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Recensione I frutti del vento di Tracy Chevalier

“Invece di rimettersi in cammino, perlustrando il terreno e il letto del torrente in cerca di qualche tana di topo muschiato, James fece una cosa insolita per un colono all'inizio della primavera, quando le provviste scarseggiano e il lavoro abbonda. Rimase dov'era e si sedette su un tronco, guardando la bruma verdolina che si ammantava sugli alberi, gli uccelli che svolazzavano qua e là facendo il nido fra i rami, i fiori selvatici e l'innesto che suo figlio aveva creato, al riparo da Sadie e dalla sua collera.
Pian piano si rilassò, come non riusciva mai a fare in mezzo alla gente. Preferiva di gran lunga lo spettacolo degli alberi che cambiavano aspetto, seguendo il ciclo delle stagioni, le foglie che nascevano e si dispiegavano, il verde prima pallido e poi intenso, il rosso acceso che precedeva la caduta. Gli alberi non gli rispondevano male, non gli disobbedivano, non gli ridevano in faccia. Non erano lì per dargli tormento, anzi, non badavano affatto all'uomo seduto ai loro piedi. E james glien'era profondamente grato.”

Per quanto si tratti di un'autrice molto nota e prolifica, è la prima volta che mi avvicino ad un romanzo di Tracy Chevalier; ho scorto I frutti del vento per la prima volta su uno scaffale in libreria e, oltre che dalla copertina, sono rimasta affascinata dall'atmosfera di nature selvagge e vaste praterie americane che sembrava emanare. Ho atteso qualche mese prima di avere l'incredibile fortuna di trovarlo in scambio su bookmooch e appena arrivato a casa ha subito spodestato le altre letture che avevo in lista, tanto era la curiosità di conoscere quelle atmosfere.
La prima cosa che mi ha catturata di questa autrice è lo stile pacato, elegante ed intenso, attento alle emozioni dei personaggi e al contempo alle meraviglie della natura che li circonda. Perché in effetti è da questi due elementi fondamentali che la storia e le vite dei Goodenough sono caratterizzate: da un lato, questa bizzarra famiglia si distingue per la forza delle sue emozioni, l'intensità dei caratteri tutti diversi ed amplificati, a volte quasi assurdi ed irritanti; dall'altra parte le loro esistenze sono plasmate dalla dura vita nella Palude Nera, dall'amore del capostipite James per i frutteti di mele, condiviso con il figlio più giovane Robert, e dall'odio per gli stessi alberi e per la palude che invece divora la madre, Sadie. Sarà proprio Robert, con il suo amore per gli alberi coltivato con il padre, il vero protagonista di questa storia che si snoda in oltre quarant'anni di vita, dai primi anni nella Palude in Ohio, attraverso faticosi anni in giro per l'America, marciando e spostandosi vero ovest, fino alla ritrovata stabilità, guadagnata all'ombra delle imponenti sequoie della California.
I frutti del vento è un romanzo che trasuda dolore, durezza della natura, ma anche amore per questa e per i suoi frutti. È una storia solcata da un filo indelebile di speranza per un domani migliore, di lotta per ottenere un posto e un'identità in una vita e in una terra che fanno di tutto per togliertele.

È un romanzo costellato di personaggi in cui, almeno all'inizio è difficile riconoscersi, ma che poi iniziano a rivelarsi sempre più familiari e vicini, a poco a poco più reali e comprensibili. Non vi nascondo che all'inizio ho faticato ad andare avanti nella lettura: trovavo insopportabile Sadie e troppo distante James, mentre i loro figli erano ancora troppo piccoli e marginali per essere apprezzati. Sono stati proprio gli alberi e l'attrazione che suscitavano in James e Robert, insieme all'odio che scatenavano in Sadie a darmi la spinta per continuare la lettura, ed è stato l'effetto che hanno continuato ad avere suoi diversi personaggi a rendere questa storia così diversa ed attraente.
Non è stata una lettura usuale ma proprio questo l'ha resa così intensa: ha suscitato in me una voglia strana e deliziosa di visitare e vedere con i miei occhi quei posti così lontani, così capaci di segnare tanto profondamente gli uomini che li abitano.
È una lettura che mi sento di consigliarvi se amate le saghe familiari particolari, quelle che si concentrano sugli effetti che l'ambiente, e soprattutto la natura selvaggia, hanno sulle persone; soprattutto però è una lettura che dovreste concedervi se amate i racconti di avventura e di crescita personale, influenzati dall'amore per gli alberi ma in fondo anche e soprattutto da quello per gli uomini.


Trama:
Nella prima metà del XIX secolo James e Sadie Goodenough giungono nella Palude Nera dell'Ohio dopo aver abbandonato la fattoria dei Goodenough nel Connecticut. La legge dell'Ohio prevede che un colono possa fare sua la terra se riesce a piantarvi un frutteto di almeno cinquanta alberi. Una sfida irresistibile per James Goodenough che ama gli alberi più di ogni altra cosa, poiché gli alberi durano e tutte le altre creature invece attraversano il mondo e se ne vanno in fretta. In quella terra, dove gli acquitrini si alternano alla selva più fitta, James pianta e cura con dedizione i suoi meli. Un frutteto che diventa la sua ossessione; la prova, ai suoi occhi, che la natura selvaggia della terra, con il suo groviglio di boschi e pantani, si può domare. La malaria si porta via cinque dei dieci figli dei Goodenough, ma James non piange, scava la fossa e li seppellisce. Si fa invece cupo e silenzioso quando deve buttare giù un albero. Finché, un giorno, la natura selvaggia non della terra, ma della moglie di James, Sadie, esplode e segna irrimediabilmente il destino dei Goodenough nella Palude Nera. Romanzo che si iscrive nella tradizione della grande narrativa americana di frontiera, “I frutti del vento” è un'opera in cui Tracy Chevalier penetra nel cuore arido, selvaggio e inaccessibile della natura e degli uomini, là dove crescono i frutti più ambiti e più dolci che sia dato cogliere.

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Denise
Sono un’appassionata di scrittura e comunicazione digitale, studio Informatica Umanistica e lavoro alla Casa della donna di Pisa. Nella vita cerco di conciliare i diversi aspetti di me: la femminista, la letterata e l’informatica. Non sempre vanno d’accordo, ma per fortuna sono caparbia e continuo a insistere.