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Recensione: Il battesimo di Anne Perry

Spesso approdiamo a un libro per un puro caso fortuito. Lo incrociamo sullo scaffale di una libreria, veniamo attratti dalla sua copertina o dalla quarta che ne riassume i dettagli e lo portiamo a casa con noi, aspettandoci tanto o forse, spesso, non abbastanza.

Sono sempre stata convinta, però, che certi libri ci raggiungano in modo del tutto non casuale, e che lo facciano sempre al momento giusto.
Così è stato per me, ad esempio, l’incontro con Il battesimo di Anne Perry: un incontro affatto casuale, una precisa volontà recondita ma allora sconosciuta di toccare con mano un’atmosfera che, senza saperlo, cercavo io stessa forsennatamente di riprodurre.

Se seguite il blog con continuità lo saprete già, ma per gli altri, è doveroso spiegare che al momento, mi trovo alle prese con l’esaltante e sfibrante intento di scrivere un romanzo vittoriano. È iniziato tutto per caso, questo sì, ma a poco a poco ha assunto consistenza ed è diventato qualcosa di così importante da riempire la quasi totalità dei miei pensieri.
Proprio in queste condizioni ho dunque incrociato il mio cammino con quello di Anne Perry. Ad attirarmi verso di lei è stato un dettaglio riportato dall’autrice nella scena del suo crimine, un oggetto che, per pura casualità, si trovava anche nel romanzo che stavo cercando di scrivere.
È stato un semplice gemello da camicia a portarmi all’interno delle atmosfere de Il battesimo, ed è quasi sorprendente quanto un dettaglio così piccolo si sia rivelato poi un così prezioso alleato.

Posso infatti dire, con estremo candore, che prima di leggere Il battesimo non avevo alcuna vaga idea di come scrivere il mio giallo ambientato nella Londra vittoriana. Dalla mia avevo diverse letture precedenti, certo, romanzi, documentari e ricerche forsennate, eppure mi mancava ancora qualcosa, un tassello essenziale che sono riuscita a identificare solo una volta arrivata alla fine.

Mi mancava l’atmosfera.

Scrivere un giallo in un’epoca diversa dalla nostra è tutt’altro che facile. Se già il genere in sé presenta notevoli punti delicati, nei quali figurano senz’altro l’importanza di una minuziosa ricerca e l’abilità nel creare tasselli che si incastrino perfettamente l’uno con l’altro solo sul finale, ambientarlo in un periodo in cui non si è vissuto è un’impresa quasi titanica.
Per quante letture si sono fatte, per quante ricerche e documentazioni si è collezionate, ci vorrà sempre un grande salto di fantasia e una sensibilità unica per riuscire a dipingere uno spaccato di un’epoca che non abbiamo toccato con mano, a maggior ragione se questa è affascinante e misteriosa come quella vittoriana.

Da parte mia, l’inesperienza c’è tutta, ma non mi ero resa conto di quanto poco avessi colto di quella sensibilità finché non ho letto Il battesimo.
L’immagine che Anne Perry restituisce della Londra dell’800 è infatti superlativa, e poterla assaporare pagina dopo pagina si è rivelata un’esperienza che pagherei per ripetere anche subito (cosa che farò, ma ne parleremo meglio dopo.)
Davanti ai miei occhi, mentre scorrevo pagine su pagine di indizi spesso confusi e investigazioni forsennate, si è pian piano distesa una città così viva da apparire reale, così pulsante da poterla quasi sentire respirare.
E badate bene, non dico che l’immagine creata dall’autrice sia in tutto e per tutto fedele all’originale, cosa che da parte mia ritengo se non impossibile almeno estremamente ardua; quanto piuttosto che si sia rivelata realistica al punto giusto, capace di trasmettere l’impressione di poter essere esistita proprio per come è stata narrata.

Uno dei meriti senza dubbio più evidente della Perry è proprio quello di aver colto quelle piccole sfumature che fanno di un’epoca storica un periodo tanto noto e amato. Si tratta spesso di piccoli movimenti, di inflessioni della voce, di sguardi e di dettagli così infinitesimi da non essere rilevati singolarmente, ma che nonostante tutto, presi insieme, restituiscono un’immagine convincente e soddisfacente.

Ma ovviamente, se l’unico suo prestigio fosse stato quello di aver ricostruito bene l’epoca vittoriana, oggi la Perry sarebbe nota per essere una brava storica, e non una scrittrice di gialli quale invece la conosciamo.
E qui arriva il secondo debito che sento di aver maturato nei suoi confronti dopo questa lettura.
Se c’è infatti una cosa che mi ha insegnato questa giallista, è come si costruisce un caso interessante. Come si gioca con passato e presente, si intrecciano i fatti e si diradano e infittiscono le nebbie del tempo per intrecciare intorno ai propri personaggi una struttura che non solo regga, ma che sia anche in grado di stupire.

E a stupire riesce molto bene, perché per quanto il lettore provi a star dietro alle numerose prove messe in luce, non arriva a comprendere l’intero quadro finché l’ultimo tassello non si trova al suo posto, e il ritratto acquisisce infine il suo reale aspetto.

Tutto questo, va da sé, non sarebbe ovviamente stato possibile senza curare tanto quanto ha fatto la Perry, coloro che sono i motori di tutta l’azione: i personaggi, l’unica cosa che, ahimè, non potrò davvero prendere troppo come ispirazione. Difficile infatti costruire un investigatore che abbia i tratti particolari del sovrintendente Pitt senza inevitabilmente ricondurre a lui, o i dolci dettagli della moglie Charlotte senza che qualcuno ne colga invariabilmente la somiglianza. Stessa cosa vale per il o i criminali del caso, che per ovvie ragioni non posso descrivervi in questa sede.
Eppure ci sono alcune sfumature delle quali posso fare tesoro, piccoli guizzi di stile e costruzione che sento contribuiranno alla mia crescita narrativa, ed è anche per questi che sarò sempre infinitamente grata ad Anne Perry.

Inutile dire che ho appena cominciato una conoscenza che desidero approfondire sempre più con il passare del tempo.
Non dubito che mi risentirete parlare nuovamente dei suoi lavori molto presto, ma nel frattempo non posso che consigliarvi caldamente di lasciarvi ispirare da uno dei titoli di questa prolifica autrice, rendendo il vostro incontro tutt’altro che casuale ma per questo ancor più gustoso.

Trama:
Nella cupa Londra vittoriana gli orrori non finiscono mai: si è appena dissolta l’ombra di Jack lo Squartatore e già si apre una nuova indagine su un caso che si prospetta altrettanto difficile e scabroso. Tutto inizia quando viene ritrovato il cadavere di una donna, strangolata con una calza dopo essere stata legata al letto. Seguendo le orme del misterioso assassino, l’ispettore Pitt si troverà a scrutare le due anime della città, nei quartieri più miserabili come nei circoli più esclusivi. Perché il delitto non conosce distinzioni di classe.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.