Ho sempre pensato che la distanza tra amare l’essenza di una storia e lo scriverne una propria fosse abissale, sancita da conoscenze specifiche e da una vena creativa che ero convinta non mi appartenesse.
Ho sempre scribacchiato, e le mie agende e i miei quaderni portano indosso gli esili frammenti di storie mai concluse, impressioni su carta destinate a svanire nel corso degli anni in un turbine indistinto e del tutto trascurabile di parole alla rinfusa. Questo blog è stato l’unico elemento costante della mia vena scrittoria, eppure non sono mai riuscita a considerlo vera e propria scrittura, forse perché quello che facevo e faccio tutt’ora qui è raccontare storie d’altri, aggiungendovi solo una piccola scheggia della mia.
Non avevo mai scritto davvero, né mi ritenevo in grado di farlo, finché a un certo punto, circa un anno fa, qualcosa in me si è spezzato; gli argini hanno ceduto e un fiume di parole rimaste in attesa per ventiquattro anni è sgorgato dalla mia mente fino ai tasti di un computer, diventando a tutti gli effetti una storia. Non ero pronta a quello che sarebbe successo, né mi aspettavo che a distanza di un anno avrei riguardato quelle parole e avrei pensato: ho davvero raccontato una storia.
Ma cosa ancor più importante, mai mi sarei aspettata che quello sarebbe stato tutt’altro che un evento sporadico, e che una volta rotta la diga nulla mi avrebbe più trattenuta dal voler scrivere ancora, e ancora, e ancora, fino a far diventare la scrittura una necessità, un appuntamento quotidiano con quella parte di me che ha un bisogno spasmodico di raccontarsi attraverso le parole, e di trasmettere ad altri le proprie emozioni.
È passato più di un anno da quando ho iniziato a scrivere e sono ancora qui, a raccontare quotidianamente di avventure fantastiche e turbamenti interiori, e solo ora mi fermo a pensare a quanto mi fossi sbagliata allora. Non servono conoscenze specifiche per raccontare una storia, né una fantasia e una creativa illimitate e superbe. Ciò che basta, è aver bisogno di parlare, di dire qualcosa, e possedere gli strumenti base per poterla rendere reale. Lo studio, la pratica, la creatività intervengono su un altro piano: sono ciò che renderà quella storia un libro, un’entità definita che deve rispettare certi paramentri per potersi inserire in un mondo già nitido e determinato. Se si vuole compiere il salto occorrono davvero studio, impegno e e tanta, tanta dedizione.
Ma raccontare una storia è tutta un’altra cosa. È un bisogno insito nell’uomo, qualcosa di primitivo e istinitivo; è la necessità di avvicinarsi ad altri raccontando se stessi, il desiderio di condividere qualcosa di più intenso e profondo della semplice esperienza quotidiana. Non esiste persona sulla terra, a mio avviso, che sia incapace di raccontare una storia quando ne sente il bisogno.
Perché vi racconto tutto questo, vi starete forse chiedendo ora.
Be’, perché dopo aver realizzato quanto la scrittura sia diventata parte di me, quanto io aneli tornare a quella inebriante sensazione che riesco a provare solo se mi immergo in una storia, ho anche capito che non posso e non devo tenere tutto questo separata dal resto del mio mondo, e che posso solo lasciare che si fonda naturalmente con ciò che sono. Per questo motivo, d’ora in poi Chiacchiere Letterarie ospiterà anche una rubrica sulla scrittura, uno spazio del tutto personale nel quale vi racconterò questa nuova parte di me, condividerò con voi le mie gioie e i miei tormenti da apprendista scrittrice, e vi terrò compagnia con le mie disavventure.
Spero che questo nuovo viaggio possa piacervi, e che vogliate condividere con me questa avventura.
E chiudo con una citazione di Ernest Hemingway, che penso dica già perfettamente tutto ciò che resta da dire.
Ma accorgersi che si era capaci di inventare qualcosa; di creare con abbastanza verità da esser contenti di leggere ciò che si era creato; e di farlo ogni giorno che si lavorava, era qualcosa che procurava una gioia maggiore di quante ne avessi mai conosciute. Oltre a questo, nulla importava.
(Ernest Hemingway)