro
Esercizio di editing

“«Tu hai finito, sì?», domandò. Kalysta annuì. «Allora tu fai vedere a me».”

Abbiamo un capoverso battuta e scopriamo che il Giullare parla in modo strano, sgrammaticato. Questo va bene, da carattere al personaggio.

Il “domandò” è un dialogue tag poco accattivante. C’è un punto di domanda nella battuta, quindi che senso ha dire che sta facendo una domanda? Lo sappiamo dal contesto. Se vogliamo far capire che sia stato lui a dire quella battuta sarebbe preferibile inserire un beat, che tra l’altro troviamo nel verso precedente “Lui si scostò una ciocca di capelli color ferro dal volto angoloso e volse lo sguardo sulla ragazzina.”.

Era sufficiente lasciare questo beat (troppo lungo) e metterlo subito dopo la prima battuta di dialogo.

Ad es.: “«Tu hai finito, sì?». Il Giullare incrociò lo sguardo di Kalysta, lei annuì. «Allora tu fai vedere a me». Si può migliorare ma abbiamo un mostrato, seppur minimale, di quello che realmente avviene.

“La piccola sollevò la veste scoprendo la gamba. Il freddo di quelle dannate latitudini settentrionali la frustò senza ritegno.”

La piccola…siamo nel PdV di Kalysta, perché lei dovrebbe pensare a se stessa come “la piccola”? Sembra una scena di un film raccontata da un narratore esterno piuttosto che la scena vissuta da Kalysta. Abbiamo poi un pensiero del PdV, un pensiero valido che va a contrasto con il raccontato subito precedente.

“«Sconfitta», lesse il Giullare. «Brava. Molto brava. Un disegno buono. Giusto». Le gambette sottili ne erano ricoperte, come anche il busto e le braccia.”

Un nuovo dialogue tag, lesse. Questo è già più evocativo, rende qualcosa di visivo, ci sta. Non ci soffermiamo sul contenuto del dialogo che è ok.

Abbiamo una descrizione delle “gambette” di Kalysta, siamo di nuovo fuori dal suo PdV e veniamo a sapere che di questi disegni ce ne sono anche su busto e braccia che, da quel che possiamo capire leggendo, non sono scoperti e quindi al momento non visibili. Il lettore quindi viene messo a conoscenza che Kalysta ha ideogrammi su tutto il corpo. Anche qui sarebbe ideale fare una scelta diversa.

“«Farai molte cose, finché sarai con me», le aveva detto il Giullare quando lei era appena una bimba. «Cose ben fatte e cose fatte male. Cose da ricordare, comunque, perché di ognuna di esse, io farò una lezione per te. Quando i tuoi giorni arrivano alla fine, a molti anni da qui, saranno quelle lezioni a raccontare la storia della tua vita. Sfuggono ai tuoi ricordi, le lezioni del vecchio Giullare, ma alla tua pelle no. Non alla tua pelle».”

Un dialogo avvenuto tempo prima della narrazione e che non viene diviso da una riga vuota o da asterischi. Continuiamo a venir bombardati da informazioni che aiutano a contestualizzare il tutto ma che non viviamo con Kalysta.

Il consueto dialogue tag “detto” (ormai l’avevate notato giusto?) e anche il “quando” che relaziona il dialogo con un tempo passato, stesso discorso del “mentre” notato in precedenza. Nel dialogo il Giullare (che ricorda un ben noto dialogo tra un giovane Harry in cerca della sua bacchetta e Olivander) informava una Kalysta “bimba” che finché fosse stata con lui avrebbe fatto cose grandi buone o terribili, certo. Ma grandi.

“Le aveva insegnato a scrivere principalmente per quel motivo: tatuarsi addosso delle lezioni, dei mementi. L’ultimo, un’ellissi ondulata con tre linee dritte che la attraversavano, significava Sconfitta nella lingua di Nahylias, e Kalysta ce l’aveva addosso perché, quando il Giullare le aveva comandato di riferirgli le parole dei due fiumi, la ragazzina aveva fallito. Li aveva ascoltati, ma i fiumi non le avevano detto niente.”

Abbiamo un riassunto che ci porta a capire qualcosa in più sugli ideogrammi sul corpo di Kalysta e ora sappiamo a cosa era legato quello che si stava incidendo ad inizio libro.

Abbiamo anche l’immagine del nuovo tatuaggio che purtroppo arriva tardivamente, ma ci toglie un po’ di curiosità (il dopo non è prima). È un capoverso di racconto, oltre all’ellissi ondulata non abbiamo traccia di mostrato.

Lo scrittore non ha trovato (o non ha cercato) un espediente narrativo che ci mostrasse il significato di un ideogramma inciso sul corpo, i motivi per cui una persona dovesse incidersene addosso e la prova a cui era stata sottoposta Kalysta.

“Il Giullare tolse lo scoiattolo dal fuoco e diede un morso alle misere carni gocciolanti. La ragazzina non seppe reprimere un ruggito del proprio stomaco.”

Un po’ di mostrato minimale, il Giullare mangia lo scoiattolo e “la ragazzina” ha fame ma, di nuovo, stoica cerca di non lo lasciarlo intravedere. Ora ha più senso il mostrare lo stoicismo della “ragazzina” che non vuole far scoprire una sua debolezza ma purtroppo non ci riesce.

Esercizio di editing | Mondo in fiamme – Una primavera di cenere

Piccola parentesi sull’utilizzo di pronomi | Esercizio di editing

A differenza della narrazione in prima persona, dove il soggetto è sottointeso, nella terza persona abbiamo necessariamente bisogno di specificare anche il personaggio PdV.

In questo caso, vengono utilizzati i termini “la ragazzina”, “la piccola” per non ripetere innumerevoli volte il nome di Kalysta. Come abbiamo visto, l’uscire dal PdV impedisce la catarsi e sarebbe ideale evitarlo.

Uno scrittore deve trovare gli espedienti narrativi che lo aiutino il più possibile a non dover ricorrere ai “lui, lei” o al nome del personaggio per rendere la narrazione più scorrevole. Fine piccola parentesi, torniamo al brano.

“«Va’, adesso», le disse il Giullare. «Siediti alla foce dei fiumi così come ti ho indicato. La notte è ancora lunga e tu sei pronta: prima dell’alba, avrai un nuovo tatuaggio da imprimere attorno a quello della sconfitta». La ragazza annuì.

Nuovo dialogo del Giullare che “disse” alla “ragazzina” di ripetere la prova. Niente da aggiungere a quanto già detto in precedenza.

“«Maestro», disse con un filo di voce. «Io… io avrei… posso… sono davvero…»”

Abbiamo prima il beat “la ragazzina annuì” e poi un “disse”. Per quanto l’”annuì” è lontano dall’essere un beat azzeccato, è sicuramente più utile utilizzarlo nel mezzo delle battute per indicare chi è che parla invece del dialogue tag.

Per la prima volta, leggiamo una battuta di Kalysta e cosa troviamo? Una ragazzina impaurita (lo si capisce dai puntini di sospensione, esagerati tra l’altro) e affamata che chiede “con un filo di voce” di mangiare. Stona enormemente con lo stoicismo dei “Non un gemito sfuggì dalle sue labbra.” e col tentativo fallito di “reprimere un ruggito del proprio stomaco”.

“Il Giullare si muoveva sempre con lentezza. O almeno, quella era la sensazione che dava quando srotolava i suoi arti lunghi e sottili come le spire di un serpente. Quando afferrò Kalysta per i capelli rosso fuoco e la sollevò di mezzo metro, la ragazzina non l’aveva nemmeno visto avvicinarsi.

Abbiamo un raccontato in cui ci viene spiegato che di solito il Giullare si muove con lentezza, o almeno quella era la sensazione che dava quando…

Possiamo togliere questa spiegazione, la possiamo trasformare in un pensiero di Kalysta successivamente al “Quando afferrò Kalysta per i capelli rosso fuoco e la sollevò di mezzo metro, la ragazzina non l’aveva nemmeno visto avvicinarsi”

Il “quando” ci ricorda che non siamo Kalysta ma che lo scrittore ci racconta i fatti, abbiamo visto che non è la miglior scelta. E ora sappiamo che Kalysta ha “i capelli rosso fuoco”. Si rende conto solo ora di avere i capelli rosso fuoco? Il capoverso andrebbe rivisto totalmente. Senza la spiegazione iniziale abbiamo subito il Giullare che in una frazione di secondo si avvicina a Kalysta e la solleva. Togliamo anche il “la ragazzina non l’aveva nemmeno visto avvicinarsi” e ci mettiamo un pensiero in corsivo “come ha fatto ad arrivare così in fretta?”. O trovare un’alternativa migliore, si intende.

“«Affamata?», sibilò il vecchio. «È affamata la parola che tu cerchi? Dici questa cosa, a me? Dici che il tuo spirito è così misero debole pigro fiacco che un bisogno del corpo lo può piegare?» La ragazzina serrò gli occhi e le labbra: se qualcosa di simile a un lamento le fosse sfuggito, allora sarebbe stata davvero nei guai.”

Sibilò, dialogue tag che sarebbe meglio sostituire con un beat. ad esempio “il vecchio digrignò i denti”, ma non è troppo male, si può lasciare. Il pensiero successivo di Kalysta è corretto ma troppo raccontato. Meglio un pensiero “nessun lamento o sarebbe stata davvero nei guai”.

“«Adesso io schiaccio la tua testa contro i carboni ardenti», disse il Giullare. «Allora tu muori. La tua carne, il tuo corpo, si disfa come sterco. E che cosa rimane, allora? Che cosa? Rispondi!» «Spirito», si cavò di bocca lei. «Il mio spirito».”

Abbiamo due dialogue tag, prima “disse” e poi “si cavò di bocca”. Mentre il “disse” può anche andare, se non si trova un beat adeguato, il “si cavò di bocca” non può mai essere un pensiero lecito del PdV. Cosa dobbiamo immaginare con il “si cavò di bocca”? Che lo dice tossendo? Che risponde in maniera rassegnata? Non abbiamo queste informazioni quindi il nostro cervello trova la cosa più adatta che riesce a trovare al momento e va avanti.

È stato usato prima “disse con un filo di voce” e quindi occorre trovare un beat adatto che non implichi il volume della voce, ad esempio: “«Spirito», Kalysta cercò di divincolarsi. «Il mio spirito».”. Non è particolarmente evocativo, ma trattandosi di un beat che spezza due parti di un dialogo occorre che non sia troppo lungo o ci perdiamo il filo del discorso. Se Kalysta è rassegnata possiamo mostrarlo dopo il dialogo, magari cerca prima di divincolarsi e poi si arrende alla forza superiore del Giullare portando le braccia lungo il corpo. Mostriamo la sua rassegnazione senza il “disse rassegnata Kalysta”.

“Il Giullare allentò la presa e la ragazzina cadde a terra. Nella gelida notte del Continente, Kalysta si tirò velocemente in piedi. Il vecchio la osservò e, dopo un breve silenzio, le sorrise come il padre più affettuoso. «Va’ alla foce», ripeté. «Poi torna e riferisci a me il canto dei fiumi. Quando sarà saggio, mangerai. Non ora. Non stanotte. Forse mai più. Non ne hai bisogno».”

Ennesimo utilizzo di “la ragazzina”. Ci sono quasi più “la ragazzina” dell’utilizzo del nome Kalysta, in generale è preferibile il nome piuttosto che un pronome, o per lo meno è preferibile lui/lei che un pronome incoerente col PdV.

“nella gelida notte del Continente” è un tentativo di mostrato non particolarmente efficace. Fa freddo, c’è già stato detto. Che senso ha metterlo qui? Diamo un senso a questo freddo, Kalysta cerca di chiudersi il soprabito per il freddo e i brividi di paura, qualunque cosa evochi la sensazione di freddo, dobbiamo avere freddo insieme a Kalysta e vivere il suo tentativo di scaldarsi in qualche modo.

Il “dopo” ha lo stesso valore di “mentre” e “quando”, mette in relazione due eventi, uno che viene dopo l’altro. È chiaro dal contesto che prima la osserva e poi le sorride, non serve indicarlo. Poi “le sorrise come il padre più affettuoso”, di che sorriso si tratta? Le metafore vanno bene se sono evocative, questo è più il commento dell’autore. Ritorniamo al discorso che il nostro cervello cerca di dare un senso concreto a quello che legge. “show, don’t tell” mostrare, non raccontare.

Conclusioni | Esercizio di editing Mondo in fiamme – Una primavera di cenere

Ci sono molte cose che non vanno in questo inizio come abbiamo visto, eppure parliamo di un libro che ha ricevuto molte recensioni positive.

Non mi sembra molto peggio di quello che ho letto di recente, siamo così abituati a leggere libri con una narrazione così superficiale che ormai non ci facciamo più caso.

Il libro è sicuramente valido, da questo primo incipit si percepisce una buona ambientazione, una discreta caratterizzazione dei personaggi – una Kalysta prima stoica e poi impaurita stona un po’, ma magari con l’andare avanti della storia si capirà meglio quale delle due prevalga sull’altra – e in generale mette curiosità.

Quello che ho cercato di mostrare con questo esercizio di editing è come un buon libro potrebbe diventare un ottimo libro con qualche piccola accortezza. Sono del parere che molti potenziali capolavori vengano frenati da una narrazione superficiale. Un’opera può avere delle ottime idee, fantastici personaggi e un arco narrativo notevole ma viene limitata dai riassunti sfortunatamente tipici dei romanzi pubblicati.

Sono curioso di sapere cosa ne pensate della mia analisi, attendo quindi i vostri commenti, magari proponendo altre opere su cui fare un nuovo esercizio di editing.

Luca
Consulente in telecomunicazioni, lavoro particolarmente noioso ma necessario.

Amo leggere, epic fantasy specialmente, e da quando ho frequentato un corso di scrittura creativa ho iniziato ad appassionarmi al mondo che c'è dietro un libro pubblicato: le idee, lo stile narrativo, l'editing e chissà dove mi porterà in futuro questo interesse.

Intanto spero di farvi apprezzare un occhio più approfondito sulla narrazione in sé. Adoro il confronto di idee, pertanto ogni discussione sulle mie recensioni è molto ben accetta.