Fantasy e Fantascienza, Recensioni

Investigare l’umanità dallo spazio – Recensione “Spin” di Robert Charles Wilson

Sono tanti gli autori che hanno scelto di alzare lo sguardo alla volta celeste, e di lasciarsi incantare dallo spazio immenso sopra di loro, al punto da riuscire a trarne ispirazione per quelli che sono poi diventati capolavori di ingegno e fantasia, destinati a trasmettere ad altri quello stesso incanto.
Da che esiste, l’uomo si è sempre interrogato sul significato e sull’origine degli irridescenti bagliori che punteggiano il velo scuro che fa da coperta al mondo, ma è da quando la scienza ha permesso di dar loro un nome, una sostanza e un senso, che l’umanità iniziato a immaginare di poterli effettivamente raggiungere.
La narrativa fantascientifica è nata come un sogno, ma con lo sviluppo della tecnologia è diventata via via uno strumento sempre più potente per porsi domande e darsi risposte più o meno plausibili; attraverso i sogni immaginifici di numerosi scrittori, l’uomo ha avuto modo di immaginare come sarebbe stata la vita su Marte e suoi pianeti del sistema solare, quale il modo per viaggiare di galassia in galassia con le astronavi o con le Porte tra le Stelle, e come si sarebbe evoluta la civiltà umana quando infine fosse riuscita a fuggire la gravità e disperdersi per l’universo per gettare nuove radici, anni luce lontano dall’origine.

Eppure, tutte le indagini fantascientifiche che abbiamo visto e conosciuto, dalle più brillanti e originali alle meno riuscite, hanno sempre avuto un punto fisso, un elemento portante che le sorreggeva: l’uomo stesso.
Che fosse un viaggiatore dello spazio o un semplice lavoratore in una cintura di asteroidi del Sistema Solare, l’uomo è sempre stato il cardine dell’investigazione letteraria, anche quando le stelle e le galassie esterne diventavano note e raggiungibili. Dell’uomo, più che delle stelle, ci è sempre interessato leggere di più.

Quali fenomali scoperte avrebbe fatto il viaggiatore della galassia lontana lontana?
Come avrebbe risolto, l’umanità, il problema dei viaggi spaziali?
Quali stratagemmi avrebbero inventato gli scienziati, per permettere alla specie umana di gemmare finalmente nello spazio ed espandersi?

È l’uomo a guidare il genere, e non appare così strano a ben pensarci che la nostra individualità domini la scena ben più di quanto possano fare i pianeti distanti anni luce e sconosciuti. Il nostro sogno, d’altronde, è sempre stato quello di essere i viaggiatori dello spazio, non di osservare qualcun altro che viaggiava al posto nostro.

Non appare strano dunque, né insuale, che uno dei romanzi vincitori del Premio Hugo per la fantascienza abbia scelto di puntare lo sguardo non tanto sulle stelle e sui pianeti, quanto proprio sull’umanità che li osserva dalla Terra. Eppure, Spin di Robert Charles Wilson ha un merito che, nella mia modesta esperienza del genere, sento di poter riconoscere come unico e prezioso: quello di essere riuscito a rappresentare in modo verosimile e nel dettaglio la complessità del genere umano.

 

L’intento di mettere l’uomo al centro di tutto il romanzo appare chiaro fin dalle prime battute di apertura di Spin, in cui è la voce narrante di Tyler Dupree – un medico, non uno scienziato o un viaggiatore dello spazio, ma un semplice medico terrestre – a introdurci nella vicenda, e lo fa, se è possibile, nel modo più umano che si possa contemplare: raccontandoci di un apparente normale giornata di un apparente normale Terra.
Eppure, nulla di ciò che Tayler Dupree ha raccontarci è veramente normale, e benché la sua voce sia umana e rassicurante, e introduca la verità attraverso un ricordo dolce e familiare, i primi dettagli che ci rivela sono carichi di misterioso sgomento e incomprensibile fascino.

Dalle parole del Dottor Dupee apprendiamo infatti che Terra come la conosciamo, come siamo abituati a concepirla e amarla, non esiste più. Non è cambiata nei suoi strati più interni, badate bene, non sono state alterate le sue caratteristiche base (nucleo e manto, continenti e oceani, tutto è rimasto al suo posto), ma è cambiato il modo in cui l’umanità percepisce il suo appartenere allo spazio, e dunque il cuore stesso della Terra: i terrestri.
Dalla Terra non sono più visibili le stelle. Al loro posto, è sorta una barriera di origine e funzione sconosciuta che lascia passare selettivamente la materia, e trattiene fuori l’energia. Il sole esiste ancora e mantiene il suo ciclo regolare, benché in forma di riproduzione elettromagnetica atta a mantenere costante la vita, ma per il resto tutto il noto al di là dell’atmosfera è svanito. Questo cambiamento all’apparenza lontano e secondario muta radicalmente ciò che l’uomo ritiene importante.

Chi ha creato quello che in breve viene identificato come lo Spin, un guscio di materia ed energia sconosciute del quale si comprende poco o nulla?
E soprattutto, perché la Terra è stata separata dal resto dell’Universo così all’improvviso, senza spiegazione né preavviso?

Il sentimento naturale, spontaneo nell’uomo fin dalla sua creazione, è il bisogno di sapere, di cercare delle risposte a ciò che non può comprendere.
Ma è nel come si cercano queste risposte, che Richard Wilson sembra voler mettere l’accento.
E come vi dicevo, benché qui si parli di misteriose razze aliene nominate per comodità Ipotetici, di affascinanti progetti a lungo termine di Terraformazione e di veri e propri viaggi interstellari (benché in forme assai differenti dal noto e già visto), è l’umanità in sé il vero punto focale di tutto il romanzo.

Come reagirebbe l’umanità se sapesse di essere destinata a una morte precoce, inappellabile e sempre più vicina?
Quale metodo di indagine adotterebbe, per trovare le risposte che ha sempre cercato, ma che ora si sono fatte ancora più pressanti?

Per Wilson, il mondo si spaccherebbe sostanzialmente in tre parti:

-Chi cercherebbe risposte nella scienza, votandosi alla tecnologia e ai suoi risultati.
-Chi si lascerebbe cullare dalle risposte date dalla fede, pascolando nei suoi dettami e accettandone le soluzioni spesso folli.
-E chi abbandonerebbe direttamente la ricerca di risposte, accontendandosi di vivere gli ultimi anni rimasti con ciò che già possiede e conosce. O che almeno ci proverebbe.

Dalla comparsa dello Spin in poi, la Terra diventa sostanzialmente questo: un bacino di tre mentalità diverse che coesistono e cozzano invaribilmente l’una con l’altra, alterando i già fragili equilibri preesistenti sotto la spinta catalitica della fine del mondo.
La convivenza di queste tre mentalità è il centro del racconto dell’autore, ed è il modo in cui l’umanità si adatta a ogni cambiamento, a ogni più piccola rivelazione, che scandisce il ritmo e l’avanzare della narrazione di Spin.

Con una penna tanto umana quanto ciò che vuole raccontare, Wilson scava nell’animo dell’umanità stessa, ne indaga i timori, i fallimenti, le conquiste, innalzando quella che poteva essere una brillante avventura scientifica (o fantascientifica), a fine indagine e rappresentazione dell’uomo, in ogni suo risvolto.
Chi sono realmente gli Ipotetici, da dove vengono, perché hanno estromesso la Terra dal ciclo naturale dell’universo, sono tutte domande alle quali Wilson risponde in modo affascinante e stimolante, eppure riescono a passare in secondo piano. Lo spazio a loro dedicato esiste, e lo si attende con bramosia fino al termine della vicenda, non mi fraintendete. Ma è come reagirà l’umanità a quelle risposte, quale effetto avranno sulla vita delle persone comuni, che veramente ci spinge ad andare avanti con la lettura. La nostra voglia di risposte corre in parallelo con quella dell’umanità raccontata, e i tre atteggiamenti umani visti sopra trovano rappresentazione concreta nei tre veri e propri protagonisti della vicenda, il dottor Tyler Dupree, e i due gemelli Lawton, Diane e Jason.
I tre, uniti fin dall’infanzia e presenti nel primo capitolo e nel primo flashback del romanzo, sono l’espressione diretta di quell’umanità così fragile eppure piena di risorse, e loro sono il fulcro, il punto sul quale tutta la nostra attenzione verrà convogliata.
Non tanto i pianeti, gli Ipotetici e le stelle quindi, quanto piuttosto il modo in cui l’essere umano vive tutto questo.

Attraverso Spin, l’autore ci mostra l’Universo, ce ne rivela le misteriose meccaniche, eppure il suo intento appare chiaro in tutta la sua bellezza solo una volta giunti al termine: Wilson ci mostra il nostro stesso riflesso, specchiato nella volta celeste.

 

 

Per avermi permesso di conoscere Robert Charles Wilson e il primo volume di questa splendida trilogia, non posso che essere infinitamente grata alla Rocard Edizioni nella figura di Emilio Ics, che è stato anche così gentile da omaggiarmi di una copia del romanzo.
Se non fosse stato per questa nascente Casa Editrice, forse questo libro non sarebbe arrivato in Italia, e quasi sicuramente io non ne avrei incrociato il cammino.
È stata un’esperienza di lettura tanto soddisfacente, che mi sono trovata a cercare di estrapolarne un senso concreto per questa recensione appena pochi minuti dopo averla interrotta, per paura di poterne perdere l’essenza con il passare del tempo. Spero di essere riuscita a renderle giustizia, ma se non ci fossi riuscita, qui trovate il link alla pagina dedicata sul sito della Casa Editrice, con dettagli aggiuntivi sul romanzo e i collegamenti ad altri siti che ne hanno già parlato.

Se posso darvi un consiglio spassionato, provate questa lettura. Il suo fascino è magnetico, e saprà conquistarvi fin dalle sue prime parole.
Parola d’onore.


Trama
Tyler sta osservando il cielo, quando le stelle e la Luna scompaiono. Una misteriosa membrana ha intrappolato al suo interno tutto il globo. Con Tyler due amici, Jason e Diane, che lo accompagneranno in un mondo rivoluzionato dallo Spin. Ognuno dovrà fare i conti con le proprie paure e convinzioni più profonde: come ci si costruisce una vita sotto la minaccia dell’estinzione?

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.

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